mercoledì 2 dicembre 2009

Santa Lucia


Santa Lucia è una vergine, martire del IV secolo, venerata dalla Chiesa e ritenuta protettrice dei ciechi.
A Ruvo di Puglia la celebrazione della ricorrenza annuale avviene nella parrocchia che porta il suo nome.
Oggi è stata costruita una nuova chiesa; non molto tempo fa la parrocchia di Santa Lucia, aveva come sede una chiesetta attigua al vecchio convento dei cappuccini, che da tempo erano andati via abbandonando al degrado il convento.
Nell'antica chiesa si svolgevano le liturgie secondo il riti della Chiesa Cattolica, i giorni precedenti si teneva la novena, il giorno tredici dicembre per l'intera giornata si alternavano le varie messe e infine si faceva la processione, che percorreva le principali vie del paese.
Nannina, che aveva subito un danno alla vista ed era preoccupata che questo male si aggravasse, coltivava una profonda devozione verso santa Lucia, nella speranza e nella fede che la santa proteggesse anche la sua vista.
Durante la novena, che si svolgeva nelle prime ore del mattino, prima dell'alba si recava nella chiesetta per la santa messa e la novena. (Era consuetudine, in alcune importanti festività come quella in onore di santa Lucia e la novena del Natale, celebrare le liturgie prima dell'alba per dare la possibilità alle mamme e ai contadini di parteciparvi senza essere di ostacolo agli obblighi delle mansioni di ciascuno). Ritornata riprendeva le normali faccende di casa: se aveva già preparato il pane lo mandava al forno comune per la cottura, quindi faceva svegliare i figli e li preparava per mandali in ordine a scuola.
Come per tante feste religiose, anche per quella di santa Lucia, alle liturgie ufficiali della Chiesa si affiancano delle tradizioni popolari.
In questa circostanza nelle famiglie si preparavano e poi si distribuivano i ceci “fritti” (non erano fritti nell'olio, ma abbrustoliti con una tecnica particolare: si prendeva una pentola consumata e si riempiva di tufo bianco ridotto in polvere sufficiente per avvolgere i ceci selezionati e di calibro sufficientemente grandi e veniva posta sul fuoco. Quando i ceci al calore scoppiettavano, la pentola veniva tolta dal fuoco e si faceva raffreddare, infine si tiravano dal tufo ed erano pronti da distribuire e da mangiare).
Un'altra tradizione era l'accensione dei falò. Verso il tramonto sulle strade, non ancora asfaltate, si eregevano delle cataste di tronchi e di fascine e si incendiavano, con la partecipazione dei vicini di casa. Le grandi fiamme alcune volte lambivano le finestre del primo piano, e tanti si avvicinano per riscaldarsi, tenendosi a debita distanza mantenendo per mano i bambini.
A fine serata, quando il fuoco delle fascine era diventato cenere, soprattutto gli uomini si avvicinavano al fuoco e con delle pale raccoglievano la brace più consistente dei tronchi e la versavano nei bracieri o in appositi contenitori in ferro che venivano chiusi ermeticamente in modo tale da spegnere il fuoco e conservare il carbone per altri usi domestici. Ognuno cercava di approvvigionarsi come poteva.
I tozzi di tronco non ancora consumati si accostavano e si lasciavano riaccendere, per offrire ai passanti un breve sollievo dal freddo della notte.
Questa tradizione era uno dei momenti di vita corale del vicinato, poi, quando le strade furono asfaltate, andò scemando, perché era necessario preparare una base tale da non fare sciogliere o peggio incendiare il catrame.
Ma il fascino che la tradizione suscita, ha sostenuto la volontà di alcuni cittadini a continuare ad accendere i falò, ed oggi alla ricorrenza della festa, in piazza si accende un enorme falò con la distribuzione dei ceci e del vino caldo.

venerdì 20 novembre 2009

L'illusione della democrazia

La Costituzione Italiana afferma che la sovranità appartiene al popolo.
Tale sovranità il popolo la esercita con l'elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, con un'eventuale proposta di legge popolare, con il referendum.
La seconda e la terza possibilità dell'esercizio della sovranità vengono effettuate raramente e in circostanze straordinarie.
L'elezione dei componenti le due camere del Parlamento è l'unica partecipazione ordinaria dell'esercizio della sovranità popolare; tuttavia tale attività è mediata dai partiti che propongono i programmi, preparano le liste dei candidati, e cercano il consenso soprattutto al momento delle elezioni.
È comprensibile che persone con preparazione culturale e tecnica oltre che di riconosciuto impegno politico siano preposte alla direzione dei partiti o siano elette quali rappresentanti ai vari livelli politici. Ma chi valuterà l'efficacia della loro azione politica? Chi giudicherà che il loro impegno profuso rispetti la sovranità popolare?
Sarà il dialogo costante con i cittadini a sostenere la loro azione e questi esprimeranno il loro giudizio e il loro consenso con le elezioni.
Pertanto i candidati a rappresentare il popolo ai vari livelli istituzionali, dovrebbero condividere le varie problematiche politiche ed essere il più vicino possibile ai propri elettori.
Con la legge elettorale in vigore in Italia la sovranità popolare è gravemente limitata, perché con il premio di maggioranza è vero che si facilita la formazione di una maggioranza parlamentare e la formazione di un governo, ma tale maggioranza non rappresenta nemmeno la metà della sovranità popolare.
Inoltre la medesima legge, proponendo la votazione per liste bloccate, toglie al popolo l'esercizio del diritto di scegliere come suoi rappresentanti quei candidati che ritiene più vicini alle sue esigenze politiche e che ritiene più efficaci nel loro impegno.
Infine riduce ulteriormente la possibilità di valutazione e di scelta dei candidati, perché permette che i candidati proposti dagli organi centrali dei partiti siano inseriti in più liste.
Se durante la “Prima Repubblica” si criticava la partitocrazia perché riduceva la sovranità popolare; in questa nuova esperienza politica sembra che il popolo si stia affidando ad una équipe manageriale, rinunciando ad esercitare la propria sovranità.
L'ardente desiderio della democrazia, intesa come partecipazione, come coinvolgimento, come sovranità popolare per cui tanti animi generosi si sono sacrificati è ridotto all'illusione di scegliere un programma astratto, la cui gestione è affidata a individui selezionati e imposti dai partiti (o da qualcuno che si è imposto come leader, infatti anche i partiti hanno perso i loro connotati ideologici per diventare semplici strumenti di potere).

giovedì 19 novembre 2009

Sovranità popolare e governanti

Quando un popolo rivendica la propria libertà, chiede di partecipare alla gestione della sovranità, con l'intervento quanto più diretto possibile nella formazione delle leggi e con il controllo della loro applicazione. In tal caso l'assemblea legislativa occupa un ruolo determinante nella vita politica di una comunità.
La divisione dei poteri dello stato è un'ulteriore garanzia della libertà, perché soprattutto negli stati di grande estensione, i cui rappresentanti sono un piccolo numero nei confronti della popolazione, questi potrebbero sostenere interessi di parte piuttosto che espletare compiutamente il loro mandato che è la difesa del bene comune, il controllo da parte del potere giudiziario, limita tale rischio. Inoltre il potere esecutivo, dovendo rispettare le leggi approvate dal legislativo, non agirebbe arbitrariamente, ma opererebbe nel rispetto della libertà del popolo.
Dopo momenti di arbitrio, di assolutismo o di dittatura, spesso il popolo, ribellandosi, riesce a conquistare la democrazia che garantisce la libertà politica di quanti l'hanno richiesta e ottenuta.
Purtroppo coloro che sono preposti al governo dello stato, quelli che, ripetutamente eletti, diventano professionisti della politica, cercano di difendere il ruolo acquisito, e riducono l'incidenza delle scelte dei cittadini.
La democrazia, basata sul consenso del popolo e dei suoi rappresentanti, sembra difficile da gestire, soprattutto quando nelle assemblee si difendono interessi di parte piuttosto che l'interesse generale del popolo, si prolungano consapevolmente le discussioni e si rimandano le decisioni, provocando la lentezza legislativa se non proprio l'immobilismo.
In tale circostanza l'esecutivo ritiene di proporre nuove norme di amministrazione della sovranità, riducendo il potere del legislativo e assumendosi la responsabilità delle decisioni con decreti propri, riducendo di fatto il parlamento ad una funzione di semplice consenso dell'operato del governo.
Un parlamento, rassegnato a tale ruolo, perde la propria funzione di espressione della volontà popolare e quindi propositiva, la democrazia e la sovranità popolare è sacrificata.
Il parlamento dovrebbe darsi dei regolamenti, che pur non svilendo il dialogo e i vari dibattiti tra le varie espressioni politiche che il popolo ha manifestato con le elezioni, possa addivenire in tempi convenienti a delle determinazioni largamente condivise.
Invece spesso cede alle pressioni dell'esecutivo, approvando delle leggi elettorali che limitano l'espressione della volontà dei cittadini e dello stesso parlamento, e sacrifica la sovranità popolare.

mercoledì 21 ottobre 2009

Giustizia rimandata...

