mercoledì 20 novembre 2013

La legge elettorale (una proposta)

Tanti criticano la legge elettorale per il Parlamento italiano legge n. 270 del 21 dicembre 2005, detta Calderoli. Una richiesta popolare di referendum per la sua abolizione non è stata accolta. Il Presidente della Repubblica più volte nella scorsa legislatura e in questa sta sollecitando una nuova legge elettorale, ma il Parlamento, non corrisponde alle sue richiesta. Su questa legge a breve sarà espresso un giudizio della Corte Costituzionale.

In Parlamento per scelte politiche, per opportunismi dei partiti, per varie valutazioni tecniche la discussione sulla legge elettorale non fa progressi, in assenza di una efficace attività parlamentare ancora una volta sarà la Magistratura ad assumere delle responsabilità spettanti al Parlamento.

Da cittadino ritengo che la legge elettorale in un Paese democratico moderno debba rispondere a due fondamentali principi: 1) La rappresentanza popolare 2) la Governabilità del Paese.

Per garantire la rappresentanza popolare sarebbe giusto che tutti i partiti fossero presenti in Parlamento con una rappresentanza proporzionale al consenso ricevuto nelle elezioni; inoltre i rappresentanti parlamentari dovrebbero essere espressione delle varie esigenze territoriali, quindi dovrebbero essere eletti in piccoli collegi con liste di candidati o con un solo candidato per lista, in questo caso il candidato di ciascun partito dovrebbe essere definito tramite primarie.

Per garantire la governabilità intravedo due possibilità: 1) dopo le elezioni con il sistema proporzionale, il Presidente della Repubblica, considerato gli esiti delle elezioni, nomina il Capo del Governo che predispone l’esecutivo e ottiene la fiducia dal Parlamento, se questo nel corso della legislatura lo vuole sfiduciare, ne deve proporre contemporaneamente un altro (una volta si diceva sfiducia costruttiva) in caso contrario rimane in carica il Governo esistente. 2) dopo le elezioni con il sistema proporzionale si potrebbe seguire altre vie, se nessun partito consegue la maggioranza e non si vuole formare un governo di coalizione. - Se il maggior partito consegue la maggioranza da 40% in su, a questo potrebbe essere attribuito un premio di maggioranza fino a conseguire il 51% dei seggi in Parlamento, distribuendo in modo proporzionale la restanza rappresentanza agli altri partiti. - Oppure, ferma restando le elezioni con sistema proporzionale, se dalle elezioni non emerge un partito con maggioranza assoluta, si potrebbe attribuire a tutti i partiti il 20% di rappresentanza parlamentare e fare le elezioni in secondo turno tra i due partiti di maggiore rappresentanza in modo tale da attribuire la maggioranza assoluta del 51% al partito risultato maggioritario nel secondo turno e una rappresentanza significativa al secondo partito, derivante dal numero dei rappresentanti del primo turno e i restanti voti del secondo turno.

NB.

1.      I seggi in Parlamento devono essere attribuiti dopo il secondo turno, in modo da non creare la condizione detta volgarmente dell’anatra zoppa.

2.      Per non frammentare il Parlamento, si potrebbe porre lo sbarramento, stabilire per es. una soglia del 4% o 5% dei consensi totali per accedere in Parlamento.

3.      Considerato le passate esperienze visto la fragilità delle stesse dopo le elezioni, non vale la pena fare delle coalizioni pre-elettorali.

lunedì 11 novembre 2013

La fede

 
 
Si usa il termine fede per indicare tanti stati d’animo in cui predomina la fiducia incondizionata ad una verità, ad un progetto, ad una persona. Tutti gli uomini sono dotati di una fede anche se non è facile scoprirne l’origine né le cause che la determinano.

Il Biologo la cercherà nella predisposizione ereditaria o nella conformazione biologica, come nel sistema endocrino e ormonale.

Lo psicologo la cercherà nelle esperienze pregresse o nel conflitto pulsioni ed educazione etica.

La religione la configura come un dono di Dio, che illumina la coscienza dell'uomo.

Altri la cercheranno in altri ambiti.