Non è un racconto di fantascienza, ma un fatto realmente accaduto: tre coltivatori diretti erano confinanti: il campo di uno dei tre era il doppio dei campi di ciascuno degli altri due coltivatori, pertanto un lato segnava il confine comune con gli altri due. Il proprietario del campo più grande decise di piantare degli alberi lungo il confine. Uno dei due proprietari dei campi più piccoli ritenne che i nuovi alberi piantati non rispettassero la dovuta distanza dal confine, erano troppo vicino al proprio campo e manifestò il proprio dissenso al proprietario del fondo maggiore. Non si addivenne ad un accordo, anzi si passò alle offese e si ricorse al giudice.
In tale circostanza fu coinvolto anche il terzo agricoltore, il quale, con poca convinzione si associò con il proprietario del campo dell'estensione simile al suo. Come avviene in ogni ricorso a giudizio si rivolsero agli avvocati per sostenere la propria causa. Da quel momento il terzo agricoltore non si preoccupò più della controversia, e col passar del tempo la dimenticò del tutto. La questione passò nelle mani degli avvocati e del giudice. Questi durante diciassette anni si incontrarono solo quattro volte, tre volte praticamente per non decidere nulla, all'ultima, quella del diciassettesimo anno, il giudice emise il giudizio di primo grado.
Un anno prima della sentenza i campi non erano più di uso agricolo, ma erano già aree edificabili e tutti gli alberi erano stati sradicati.
Non mi interessa la sentenza, ma da persona, non coinvolta nei fatti, mi sono posto delle domande, è possibile che per una causa, in cui non ci sono da svolgere tante indagini, siano necessari ben diciassette anni? A cosa è servita la sentenza dal momento che le proprietà non sono più adibite all'agricoltura ma all'edilizia? Quanti rancori ha fatto radicare negli animi in questi anni?
Eppure gli avvocati di parte hanno preteso compensi ben retribuiti.
Penso che ogni cittadino di buon senso si ponga tali domande, e nello stesso tempo si renda conto dell'inefficienza della giustizia.
Non penso che ciò dipenda dall'incapacità dei giudici, né dall'insufficienza dei mezzi, ma da insensate procedure forensi, che nel tempo si sono radicate nel sistema e, mi verrebbe da pensare, artatamente procurate.

domenica 4 ottobre 2009

Nannina

In una giornata autunnale di ottobre nacque una bambina, subito protetta dall'amore dei genitori, e circondata dalla curiosità e dall'affetto del fratello maggiore e delle altre tre sorelline.
Il padre non era agiato, ma con la sua attività artigianale e commerciale riusciva a sostenere dignitosamente la propria famiglia. Svolgeva un'attività che da tempo non si pratica più: era un pellettiere, con la pelle realizzava oggetti per la casa e per la campagna, come otri e vari tipi di crivelli, che erano utilizzati per setacciare il grano e vari tipi di legumi.
Composto una congrua quantità di tali oggetti, costruiti da lui personalmente o aiutato da altri artigiani, li caricava su un carro e si dirigeva verso i mercati più convenienti.
Aveva travato un mercato cospicuo nella provincia di Foggia, pertanto spesso si recava lì. Oggi, i circa cento chilometri, che separano Foggia dal paese del padre di Nannina, si percorrono in circa un'ora, all'epoca il percorso era lungo perché il traino carico e tirato dai cavalli impiegava diverse ore, era difficile perché le strade erano sterrate, pertanto d'estate erano polverose, mentre d'inverno erano melmose, era soprattutto pericoloso per la possibilità di incorrere nei briganti.
Molti gli sconsigliavano di andare fino a Foggia, in quanto ritenuta una città pericolosa e gli dicevano “fuggi da Foggia”, e lui, che aveva trovato un buon mercato in quella zona, rispondeva “fugge da Foggia chi non è esperto di Foggia”.
Tuttavia quando viaggiava, anche lui per difesa portava una pistola.
Nannina, quando raccontava di suo padre ai suoi figli, ricordava che portava sempre con sé una pistola e ripeteva questo episodio: il giorno in cui i nonni si sposarono ed entrarono per la prima volta nella loro camera da letto, il nonno si liberò della pistola e la poggiò sul comodino, la nonna a quel gesto manifestò una certa titubanza, ma il nonno la rassicurò affermando che era un oggetto di difesa e non sparava da sé.
Nannina, visse con il padre solo due anni, infatti il padre si ammalò e morì, un mese prima che nascesse l'ultimogenito.
La madre e il figlio maggiore dovettero farsi carico della famiglia composta da due figli maschi e tre femminucce, in un'epoca in cui non si era affermata una pur parziale assistenza sociale.

mercoledì 23 settembre 2009

Il codominio (metafora di democrazia)

L'esperienza che ho fatto, da quando vivo in condominio, mi permette di abbozzare alcune riflessioni, anche sui comportamenti degli uomini nella gestione democratica di un bene comune.
Il condominio è un bene comune, un edificio suddiviso in tanti appartamenti, locali, box..., la cui gestione è affidata a tutti i condomini, i quali riuniti in assemblea prendono le dovute decisioni per il miglior godimento della cosa comune.
Come il parlamento di uno stato deve rispettare la costituzione, così le assemblee condominiali sono tenute al rispetto del codice civile, reso più semplice e più pratico dalle tabelle millesimali, che dei tecnici hanno compilato.
Non dovrebbero esserci delle difficoltà ad applicare le norme condominiali, soprattutto se sostenute dalla buona educazione e dal rispetto reciproco dei condomini.
E tutti i condomini, trattandosi di regolare l'uso di un bene che interessa loro direttamente, dovrebbero responsabilmente partecipare alle assemblee. Invece, parlo della mia esperienza, difficilmente si riesce a raggiungere (tra presenti e deleghe) la maggioranza richiesta per approvare i bilanci o le varie delibere.
Ritengo che ciò avvenga perché alcuni sono, di fatto, impossibilitati ad essere presenti; ma tanti si disinteressano totalmente, delegando agli altri le scelte, anche se, in seguito, criticano il loro operato; alcuni, non sentendosi competenti in materia, ritengono di non dover partecipare; pregiudizio errato, perché se non conoscono le norme, possono sempre apprenderle e comunque possono esprimere una loro valutazione sugli effetti delle scelte altrui.
Tra i presenti come in ogni assemblea avviene il dibattito, spesso sereno e positivo, ma alcune volte, soprattutto quando si devono ripartire le spese, tumultuoso: qualcuno, noncurante delle controversie che possono emergere, va speculando nella giurisprudenza tutti i possibili sotterfugi per poter risparmiare qualche euro, creando problemi e sollevando liti.
Pertanto una semplice amministrazione del condominio, diventa difficile da gestire ed è necessario ricorrere ad un amministratore esterno, se non proprio alla magistratura.
La democrazia spesso è indicata come il miglior governo possibile, e condivido pienamente tale valutazione, tuttavia è un governo difficile da gestire, per il disinteresse di tanti e gli egoismi che possono emergere fra coloro che vi prendono parte.
La democrazia diretta di J.J. Rousseau è una bella utopia, quella in cui gli individui limitando il proprio io, possono dar vita ad un io comune.
Né è opportuno affidare ai delegati tutta la responsabilità di gestire la cosa pubblica, perché questi, o alcuni di questi, facendo prevalere gli interessi di parte piuttosto che il bene comune, potrebbero creare disarmonia nel paese e quindi disordini...
Una buona Costituzione, che sappia garantire la governabilità del paese e il controllo del governo stesso, con dei poteri efficaci, potrebbe garantire una pace sociale e uno sviluppo equilibrato della società.
Fondamento e garanzia dello stato, con qualsiasi forma di governo democratico, è una cittadinanza consapevole e responsabile.

domenica 6 settembre 2009

Dialogo come liberazione

Il dialogo, il fondamentale mezzo di comunicazione tra gli uomini, è determinante per liberare gli individui dal solipsismo, che è causa di ansia e preoccupazione, oltre, naturalmente, per sviluppare il proprio sapere e la propria cultura.