Certo è che la fede dà a ciascun uomo la speranza e la forza di attraversare i marosi della vita.

sabato 9 novembre 2013

Il rischio


 
Siamo soliti distinguere la conoscenza sensibile da quella intelligibile, di fatto non esiste l’una senza l’altra e spesso si identificano o si intrecciano. L’uomo per la conoscenza usa tutte le sue facoltà sensoriali e mentali che formano una unica identità.

La conoscenza si basa sull’analisi di qualcosa che ci interessa e ha suscitato la nostra curiosità e il nostro interesse. L’analizza e ritiene di comprenderla quando ha scoperto una causa che l’ha prodotta.

In realtà ogni essere fa parte di una entità complessa ed è determinata dalla concorrenza di infinite relazioni che non è dato alla ragione di coglierle nel loro insieme. Perciò la conoscenza, anche quella scientifica, contiene ampi ambiti di oscurità o di probabilità.

Ne consegue che ogni scelta, ogni decisione, comporta un notevole margine di rischio.

Con tale rischio dobbiamo convivere e sperare che la volontà di operare a fin di bene possa conseguire esiti positivi e comunque non negativi.

lunedì 19 agosto 2013

Quando c’è bonaccia bisogna mettere mano ai remi


 

L’uomo, pur provando un certo senso di nostalgia dell’innocenza perduta, pur provando un certo piacere a vivere affidandosi alla spontaneità delle proprie sensazioni, cerca la propria libertà, vuole essere signore del suo destino, vuole dominare ciò che lo circonda. Ciò lo costringe a superare le impressioni sensoriali e a cercare spiegazioni più profonde, pur con la consapevolezza delle difficoltà e dei limiti della propria conoscenza.

Già Eraclito, che pur riteneva dormienti coloro che ritenevano di conoscere tramite le impressioni dei sensi, affermava: "Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così profondo è il suo lógos". (Eraclito, fr. 45 Diels-Kranz).

Tuttavia l’uomo non si è arreso alle difficoltà e ha continuato ad approfondire la conoscenza sia del mondo fisico sia di se stesso  e del suo agire.

Platone riprendendo la metafora della navigazione affermava che non potendo conseguire la verità con la navigazione a vela (conoscenza sensibile) è necessario mettere mano ai remi (conoscenza razionale) quando c’è bonaccia e proseguire anche se a fatica il viaggio.

 L’uomo affronta tale fatica per essere libero, per fare delle scelte consapevoli, per dare senso alla sua esistenza. Queste riflessioni lo aiutano a trovare valori e regole condivise e gli permettono di vivere una vita personale più serena e di stabilire una convivenza pacifica con gli altri.
Spesso tuttavia perde la consapevolezza del limite della conoscenza umana e invece di essere aperto al dialogo per sviluppare ulteriormente la conoscenza, ritiene esclusivo e assoluto il risultato momentaneamente raggiunto, e vorrebbe imporla ad altri ad ogni costo, sollevando motivi di contrasti e di guerre.

domenica 11 agosto 2013

Fin che la barca va lasciala andare


 

Nella Grecia Antica la barca a vela che va, spinta dal vento, rappresentava la conoscenza sensibile, ossia la conoscenza immediata che si coglie con i sensi: è vero ciò che vedo, sento, tocco…

Nella stessa Grecia dello stesso periodo storico tuttavia si aveva già la consapevolezza della superficialità di tale conoscenza. Già Eraclito considerava dormienti coloro che si fermavano a tale livello di conoscenza, agli altri uomini rimane celato ciò che fanno da svegli, allo stesso modo che non sono coscienti di quello che fanno dormendo”.

Anche i fisici dell’epoca, Anassagora, Democrito, affermavano che la conoscenza immediata dei sensi era inadeguata, pertanto, secondo il loro punto di vista, era necessario andare oltre il dato sensoriale e scoprire la struttura della natura.

In seguito, da Parmenide e dalla sua scuola, la conoscenza sensoriale venne considerata fonte delle opinioni, inganno dei sensi, che non permettono di conseguire la verità.

Percorrendo la storia della filosofia tanti filosofi hanno considerato la conoscenza sensoriale meno importante della conoscenza intellettuale, altri hanno sostenuto il loro fondamentale apporto per la conoscenza.

Certo è che la conoscenza tramite i sensi si presenta come una conoscenza spontanea e immediata, a cui tante volte ci vorremmo affidare, non solo per conoscere ma per orientare i nostri comportamenti.  