L'affermazione di sé è un sentimento naturale dell'uomo, per cui questi, alla presenza di altri individui, è guardingo e cerca di difendere la propria individualità. Ciò, spesso, porta l'uomo all'egoismo, alla forte affermazione di sé, ovvero alla chiusura in se steso. Chiudersi in sé stesso porta a preoccuparsi per difendere sé e i propri averi, e gli altri, in qualche modo, diventano avversari, se non nemici, da cui difendersi, perché sono concorrenti nel conseguire gli stessi beni. L'uomo, direbbe Hobbes, diventa “homini lupus”, la vita diventa una guerra costante e il pericolo è sempre incombente; qualche momento di felicità potrebbe derivare da un'ulteriore conquista per sé.

Ma l'uomo non ha solo questo sentimento, vuole essere riconosciuto e gratificato, anche nel suo egoismo, vuole liberarsi da questo stato di timore e angoscia costante, pertanto deve in qualche modo uscire da sé, deve relazionarsi con gli altri, deve dialogare.

Nel dialogo, all'inizio concitato perché carico di emotività e aggressività, perché sta comunicando con un altro a lui ignoto, scopre che l'altro ha gli stessi suoi problemi, ha gli stessi bisogni da soddisfare, ha bisogno di aiuto come lui per sostenersi ed affermarsi, pertanto l'aggressività viene meno, l'emotività prima alimentata dalla paura ora diventa più pacata e lo spinge alla condivisione se non alla solidarietà. Inizia una collaborazione che in seguito si estenderà ad altri e inizierà a vivere in comunità.

La rilevante importanza del dialogo e conseguentemente di una vita sociale 'pacifica', è condivisibile da tutti, anche se spesso per una forte esaltazione del proprio io o per uno smacco subito nella dialettica della vita, alcuni si estraniano dalla vita sociale e rifiutano il confronto con gli altri, suscitando seri problemi per sé e per quanti vivono nel proprio ambiente.
Con il dialogo l'uomo supera la solitudine e può affrontare con maggiore serenità i problemi della vita, può arricchire le sue conoscenze, sviluppare la cultura, potenziare la vita politica, modificare aspetti della vita.

giovedì 20 agosto 2009

Cuore di Mamma

Una giovane mamma, Anna, aveva avuto un primo figlio Saverio, un bel bambino dai capelli d'oro e occhi celesti. Questi purtroppo morì quando non aveva neppure un anno.
Alla seconda maternità Anna ebbe due gemelli: un maschietto a cui dette il nome Saverio, lo stesso nome del primogenito e nome del suocero, secondo i costumi delle propria cittadina, e una femminuccia, che chiamò Maria, nome coincidente sia a quello della propria mamma che della suocera. Per poterli nutrire allattò al suo seno la piccola e affidò ad una balia il maschietto, all'epoca non era ancora diffuso l'uso del latte in polvere o alimenti vari per bambini come oggi. La figlioletta tuttavia non superò il secondo anno di vita. Nella prima metà del Novecento la mortalità infantile era ancora elevata.
In seguito ebbe altri due figli, Nicola e Mario.
Ai tre figli sopravvissuti offriva tutto il suo amore e le sue trepide cure. Ma il ricordo dei due figlioli morti prematuri, non venne mai meno e segnò la vita della mamma.
In camera da letto, tra gli altri mobili, c'era un comò ornato con un'immagine del Sacro Cuore circondato da volti di angioletti. Davanti a questa immagine in alcune ricorrenze religiose accendeva una lampada votiva ad olio. Quando accendeva la lampada, recitava delle preghiere e, alcune volte, avendo accanto i figlioli, a questi indicava due angioletti dell'immagine come i suoi figlioletti che erano vicino a Gesù.
Ricordava con rammarico Maria, perché le era venuta meno un'amica della vita, dal momento che i figli maschi, ad una certa età, non resistono a stare in casa.
Anche sul letto di morte anela al suo incontro; mentre il suo figlio Mario le teneva strette le mani, lei continuava a ripetere “portami a casa, portami dove sta mamma e Maria”, la figlioletta che aveva avuto sempre nel suo cuore di mamma.

martedì 4 agosto 2009

Marco

In un paese della Puglia, all'inizio del Novecento, in una famiglia di agricoltori, nasce un pargoletto di nome Marco.
Ancora bambino segue il padre e il fratello maggiore, quando questi si recano al proprio lavoro nei campi; il lavoro agricolo, era ancora l'attività prevalente nei paesi di provincia dell'epoca. La vita in campagna è la sua unica scuola. All'età scolastica il padre lo iscrive alla prima classe della scuola primaria, ma il bimbo abituato a correre sui prati, a vivere all'aria aperta e ad esercitarsi nelle varie attività pratiche, non riesce ad accettare una vita di scuola e dopo alcuni giorni non la frequenta più. Rimase analfabeta per tutta la vita, ma la sua lucidità mentale gli permetteva di fare dei conti mentalmente e riusciva a portare la contabilità della sua azienda con perfetta correttezza e competenza.
Il lavoro è la sua unica passione, si leva di buon ora al mattino come gli altri famigliari e caricato sul traino gli attrezzi di lavoro si reca nei campi. Di soluto è sul posto di lavoro con gli altri alle prime luci dell'alba.
Dopo un tratto di strada percorso sul carro trainato dalla mula, appena arrivati, sopratutto nel periodo invernale, gli operai accendono un falò e si riscaldano mentre preparano le attrezzature necessarie, quindi mettendosi in azione non hanno più bisogno del fuoco e iniziano il lavoro programmato. D'estate si levano molto presto in modo da dedicare le ore più fresche mattutine ai lavori più pesanti, quindi a piedi scalzi, con vestiti più leggeri e con una bandana legata intorno alla testa per asciugarsi il sudore, continuano fino all'ora del rientro.
(Il lavoro dei campi era molto diverso da quello di oggi, non c'erano le macchine odierne, il terreno era coltivato con zappe, picconi e aratri, trainati da muli o cavalli; per curare le piante usavano forbici e accette. La pelle delle mani degli operai era dura e callosa).
Marco, intanto si è fatto un bel giovanotto, e come tutti i ragazzi è chiamato al servizio di leva, scherzando ricordava che gli fu attribuito il grado di caporale dei muli. In realtà avendo un'innata empatia verso gli animali, li trattava con tanta cura e questi reagivano sempre positivamente, senza pungoli, ai suoi comandi.
Finito il servizio di leva torna al suo paese a alle quotidiane attività, finché un giorno anche per lui scoccò il colpo di fulmine per una ragazza di nome Nannina.

domenica 19 luglio 2009

Quattro amici

Mario, Franco, Nico e Rino si erano incontrati, ancora ragazzi, nell'oratorio Don Bosco tra loro si stabilì subito una buona amicizia. Frequentavano le riunioni tenute dal parroco, nelle giornate uggiose d'inverno si trattenevano a giocare nel locale dell'oratorio, quando il tempo permetteva, come tanti ragazzi del paese percorrevano più volte la parte del corso frequentato dai giovani.
Nella scelta degli studi ognuno scelse l'indirizzo che ritenne a sé più adatto e le discussioni nel gruppo divennero più articolate e interessanti.
Mario e Franco si incontravano spesso sul treno perché andavano a Bari, e lungo il tragitto si scambiavano le proprie esperienze di vita e di studio. Sebbene seguissero studi differenti, Mario frequentava la facoltà di Lettere e Filosofia, mentre Franco era studente dell'Istituto Tecnico Industriale, si scambiavano le esperienze più significative dei propri studi, con grande interesse e partecipazione reciproca.
Si parlava di dottrine politiche, si confrontavano correnti di pensiero in modo approssimato ma animato; Franco raccontava gli esperimenti di laboratorio, ma era entusiasta soprattutto per le visite dei laboratori di informatica. Spesso portava delle schede perforate e tramite quelle illustrava il funzionamento dei computer, e cosa era il calcolo binario (all'epoca i computer erano delle grandi macchine che occupavano anche una sala e richiedevano degli operatori che dovevano perforare delle schede per la programmazione). Alle discussioni spesso partecipavano altri ragazzi, compagni di scuola o semplicemente di viaggio.
La sera puntualmente si usciva, d'inverno per circa un'ora dalle 19 alle 20 circa, d'estate l'uscita era posticipata alle 20 e si rientrava verso le 22. L'appuntamento era il primo albero di tiglio del corso Cavour. All'ora stabilita puntualmente avveniva l'incontro, si concedeva una tolleranza di 5-10 minuti, passato tale tempo si era liberi di andare, ciò era stato deciso sia per il rispetto della puntualità, sia perché poteva sempre accadere nelle proprie famiglie che emergessero altri impegni, e non sarebbe stato giusto sacrificare il tempo disponibile ad aspettare, c'erano altri amici e non sarebbe stato difficile incontrarsi per il corso.
Il gruppo degli amici si incrementava, veniva Nico, Rino e tanti altri: si parlava di scuola, del lavoro che ciascuno prestava, quando poteva, nelle aziende famigliari, si parlava di sentimenti, di amori, di ragazze, alcune volte con serietà altre volte con pettegolezzi vari. Nelle discussioni serie e facete si maturava, si progettava il futuro proprio e del mondo intero.
La canzone di G. Paoli “Eravamo quattro amici al bar”, esprime con efficacia queste esperienze giovanili, quando i giovani vogliono porre tutte le proprie energie per migliorare il mondo.
Per un lungo periodo si discusse come poter usare l'acqua come combustibile delle auto, convinti come erano e come avevano studiato della grande energia in essa racchiusa con l'idrogeno e l'ossigeno. E tanti, tanti altri progetti...
Poi, quando furono preparati, Mario si laureò in Filosofia, Franco, dopo alcuni anni in Ingegneria elettronica, Nico in Lettere, Rino in Medicina, il gruppo degli amici si sfaldò, non per propria volontà, è rimasto sentimentalmente unito, ma per motivo di lavoro. Alcuni si sono trasferiti al nord, disperdendo tanti sogni e mettendo a disposizione di altre regioni o città la propria professionalità. Quelli che sono rimasti in Paese continuano a prestare con impegno e onestà la loro opera nel campo professionale e politico.

Saluto tutti gli amici della mia giovinezza e auguro ai giovani di sognare e progettare il loro futuro.

La “signorina”

Mario ha compiuto tre anni e la mamma ritiene opportuno di iscriverlo all'asilo (così si chiamava la scuola materna), ma c'era in solo asilo, tenuto dalle suore. ed era molto lontano; in alternativa c'era la possibilità di mandare il figlio alla “signorina”, (le signorine erano delle donne non sposate, spesso adulte, che avevano frequentato alcuni anni di istruzione scolastiche e che per sopravvivere trattenevano i bambini).
Bene, la mamma scelse questa alternativa, era per lei più comoda: poteva accompagnare lei stessa il proprio figliolo, o affidarlo ad una persona amica, in casi estremi avrebbe potuto, dopo ripetute esortazioni, fare andare il bambino da solo, fidando sulle amicizie o i parenti che abitavano lungo il percorso e controllando tutto dal balcone di casa fino all'ingresso della “signorina”.
Ogni mattina preparava il cestino di vimini con dei biscotti o taralli di latte, da lei stessa preparati, della frutta secca, noccioline o fichi secchi, spesso dei pezzi ci cotognata o qualche frutto, secondo le stagioni.
Mario indossato il grembiulino bianco, afferrato il cestino si avviava alla “signorina”; qui in una stanza, liberata dai mobili di casa, c'erano tante 'sedioline', acquistate e portate dalle mamme al momento dell'assunzione dell'impegno di affidare i figli.
In poco tempo la stanza si riempiva di bambini, accolti dalla “signorina”. Quando tutti erano arrivati, la “signorina” faceva segnare tutti con il segno di croce, quindi faceva recitare le preghiere del mattino con alcuni canti di chiesa.
Durante il resto della giornata leggeva alcune favole, o insegnava alcune canzoncine. Non era facile far muovere i ragazzi per lo spazio molto limitato, ma alcune volte si riusciva a fare un piccolo girotondo.
Dopo mezzogiorno, si rientrava a casa prelevati dalle mamme o da amici fidati e la stanza si trasformava in sala da pranzo per coloro che vi abitavano.

lunedì 15 giugno 2009

Il dialogo

Le relazioni tra gli individui sono connotate da rapporti emozionali e da dialoghi. Le emozioni sono difficili da comprendere e gestire, apparentemente sembra più facile analizzare il dialogo.
Il dialogo è lo strumento di comunicazione più semplice e più connaturale all'uomo, con esso si trasmettono da un individuo ad un altro sentimenti, conoscenze … Tramite la ricerca e la comunicazione si sviluppano la scienza e la cultura in genere.
Il dialogo, questo strumento primordiale e ineludibile, si articola e si infrange in tanti rivoli, che, invece di confluire nello stesso alveo, entrano in contrasto tra loro, sconvolgendo il sereno sviluppo della comunicazione e del progresso culturale; spesso sembra ricomporsi in tratti sereni, per poi scomporsi in correnti più conflittuali.
Le difficoltà del dialogo dipendono dalla natura stessa degli individui: l'unicità dell'individuo è determinata, oltre che dai connotati fisici e spirituali propri di ciascun uomo, dalla specificità della vita vissuta e dell'esperienza culturale. Da tali circostanze emergono punti di vista individuali che non permettono di decifrare univocamente un medesimo evento.
Inoltre nel corso della vita, nelle varie circostanze esistenziali, emergono bisogni e interessi contrastanti tra i vari individui, i quali, cercando una giustificazione a proprio vantaggio, interpretano gli eventi in modo diverso dagli altri, spesso scontrandosi con questi, solidificando ancora di più il proprio punto di vista. Il dialogo diventa difficile o impossibile.
Un esempio emblematico è quanto viene narrato nel “Mito della caverna” di Platone: quando lo schiavo, che si era liberato dai vincoli, che lo tenevano legato con altri costretti a vedere le ombre, dopo aver visto il sole (la verità), vorrebbe comunicare la propria esperienza a coloro che continuavano ad essere legati, costoro non solo non credono a quanto racconta ma lo deridono e lo picchiano.
Quanto narrato da Platone esplicita la difficoltà di addivenire ad un accordo tra chi ha una visione materialistica e chi ha una visione idealista della vita. Se a questi contrasti ideologici si uniscono la voglia di autoaffermazione, gli interessi economici o culturali, la divisione viene esaltata e il dialogo invece di essere strumento di comunicazione e di conciliazione, diventa causa di scissione e di conflitto.
È utopico che tali contrasti possano essere eliminati del tutto, tuttavia è necessaria una disponibilità all'ascolto per tentare di comprendere il punto di visto dell'interlocutore. Se ciò non porterà ad una condivisione immediata, certamente avvierà una riflessione interiore per un futuro “convincimento”. Anche se difficile, il dialogo è l'unica possibilità di relazionarsi pacificamente.

Dialogo e solidarietà

Perché piangi uomo?
Perché ti lamenti?

Chi sei tu,voce?
Non vedi da quanta fatica sono oppresso
e quanti nemici mi circondano?
È questa la vita?

Perché lavori?
Perché il tuo vicino è nemico?
Lavoro perché ho moglie e figli,
ho bisogno di pane.
Il mio vicino mi spia,
vuol togliermi quanto guadagno.

Tu vivi, uomo, d'amore per te e per i tuoi,
non vedi degli altri l'amore.

Ascolta questa tenue voce:
parla, ascolta il tuo vicino,
condividi con lui i tuoi problemi
e la solidarietà vi salverà.
GC73

domenica 31 maggio 2009

La libertà

La libertà non è altro che il vivere umano. L'agire dell'uomo è determinato, oltre che dalle passioni naturali e dai sentimenti, dalla consapevolezza e dall'autodeterminazione.
Se un uomo non è consapevole, non è cosciente di ciò che sta facendo, oppure è costretto con la forza da altri uomini o da particolari stress psicologici a compiere determinate azioni, non è libero e pertanto non può ritenersi responsabile delle azioni compiute in tale stato.

La libertà non è un dono avuto una volta per sempre, ma è ricerca e conquista quotidiana. Non è evasione, ma impegno costante: è feconda operatività e costante relazione con gli altri.

É compito di ciascun uomo e della società determinare le condizioni di libertà.
Una persona deve operare in modo da comportarsi nel modo più razionale possibile: deve potenziare le proprie conoscenze e agire con consapevolezza e responsabilità.
La società deve contribuire a sostenere lo sviluppo del sapere e deve eliminare le condizioni fisiche e morali che limitano lo sviluppo della personalità di ciascun membro della comunità.

martedì 19 maggio 2009

Democrazia e libertà

La democrazia consiste nella partecipazione del popolo alla gestione della sovranità dello stato. Il popolo partecipa direttamente alla formazione delle leggi (democrazia diretta) o elegge i propri rappresentanti (democrazia indiretta).