È bello lasciarsi andare, lasciarsi trascinare dall’onda del mare, immaginare di lasciarsi trasportare dal vento come un gabbiano, stare su un monte e sentirsi immerso in una natura incontaminata, seguire i piaceri spontanei della nostra natura, osservare e quasi immedesimarsi in un bambino che gioca nella sua innocenza, immergersi in una folla di giovani in un concerto, dire sempre sì per non far emergere diversità e contrasti con gli altri, non pensare per non essere turbato dai propri pensieri, è bello godersi la vita… sentirsi liberi…
È questa la libertà?

domenica 28 luglio 2013

Caporale Maggiore Nicola Iosca


Il giovane Nicola Iosca, classe 1911, come tutti i giovani italiani ritenuti abili, il 6 ottobre del 1931 diventa soldato di leva e gli viene concesso il congedo illimitato provvisorio, in attesa della chiamata alle armi, che puntualmente gli perviene il 14 marzo 1932.

La maggior parte delle caserme, soprattutto quelle per il reclutamento e l’addestramento delle reclute di fanteria e di artiglieria, era dislocata nel Nord Italia dove erano i confini terrestri dell’Italia e quindi la maggior possibilità di intervento nel caso di guerra. Il giovane Nicola è arruolato al 73° Reggimento Fanteria “Lombardia” e deve recarsi nei pressi di Fiume, allora italiana.

Nel gennaio del ‘33 gli viene attribuito il grado di caporale e nello stesso anno gli viene concesso il concedo illimitato per fine ferma.

Nicola ha superato gli obblighi di leva, si sente più adulto e riprende i suoi sogni giovanili, progettando il proprio futuro. Ma la politica mondiale era fortemente condizionata dall’espansione coloniale e dal nazionalismo. La Prima Guerra Mondiale non era stata sufficiente per dissipare queste velleità. Mentre in Europa si faceva fatica a ridimensionare l’espansionismo della Germania, in Italia Mussoli, esaltando l’offesa subita dall’Italia col Massacro di Adua del 1896, e ritenendo di dover occupare l’Abissinia per espandere la potenza coloniale italiana in Africa, dichiarerà la guerra all’Etiopia, non rispettando questo stato che faceva parte della Società delle Nazioni.

Nicola Iosca il 10 febbraio 1935 è chiamato alle armi, deve riprendere la divisa militare e sospendere la sua vita civile. È aggiunto al 10° Reggimento fanteria Potenza  519° Battaglione Mitragliere.

Dopo un breve addestramento, il primo maggio del 1935 con gli altri giovani commilitoni parte per l’Africa Orientale, la meta è il porto di Massaua nell’Eritrea italiana. Qui, dopo sette giorni di navigazione, sbarcano e preparano il campo base delle prossime operazioni di guerra.

Nei giorni successivi la Divisione di Fanteria Gavinana (la 19°) si concentra nella zona di Adi Gualà-Adi Enda Gherghis ai confini tra l’Eritrea e l’Etiopia. Il 3 ottobre iniziano le ostilità e l’esercito italiano avanza nel territorio abissino. L’esercito italiano è meglio organizzato, munito di armi e di mezzi di trasporto più efficienti e soprattutto sostenuto da aerei, l’esercito abissino dispone di più uomini, riceve armi soprattutto dall’Inghilterra ed è coordinato da consiglieri militari inglesi.

Su una cartolina di saluti, nell’anniversario degli eventi della guerra, il Ten. Coll. Montaruli ricorda a Nicola e ai suoi commilitoni: sbarrammo la valle Mariam Sciavitù con le nostre armi la sera del 5 ottobre 1935 e il 6 scendemmo nella conca di Adua. Nicola ricordava la facilità con cui l’esercito italiano avanzava per la superiorità delle armi in possesso, e non senza un certo senso di tristezza la morte di tanti etiopi che in gran numero e sprezzanti del pericolo affrontavano le mitragliatrici italiane. Ricordava le condizioni di povertà in cui versavano gli etiopi e la scarsa igiene, soprattutto la presenza di tanti pidocchi. Ricordava con simpatia una scimmietta, che, sorridendo, diceva che gli aiutava a liberarsi da tali insetti.

Il 12 aprile il caporale Nicola Iosca è nominato caporale maggiore.

Il 5 maggio del 1936 l’esercito italiano entra in Addis Abeba e il 9 dello stesso mese Mussolini annuncia da Palazzo Venezia la conquista dell’Etiopia e Roma capitale dell’Impero.

Finita la guerra, Nicola e i suoi commilitoni ritornano in Patria. Si imbarcano il 9 luglio 1936 a Massaua dopo 9 giorni di navigazione sbarcano a Napoli.

Il 21 luglio finalmente viene loro concesso il congedo illimitato e un premio di 350 lire; sul foglio di congedo si fa menzione: Autorizzato a fregiarsi della Medaglia Commemorativa  per le spedizioni in Africa Orientale (circ. 26 aprile 1936). Ritorna nel Distretto di Barletta e quindi alla sua famiglia. Può riprendere la sua normale vita civile.

Gli impegni militari per il soldato Nicola non erano finiti; l’Europa era ancora travagliata da passioni nazionaliste ed imperialiste. La Società delle Nazioni si rilevava incapace di risolvere i conflitti internazionali. Hitler e Mussolini avevano stretto il Patto d’Acciaio, ed avevano deciso di imporre la loro egemonia sull’Europa. Scoppia la Seconda Guerra Mondiale.

Il 25 agosto 1939 Nicola Iosca è richiamato alle armi, presso il Distretto di Barletta per istruzione. Il 6 settembre è imbarcato a  Bari per l’Egeo, dopo tre giorni di navigazione giunge a Rodi Egeo dove è aggregato al 9° Reggimento Fanteria.

Le isole del Dodecaneso, sono italiane dal 1912 e rivestono una importante posizione strategica per il controllo mercantile e militare nel Mediterraneo ed è importante presidiarle dalle mire di altre potenze, soprattutto inglesi.

Nicola, incomincia ad essere stanco della vita militare e deve sostenere la propria famiglia a Ruvo di Puglia, pertanto coglie l’opportunità della licenza agricola, che chiede e il 2 ottobre del 39 gli viene concessa una licenza di 60 giorni, prorogata di 20 giorni per ordine di Mussolini.

L’8 dicembre del 1939 gli viene data una licenza illimitata.

Intanto si aprono nuovi fronti di guerra, in Francia e in Grecia, e l’esercito necessita sempre più di mezzi e di uomini. Il 31 maggio 1940 al militare Iosca viene sospesa la licenza straordinaria illimitata ed è richiamato alle armi.

Il 3 giugno è imbarcato a Bari e dopo tre giorni, sbarcato a Rodi Egeo, rientra nel 9° Reggimento Fanteria. Qui presidiano il porto e l’aeroporto da eventuali attacchi inglesi, che per la guerra Italia-Grecia, hanno offerto il loro sostegno alla Grecia contro Italiani e Tedeschi, pertanto si rendono sempre più temibili per eventuali attacchi.

Nicola non riesce a sopportare più tale ritmo di vita, molto probabilmente ha trovato un sotterfugio per uscire da tale situazione, certo è che il 25 febbraio del 1942 è inviato in osservazione all’ospedale militare di Bari, è riconfermato idoneo ma viene assegnato ai servizi sedentari per mancanza di quattordici denti con insufficienza masticatoria.

Il 2 marzo 1942 è ricollocato in congedo illimitato e Barletta

Il 14 giugno 1961 gli viene concessa la Croce al Merito di Guerra   

 

PS. Ringrazio la prof. Maria Iosca per avermi concesso di visionare il Foglio Matricolare e le Foto.

mercoledì 24 luglio 2013

Memorie della Campagna di Grecia


Ad una certa età ci capita di volgerci indietro per rivedere gli eventi trascorsi nella nostra giovinezza e vogliamo raccontarli non solo per il ricordo del passato, ma per sottolineare l’evoluzione della società, per poter apprezzare il percorso fatto e le prospettive future. Emergono soprattutto gli eventi più tristi perché si vorrebbe che non tornino mai più, perché le sofferenze patite non si ripetano per le future generazioni.

Zio Ciccillo ogni volta che si parlava di guerra mostrava un gran desiderio di raccontare le sue tristi vicende della guerra vissuta.