La democrazia è un'istituzione politica per uomini liberi
o che tali vogliono essere.

Dalla storia si possono reperire molti esempi di democrazia, qui ricordo alcuni momenti rilevanti della sua affermazione: la democrazia ateniese, la democrazia liberale dell'età moderna, la democrazia socialista, la reazione al Fascismo in Italia.

1. In Atene nel VI-V secolo a.C. la società si evolve, da società prevalentemente agricola e pastorale diventa società aperta al commercio. Le sue navi solcano l'Egeo e il Mediterraneo, pertanto la classe mercantile diventa ricca, spesso più ricca della vecchia aristocrazia; pertanto pretende i pieni diritti di cittadinanza. Critica i principi su cui si fondava il potere e la cultura dei grandi proprietari fondiari, chiede di partecipare alla vita politica del paese; in tal modo si pongono le premesse della democrazia. Una democrazia che permette l'accesso ai posti di responsabilità di governo alle classi più abbienti, e solo in parte vengono coinvolti i più poveri.

2. Durante il Medioevo in Europa si era ridefinita una classe aristocratica, che basava la propria ricchezza e il proprio potere sulla gestione dei feudi. Passando dall'economia di sussistenza a quella di scambio, emerge e si sviluppa la classe borghese prima mercantile poi imprenditoriale, artigiana-industriale. Quando la borghesia è matura e ha la forza di far rispettare le proprie aspettative, impone al monarca e all'aristocrazia il proprio coinvolgimento nella vita politica. Nascono le prime repubbliche e dove permane la monarchia, questa è sottoposta al vincolo della costituzione. I parlamenti che si affermano in questo periodo, sono formati dai rappresentanti eletti su base censitaria. Solo i più ricchi possono partecipare alla vita politica, nasce una democrazia su misura della classe sociale che l'ha pretesa ed imposta con la sua forza.

3. Con lo sviluppo industriale si forma la classe operaia, che è subordinata agli imprenditori. Tra queste due classi si sviluppa una dialettica. La classe operaia, proveniente dal mondo artigiano e contadino, in un primo momento è costretta dalla miseria ad accettare le condizioni di vita determinate dai nuovi sistemi produttivi; in seguito prendendo coscienza della sua forza pretenderà il riconoscimento dei propri diritti umani e politici. Chiederà di partecipare alla vita politica del proprio paese per difendere la propria dignità umana e migliori condizioni di vita. In tal modo la democrazia si espanderà, con il suffragio universale. Gli esiti di questa lotta saranno differenti nei vari paesi per la diversa maturità culturale ed economica degli stessi.

4. All'inizio del XX secolo, gran parte dell'Europa ha vissuto l'esperienza della dittatura, che molti cittadini dell'epoca hanno accettato come soluzione ai problemi politici e sociali emersi nel primo dopoguerra, ma tanti altri l'hanno dovuto subire. Questi ultimi per difendere i propri principi etici sono stati costretti ad emigrare, altri hanno subito il carcere e limitazioni dei propri diritti, altri ancora, pur non accettando il regime imposto, si sono in parte adeguati alle nuove condizioni di vita. Ma quando le dittature hanno manifestato i loro limiti, i democratici si sono riappropriarti dei propri diritti, che hanno ridato anche a quelli che avevano condiviso la dittatura.
Alla fine della seconda guerra mondiale, in Italia, è rinata la democrazia, il popolo ha potuto esprimere le proprie convinzioni politiche. Le sedi dei partiti sono frequentate, e spesso si tengono assemblee, nella quali si condividono o si dibattano le vari opinioni e intanto si matura il consenso per una scelta piuttosto che per un'altra. Spesso gli eletti, nelle varie istituzioni, dei vari partiti si incontrano con gli elettori condividendo le proprie iniziative e ascoltando le esigenze del popolo. I partiti diventano scuola politica e viva vita democratica.

Pur nell'acceso dibattito politico tra contrastanti dottrine sono state prese importanti e opportune decisioni: solo per ricordare la più importante: la Costituzione è stata approvata in circa un anno (oggi, per modificarne un articolo sono necessari anni).

Il senso del bene comune, della libertà e della responsabilità devono sempre essere presenti nei dibattiti politici.

giovedì 16 aprile 2009

Ciao Marika

La conoscenza non è altro che la scoperta dell'essere, ovvero la ricerca del vero.Άλήθεια (verità), secondo i filologi, ha la stessa radice di λανθάνω (sto nascosto) con tema λαθ e ληθ, da cui, aggiungendo α privativa, deriva αληθεια, perciò la verità-scoperta è il risultato dello svelamento dell'essere, la conoscenza è tale svelamento.I testi antichi attestano che la facoltà che distingue gli uomini dagli animali è la conoscenza. Anche la Bibbia nella Genesi attesta che il primo atto compiuto dall'uomo, fu la trasgressione dell'ordine divino di “non mangiare dell'albero della conoscenza del bene e del male”, questo fu il peccato originale che segnò il destino dell'umanità.L'uomo vorrebbe conoscere tutto, gli antichi dicevano l'Essere, il Principio, ovvero la vita dall'origine al termine; tuttavia deve continuare a cercare, a svelare il mistero che ancora lo circonda.Cosa sollecita l'uomo alla conoscenza? Aristotele afferma che l'uomo è spinto alla filosofia (ricerca della verità) dalla meraviglia, perché solo un uomo libero da bisogni o da interessi può contemplare le meraviglie della vita. In realtà in ogni età e in ogni condizione l'uomo di fronte ad eventi ignoti, sia che questi destino meraviglia sia che suscitino paura o ansia per l'ignoto, cerca di svelare l'arcano per poterlo dominare.Ma la conoscenza non è solo filosofia (scienza teoretica), ma serve per la sopravvivenza, per soddisfare i bisogni della vita. Platone nel Protagora narra della nascita degli esseri viventi a cui Protagora e Epimeteo distribuirono i vari strumenti o attitudini per potersi difendere e sopravvivere, ma si dimenticarono dell'uomo, per cui rubarono agli dei la scienza tecnica e il fuoco e la distribuirono agli uomini perché potessero costruire gli strumenti per soddisfare i loro bisogni di vita.Cosa può conoscere l'uomo? Vorrebbe conoscere tutto, tuttavia deve lavorare costantemente per svelare quella parte di vita che gli è consentita con i propri mezzi. La sua conoscenza è limitata dal punto di vista da cui parte la sua ricerca e dagli oggetti che entrano nel suo campo di ricerca. Tuttavia l'umanità ha accumulato nel corso dei secoli una grande quantità di conoscenze che mette a disposizione delle giovani generazioni, con la speranza che queste la incrementino ulteriormente.L'incremento della conoscenza segna anche l'aumento della libertà e della responsabilità dell'uomo.Kant parlando dell'Illuminismo diceva che quell'età era l'età della giovinezza dell'umanità, perché i giovani si pongono tante domande nel momento che si affacciano alla vita e devono operare le scelte per il loro futuro. Inoltre invitava a “osare pensare” per uscire dalla minore età: molti temono di mettersi in discussione o di criticare gli altri perché non vogliono crescere, vogliono vivere in qualche certezza che gli viene offerta dal passato, ma il passato è passato e non torna più, bisogna costruire le condizioni ottimali per il futuro. Se l'uomo vuol essere libero deve pensare e assumersi le responsabilità del proprio futuro. Affrontare il futuro, affrontare l'ignoto suscita preoccupazione e paura, la conoscenza ci offre degli strumenti di orientamento, dei mezzi per valutare eventuali rischi, dei consigli di prudenza, ma noi, uomini responsabili, non possiamo fermarci, come le future generazioni sveleremo parte della vita.
Ciao, auguri per la tua vita
Giulio

mercoledì 8 aprile 2009

Vivere con saggezza

La bellezza è la perfezione dell'essere.
Platone al vertice della scala gerarchica delle idee pone il Bene e a questo attribuisce la Bellezza.
E come il Sole agli oggetti visibili “conferisce non solo la facoltà di essere visti, ma anche la generazione, la crescita e il nutrimento, pur senza essere esso stesso generazione”,... “anche gli oggetti conoscibili non solo ricevono dal bene la proprietà di essere conosciuti, ma ne ottengono ancora l'esistenza e l'essenza, anche se il bene non è essenza...” (Platone, Repubblica)
Anche Aristotele, con altre argomentazioni, pone come Principio e Fine di ogni essere finito l'Atto puro, un essere solo forma ovvero senza potenzialità, un Essere Perfetto a cui tendono tutti gli esseri.
I filosofi che ritengono che gli esseri derivino da un Essere Perfetto, ritengono che gli stessi condividono con questo l'essere e la bellezza. Ogni essere è più o meno bello secondo il posto che occupa nella scala degli esseri, ovvero secondo la perfezione conseguita.
Nel tempo e nello spazio, gli esseri contingenti godono degli attributi di bontà e di bellezza, nei limiti e nell'ordine del proprio essere. La natura è bella nell'armoniosa diversità, e ciascun individuo vivente e non vivente partecipa alla composizione di tale armonia.
Nel dibattito filosofico non tutti hanno condiviso tale ontologia, anzi è andata sempre più maturando la considerazione dei limiti della conoscenza umana nel cogliere le essenze degli esseri. Molti sono pervenuti alla convinzione che l'uomo non possa andare oltre la conoscenza fenomenica degli esseri, ciò tuttavia non ostacola la possibilità di esprimere il gusto estetico.
Kant nella sua speculazione filosofica ha distinto la conoscenza scientifica dal giudizio estetico.
Nella conoscenza scientifica la ragione produce giudizi determinanti, ovvero dall'esperienza attinge gli aspetti fenomenici del mondo e tramite le forme a priori e le categorie (le leggi secondo cui opera il pensiero) le trasforma in concetti e leggi fisiche (nessi necessari). Nell'affermazione del bello il pensiero produce giudizi riflettenti, in quanto nel rapporto estetico tra soggetto e mondo circostante, o opera d'arte, emerge l'armonia esistente tra mondo interiore e il mondo esterno.
“Per discernere se una cosa è bella o no, noi non riferiamo la rappresentazione all'oggetto mediante l'intelletto, in vista della conoscenza; ma, mediante l'immaginazione (forse congiunta con l'intelletto) la riferiamo al soggetto, e al suo sentimento di piacere o dispiacere. Il giudizio di gusto non è dunque un giudizio di conoscenza, cioè logico, ma è estetico; il che significa che il suo fondamento non può essere se non soggettivo.” (I. Kant, Critica del Giudizio)
La bellezza non è sapere scientifico ma è una percezione che ognuno ha intuitivamente; pertanto non si può educare ad essa con l'apprendimento di regole tecniche, ma raffinando il gusto con la ripetuta contemplazione delle opere belle.
I romantici, rompendo con la ragione illuministica, hanno ritenuto di superare i limiti imposti dal mondo fenomenico e dalla conoscenza razionale esaltando le passioni, i sentimenti e la fede.
La bellezza, a volte serena a volte cupa, emerge dalla simbiosi dell'uomo e della natura. L'età romantica sembra un momento di liberazione, ma certe pitture romantiche sprigionano un cupo sentimento di nostalgia, di tristezza.
La “Bellezza”, il gusto di vivere, i sentimenti possono essere una guida sicura nella vita? Kierkegaard afferma che vivere secondo lo stadio estetico è una dei possibili stili di vita. E tanti, anche dei grandi filosofi, ritengono che una vita guidata dai sentimenti e dal gusto sia quella più spontanea, più naturale, in quanto libera da legami formali e da leggi imposte dall'esterno. Tuttavia la vita insegna che i sentimenti e la stessa bellezza sono cangianti e in alcune situazioni sono sereni e pacati in altre sono cupi e tormentosi, per cui sin dall'antichità si riconosceva al sapere e alla ragione la funzione di moderare e orientare i sentimenti o le passioni.
Il sentimento e la ragione sono due facoltà dell'uomo, e questi non può fare a meno di utilizzare e armonizzare l'una e l'altra. La ragione, sin dall'antichità, è stata riconosciuta la facoltà caratterizzante l'uomo, quella che gli offre la possibilità di ricercare l'armonia interiore e di superare i conflitti con gli altri. Anche se l'esperienza storica insegna che in tanti momenti le passioni hanno sconvolto tante persone e a volte il mondo intero, è pur vero che a questi momenti sono seguiti altri in cui con una serena riflessione sono state appianate tante divergenze ed è stata ricostruita un pacifica convivenza tra i popoli.
Molte volte si pensa di ritornare in un mondo primordiale, bucolico (sereno o terribile? Chi sa?). Noi viviamo in questo mondo frutto di tanti eventi vissuti dalle passate generazioni con passioni e razionalità, noi non possiamo fare a meno di continuare a sviluppare questa trama di eventi con sentimento e razionalità. Il piacere di vivere non può basarsi solo sul sentimento e sul gusto estetico, ma necessita di tanta saggezza, che, pur non mortificando i sentimenti e il gusto del bello, sappia armonizzarli e indirizzarli verso il meglio. Non dimentichiamo che “il sonno della ragione genera mostri” (Goya)

giovedì 5 marzo 2009

Un colpo di sole

Mario aveva concordato con altri amici di trascorrere una giornata in campagna. La sera precedente avevano fissato il menù e spesa; all'indomani si sarebbero ritrovati nella villetta di proprietà di un componente della comitiva verso mezzogiorno.
Mario, poiché era in ferie, sbrigò subito le faccende personali e si avviò verso la campagna. Arrivato alla villetta incontrò Gino e i suoi genitori che si erano affrettati per rassettare la tavernetta e preparare la tavola per l'accoglienza degli altri amici. Mario offrì la propria collaborazione, quindi, poiché c'era ancora tempo prima dell'arrivo del resto della comitiva, decise di comminare per i sentieri vicini.
Era una giornata di agosto e il sole infuocava ogni essere vivente, l'erbetta dei sentieri era bruciata, persino gli alberi di olivo socchiudevano le proprie foglie per contenere quel po' di linfa per la sopravvivenza. Mario stava per decidere di rientrare, in tavernetta c'era un bel fresco, quando vide a poca distanza un grande albero di carrube. Si affrettò a raggiungerlo e si adagiò sopra le grandi radici ai piedi dell'albero. Guardò incuriosito i verdi baccelli pendenti, poi si assopì.
Fu preso da un ufo abitato da personaggi buffi ma curiosi, che lo elessero come giuda per la visita del territorio circostante e per conoscere i comportamenti degli abitanti. Visitando le campagne circostanti, chiedevano: che frutto produce quest'albero? che frutto produce quell'altro? il frutto di quella pianta è commestibile? perché vengono coperte quelle piante? di ogni cosa chiedevano informazioni: Mario rispondeva come poteva, secondo le sue conoscenze.
Intanto a gran velocità, sorpassarono alcune città limitrofi e alle domande Mario rispondeva queste sono villette, nel centro ci sono i condomini, quelli più alti sono i grattacieli, quello è l'antico castello, quella è la cattedrale, quelle le chiese, quei grandi prati circondati da gradinate sono gli stadi, qui vengono i giovani a giocare a calcio, intorno si fermano gli spettatori ad animare le loro squadre.
Il più giovane degli alieni è interessato ad alcuni comportamenti degli uomini, si sofferma ad osservare gruppi di uomini che passeggiano, la grande moltitudine che si affolla sulle spiagge, alcuni gruppi di ciclisti, dei gruppi di podisti che percorrono dei sentieri campestri e chiede spiegazioni per i singoli comportamenti. Mario spiega che gli uomini durante la settimana lavorano, molti sono obbligati ad un lavoro ripetitivo, sedentario e spesso in locali poco salubri, pertanto quando è loro possibile curano il loro fisico con varie attività sportive o semplici passeggiate, come ha ben osservato. Dall'ufo non si vede all'interno delle palestre dove, soprattutto i giovani, esercitano e curano il proprio fisico con vari esercizi ginnici. Molti si esercitano per un piacere personale, altri fanno sport per motivi agonistici.
Il giovane alieno è meravigliato dell'attenzione e della cura che gli uomini hanno del proprio corpo. Mentre si sta in tal modo dialogando l'ufo sorvola lo stadio: venticinque uomini rincorrono affannosamente una palla su un prato verde, altri appena fuori del limite del campo a tratti si animano, e intorno, disposte sulla gradinata a diversi ordini, migliaia di persone che urlano. Il piccolo alieno chiede spiegazioni; Mario, che non è un tifoso di calcio, cerca di dare delle spiegazioni. Nello stadio stanno giocando a calcio, che è lo sport più seguito. Gli uomini, che rincorrono il pallone sul prato verde, sono dei grandi atleti che dedicano gran parte della loro giovinezza ad allenarsi per ben calciare il pollone, in modo da lanciarlo in porta, superando la difesa che la squadra avversaria dispone. Sono molto apprezzati e stimati da coloro che seguono le loro imprese. Ai margini del campo ci sono i dirigenti, gli allenatori, i tecnici, gli assistenti. Intorno sugli spalti ci sono tanti sportivi, che si dicono tifosi perché non giocano loro, ma incitano gli atleti della propria squadra in cui si immedesimano soffrendo o esultando secondo l'andamento del gioco.
Il piccolo alieno sembra incuriosito ma poco convinto, allora Mario continua, credimi deve essere una cosa bella, durante la settimana quando si incontrano in ogni luogo della città i tifosi hanno sempre da dire qualcosa, alcune volte sorridenti e ironici, altre volte stizziti, ma discutono in modo animato dell'ultima partita vista allo stadio o in TV. È una buona occasione di socializzazione, soprattutto quando devono organizzare la partecipazione alle partite, sia in 'casa' che in trasferta. Quando vanno in trasferta si incontrano con gli abitanti di altre città, vedono vari monumenti, arricchiscono comunque la loro esperienza. Il piccolo alieno incomincia ad apprezzare positivamente questo comportamento umano, quando nota un gruppo di facinorosi che si muove in modo disordinato nello stadio e tanti uomini in divisa e armati che si affrettano verso quel luogo. Cosa succede? Chiede il piccolo alieno a Mario. Mario è in imbarazzo non riesce a trovare una giustificazione a questo comportamento, sarebbe stato contento manifestare quanto di bello è tra gli uomini.
Un suono di clacson lo risveglia, risparmiandogli la fatica di giustificare tale condotta, sono arrivati gli altri amici e lo cercano. Mario si affretta a raggiungerli.

Fontana

Fontanina, ti hanno destinata ad un altro cantuccio, eri ingombrante, occupavi un angolo di marciapiede e parte della carreggiata della strada, le stalle a te vicine sono state abbattute e al loro posto sono state costruite delle moderne case. Tu sei in questo nuovo cantuccio, tranquillo, come una vecchietta in attesa di qualche volto amico con cui ricordare la grande vitalità del passato. Ti ricordi di me? Quando bambino venivo a prendere l'acqua fresca per i miei? Sono passati tanti anni e le sembianze degli uomini si trasformano, ma tu anche se ti hanno trasferito in un luogo diverso mantieni le stesse sembianze, sebbene qualche ritocco lo hanno fatto anche a te. Mantieni il nome “Acquedotto Pugliese” e la data di nascita “1914”.
Adesso solo alcuni vengono ad attingere acqua con qualche bottiglia, ma quando eri all'altro angolo intorno a te c'era sempre gente: bambini, giovani, adulti, uomini e donne e qualche vecchietta; si comunicavano tante notizie della vita del quartiere, che venivano diffuse nelle singole case dai portatori d'acqua.
Alcune volte erano tutti gentili: “per favore fate riempire la brocca alla nonnina”, “quel bambino è spinto sempre dietro, su fate riempire il suo secchio”. Intanto arrivano i contadini dalla campagna e si fermano ad abbeverare gli animali da traino, “per cortesia fatemi bere”, “fate dissetare la mula che ha lavorato... “
Era un continuo via vai di persone frettolose che dovevano accumulare l'acqua per le faccende domestiche, non solo per cucinare, che richiedeva poca acqua, ma per lavare e soprattutto per fare il bucato per cui bisognava riempire grandi tinozze.
Altre volte c'era grande vivacità, soprattutto quando arrivavano quei due monelli che volevano precedere gli altri senza rispettare il proprio turno, e si arrivava a qualche parola inopportuna e alcune volta al litigio, che spesso veniva sedato dall'intervento autorevole di una persona adulta.
D'estate, nel tardo pomeriggio, prima che mio padre si levasse dal riposo, mia madre mi ordinava di andare ad attingere l'acqua fresca dalla fontana; era un piacere, c'era poca gente e sgorgava un'acqua freschissima che bevevo direttamente dalla fontana, e riempito la brocca di argilla (c'cc'nato), che teneva fresca l'acqua per un po' di tempo, correvo a casa; quell'acqua valeva più di un rinfresco.
Mia cara fontanina, ora le cose son cambiate, in tutte le case arriva l'acqua, ed è distribuita secondo le necessità dai vari rubinetti, ma molti non si fidano della potabilità di questa e spesso vanno ad acquistare l'acqua confezionata; io vengo ancora ad attingerla da te, perché tu la offre in modo diretto, prendendola dai canali centrali, invece quella di casa pur essendo la stessa acqua che tu offri, prima di arrivare in casa passa dai serbatoi e da altre tubazioni. Insomma, voglio ancora venirti a trovare, mi fido ancora di te.

martedì 10 febbraio 2009

La democrazia

La democrazia è una forma di governo in cui il potere sovrano è esercitato dal popolo. Il termine deriva dal greco δήμος (démos), popolo e κράτος (cràtos), potere e significa governo del popolo. Tale forma di governo è andata maturando nel corso della storia, pertanto ha subito varie interpretazioni, quasi sempre legate alle considerazioni che si aveva del popolo e alla stessa maturità o autoconsapevolezza che il popolo aveva di sé.
Pericle nel suo discorso celebrativo di Atene, riportato da Tucidite dà una definizione significativa della democrazia. “Il nostro ordine politico non si modella sulle costituzioni straniere. Siamo noi d'esempio ad altri, piuttosto che imitatori. E il nome che gli conviene è democrazia, governo nel pugno non di pochi, ma della cerchia più ampia di cittadini: vige anzi per tutti, di fronte alle leggi, l'assoluta equità di diritti nelle vicende dell'esistenza privata...”(TUCIDIDE, Guerra del Peloponneso). La partecipazione alla vita politica in democrazia spetta alla “cerchia più ampia di cittadini” anche se vige per tutti l'equità di fronte alle leggi. Inoltre in democrazia i cittadini dovrebbero essere orgogliosi di essere popolo di uno stato, dovrebbero partecipare attivamente alla vita politica, intervenendo nelle assemblea, rilevando le varie problematiche cittadine, evidenziando i propri interessi sociali e le proprie capacità, in tal modo “si costituisce una scala di valori fondata sulla stima che ciascuno sa suscitarsi intorno, per cui, eccellendo in un determinato campo, può conseguire un incarico pubblico, in virtù delle sue capacità...” (id)
In una società democratica è necessaria la condivisione di alcuni principi, che emergono anche dal documento riportato, ovvero l'Uguaglianza, la Partecipazione, la Condivisione di valori, la Capacità di assumere un incarico pubblico. Nella storia la democrazia si è affermata nelle forme possibili in quelle società che sono riuscite a coniugare tali principi; quando ciò non è stato possibile, o con la forza o con l'inganno, il popolo ha perso la sovranità ed è diventato suddito, cioè subordinato al governo di uno o più individui che ritengono di essere diversi e superiori agli altri uomini.
Alcuni affermano che la democrazia è una forma di governo lenta e debole e spesso difficile da gestire. Questi possono apportare anche delle ragioni: la disuguaglianza dei cittadini, sia per capacità personali che per ricchezza; le dinamiche sociali e di gruppo per cui alcuni si adeguano alle situazioni di fatto, altri invece si distinguono per intolleranza e per affermazione individuale, chi sfida al confronto chi preferisce adeguarsi piuttosto che difendere i propri punti di vista.
Quando si devono prendere delle decisioni, in democrazia per conseguire una maggioranza sono necessari lunghi dibattiti, alcune volte inconcludenti, mentre spesso chi governa deve dare risposte immediate.
Queste ed altre possono essere motivazioni sostenibili contro la democrazia, ma queste difficoltà sono superate se si considera lo stato d'animo di un cittadino che si sente coinvolto nelle decisioni, che in qualche modo si sente responsabile del scelte che vengono prese per il benessere del proprio Paese e quindi di sé stessi; sentirsi libero, piuttosto che sottoposto a scelte altrui, a cui non può esprimere le proprie contrarietà.
L'opinione di uno o di un gruppo non potrà mai interpretare la ricchezza di opinioni di un popolo; di qui la necessità del confronto continuo e delle scelte mediate da ampi dibattiti, sostenute da un seria preparazione culturale e volontà di una crescita collettiva piuttosto che individuale.
Né bisogna considerare la democrazia un governo in cui ognuno è libero di agire in modo arbitrario, in democrazia il rispetto delle leggi è cogente come in ogni altra forma di governo, anche se non condivise, in tal caso in questa forma di governo c'è la libertà di adoperarsi per poterle cambiare, ma bisogna rispettarle finché sono in vigore.

Il Popolo

La parola popolo, come avviene per tanti voci delle varie lingue, assume significati diversi in relazione al tempo e alle circostanze politiche e culturali.
L'articolo 1 della Costituzione Italiana afferma: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Il popolo in questa circostanza è chi detiene la sovranità e la esercita nelle forme e nei limiti stabiliti. Non essendoci democrazia diretta, il popolo esprime la sua volontà, di solito attraverso le elezioni dei propri rappresentanti o attraverso la partecipazione ai rari referendum. A tali attività possono partecipare coloro che hanno il diritto di cittadinanza e sono maggiorenni. Quindi per la nostra Costituzione per popolo si intende l'insieme degli uomini che risiedono stabilmente nello Stato, hanno la cittadinanza italiana ed esercitano la sovranità.
Tale definizione, che corrisponde alla concezione giuridica di popolo, non esaurisce i significati attribuiti alla parola popolo. Sin dall'antichità si considerava popolo un gruppo di uomini, che avendo trascorso insieme un lungo periodo, avevano accomunato esperienze, cultura, sentimenti e si erano date istituzioni giuridiche più o meno evolute.
“Questo paese fu l'immutata dimora, nella vicenda di generazioni infinite, dello stesso popolo, il cui coraggio l'ha trasmesso a noi libero...” (Tucidite, Guerra del Peloponneso)
Nella storia per popolo si intende l'insieme di individui che formano delle comunità più o meno ristrette, città-stato-impero, che sono legati da vincoli di sangue, di cultura, di interessi e vivono rispettando delle norme tramandate per tradizione o ben definite da leggi, e nell'età contemporanea codificate in una costituzione (popolo di Dio, popolo ateniese, popolo ramano …)
Per lunghi periodi al popolo non è stato concesso alcun diritto di sovranità, perché questa era delegata da Dio agli imperatori, ai papi, ai re il popolo doveva a questi obbedienza, se non proprio servitù, era suddito.
Con l'evoluzione economica e culturale prima le classi aristocratiche, quindi le classi borghesi, infine tutto il popolo, tramite rivoluzioni e lotte sociali hanno conquistato il diritto della piena cittadinanza e quindi è stato riconosciuto loro il diritto di sovranità, peraltro non ancora riconosciuto in tutti gli stati del mondo.
Nell'età romantica per popolo, vedi per esempio Mazzini, si intende quella comunità in cui vari individui si sentono parte integrante, come unità spirituale (Dio e Popolo) per cui tutti sono chiamati alla sua realizzazione e alla sua difesa.
Anche nella retorica politica e culturale spesso si esalta o si celebra il popolo per le sue azioni o per le sue conquiste o in genere per il suo valore.
Il concetto di popolo ha affinità di significato con quello di cittadinanza, nazionalità, o semplicemente popolazione.

sabato 10 gennaio 2009

La conoscenza come passione

Lo maggior corno de la fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando,
pur come quella cui vento affatica;

indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori e disse: “Quando

mi diparti' da Circe, che sottrasse
me più d'un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enea la nomasse,

né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né 'l debito amore
lo qual dovea Penelopè far lieta,

vincer potero dentro a me l'ardore
ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto
e de li vizi umani e del valore;

ma misi me per l'alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.

*** … ***

“O frati”, dissi,”che per cento milia
perigli siete giunti a l'occidente,
a questa tanto picciola vigilia

de' nostri sensi ch'è del rimanente
non vogliate negar l'esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e conoscenza”.

Dante, Inferno XXVI, 85-103; 112-120.


Questi versi di Dante sin dalla prima lettura, mi hanno affascinato, e oggi riflettendo sulla rilevanza della conoscenza umana, sono emersi con impeto alla mia memoria. Spesso la conoscenza viene intesa come controllo razionale della realtà e viene contrapposta all'impeto delle passioni. Questi versi invece affermano che la conoscenza non è molto diversa dalle altre passioni. Dante sostiene che la conoscenza è un “ardore” che supera la “dolcezza di figlio” la “pieta del vecchio padre” e il “debito amore lo qual dovea Penelopè far lieta”. La conoscenza è quindi una passione che sostiene e spinge l'uomo ad esplorare se stesso e il mondo circostante. Ed è proprio questa passione che distingue gli uomini dai “bruti”. L'uomo infatti è fatto per acquisire sempre maggiori virtù, capacità, miglioramento di sé e dominio del mondo circostante. Ciò tuttavia non avviene con facilità, ma con grande fatica, e ciò lo dimostrano i sacrifici delle avventure o disavventure che Ulisse e i suoi compagni hanno affrontato o devono affrontare. Ma la conoscenza è un grande passione perché spesso, spingendo gli uomini verso l'ignoto, può far correre dei gravi rischi e spesso la perdita stessa della vita, come l'epilogo di Ulisse, così come viene riportato da Dante. Non è possibile non condividere con Dante queste considerazioni sulla conoscenza; tanti uomini, come Ulisse, hanno rischiato e ancora mettono a rischio la propria vita per arricchire se stessi e l'umanità intera di nuove esperienza.

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giovedì 8 gennaio 2009

Tre amori

In ogni età l'amore governa i cuori degli uomini, ma durante la giovinezza l'amore erompe con maggiore energia e suscita immediata simpatia o antipatia tra i giovani. Difronte ad una ragazza carina è difficile che un giovane rimanga insensibile, tuttavia in ciascuno si sprigiona una particolare reazione secondo il proprio vissuto o secondo le circostanze in cui avviene l'incontro. Per cui l'amore può manifestarsi sotto forme diverse. Piero nutriva una grande simpatia verso un'amica di liceo, Patrizia, che a sua volta ricambiava un grande amore. I due si incontravano nella villetta del proprio paese e stavano per lungo tempo insieme, scambiando abbracci e bacetti come due fidanzatini. Superato il liceo si iscrissero all'università in due facoltà diverse e quando era possibile, si davano appuntamento alla stazione e viaggiavano insieme. Di solito stavano soli, ma non disdegnavano la compagnia di altri amici. Tra questi, Luca, che era un carissimo amico di Piero con cui trascorreva molte serate insieme, passeggiando e discutendo di vari argomenti, come si usava tra i giovani di paese, frequentando i due incominciò a condividere la simpatia verso Patrizia, ma per l'amicizia verso Piero, seppe contenerla o mascherarla nei limiti di un rapporto amichevole.
Col tempo in Piero andavano maturando altri ideali, e i rapporti con Patrizia si intiepidirono, per cui pur frequentandosi come amici, avevano dichiarato l'impossibilità di proseguire il loro progresso per formare una famiglia. Luca fu coinvolto da questa decisione, mentre voleva rispettare l'amicizia verso Piero si imponeva con maggior forza la simpatia verso Patrizia; in mezzo a due forze uguali e contrapposte, pur frequentando i due amici nelle fortuite occasioni, continuò a tenere celata la forte simpatia verso Patrizia. Passò del tempo quando Piero, Luca e Patrizia si incontrarono, ma questa volta Patrizia presentò un altro ragazzo come suo fidanzato, Luigi. Gli altri con rispetto dell'altrui decisioni e per l'amicizia nutrita accettarono nel gruppo questo nuovo amico. Non fu una finzione; forse ci fu un po' di amarezza, che si prova quando si interrompe una relazione o un sentimento, ma fu una vera e propria accoglienza. Piero, preso dai suoi sentimenti religiosi e umanitari, si allontanò dal proprio paese per esercitare la propria professione medica tra i bambini bisognosi dell'Africa; Luca conobbe un'altra ragazza e creò una nuova famiglia, di Luigi non si ha più notizie, certo è che Patrizia vive felicemente con il suo Amato.
Non voglio sottoporre questo groviglio di sentimenti a una seduta psicanalitica, ma rilevare semplicemente alcuni aspetti dell'amore tra ragazzi, che segneranno i loro destini:
il rapporto amichevole tra ragazzi,
l'amore tra due fidanzati,
l'amore per degli ideali.