A diciotto anni, Francesco Campanale (detto Ciccillo) come tanti giovani della sua età (classe 1912), ha la cartolina di precetto per il servizio di leva. Adempie i suoi obblighi militari, ritorna nella sua famiglia e come tanti giovani sogna e programma il suo futuro: il lavoro, la famiglia…

Il 28 ottobre 1940 iniziano le operazioni militari per l’occupazione della Grecia. L’esercito italiano, non riesce a sostenere la reazione greca, e deve arrestarsi ai confini della Grecia e in alcuni punti deve anche arretrare. L’esercito ha bisogno di un contingente più numeroso e adeguatamente equipaggiato di armamenti e approvvigionamento. Mussolini, volendo competere con Hitler, non intende manifestare la sua debolezza militare, e nel aprile del 41 dichiara la mobilitazione generale.

Dall’Italia partono altri soldati, tra questi è Ciccillo. Sa quanto è dura la vita militare sul fronte, per le tante esperienze raccontate dal fratello maggiore Giulio, che era stato appena diciottenne sul Monte Grappa, durante la prima guerra mondiale. La Patria chiama e, con altri suoi amici, lascia i propri cari e il lavoro per partire verso la destinazione stabilita.

Vive le vicissitudini dell’esercito italiano sul fronte greco. Per tutto l’inverno ’40-’41 gli eserciti italiano e greco avevano mantenuto sostanzialmente le posizioni, quasi come una guerra di trincea, con alcuni sfondamenti del fronte da parte dei Greci. La guerra si era manifestata più difficile delle aspettative. Nella primavera l’esercito italiano riprende l’offensiva e inizia a respingere l’esercito greco, che ora deve affrontare contemporaneamente l’esercito italiano e quello tedesco, che nel frattempo dalla Iugoslavia era entrato nella Macedonia. Attaccata su due fronti, la Grecia è costretta a chiedere l’armistizio e la resa. L’Italia occupò tutta la Grecia continentale e le isole Corfù, Zante e Cefalonia. 


La guerra sulle montagne greche è stata logorante, i soldati hanno sofferto, il freddo e la fame, e visto molti commilitoni morti e feriti. Ora il peso della guerra per Francesco e gli altri diventa meno gravoso, l’esercito, disseminato in innumerevoli e statici presidi,  controllava la conquista ed era pronta a difenderla da eventuali attacchi inglesi. Francesco, a Natale del 42, ha la possibilità di raggiungere Atene.

Sui fronti russo e nel nord Africa infuria la guerra degli Alleati contro L’Italia e la Germania. Dall’Africa gli anglo–americani passano in Sicilia travolgendo l’esercito italiano. L’ 8 settembre 1943 Badoglio firma l’armistizio.

L’Italia non è più in guerra, ma tra tedeschi e italiani si apre una gravissima ostilità. I tedeschi che vogliono difendere le conquiste fatte, vedono nei soldati italiani dei vili traditori.

In Italia le vicende si evolveranno diversamente, ma nelle isole e nei Balcani la condizione dei soldati si rivelò difficilissima. Senza ordini precisi erano sbandati: alcuni trovarono rifugio presso alcune famiglie greche, altri si arruolarono nei gruppi di resistenza, altri furono fatti prigionieri dai vecchi alleati tedeschi. I quali prospettarono loro l’alternativa: o entrare nelle loro file, o essere fatti prigionieri di guerra. Pochi scelsero di collaborare con i tedeschi, la maggior parte furono deportati nei campi di prigionia tedeschi. Francesco fu condotto in Germania.

Qui gli italiani non furono considerati prigionieri di guerre, per cui non potettero usufruire delle garanzie spettanti ai prigionieri secondo gli accordi internazionali, ma furono dichiarati “internati” e in seguito “lavoratori civili” in modo tale che i tedeschi non solo non offrissero loro le garanzie spettanti ai prigionieri, ma potevano sfruttarli nei lavori pesanti o di ricostruzione in seguito ai bombardamenti.

Le condizioni in questi campi (lager) erano terribili: non c’erano servizi igienici, non avevano vestiti adatti alle temperature rigide della Germania, il cibo era scarsissimo, tanto che, ricordava Francesco, quando dalla cucina buttavano bucce di patate o residui di verdure i prigionieri si affrettavano a raccoglierli, qualcuno mangiava anche dei topi. Molti morirono, altri furono affetti da gravi malattie polmonari o intestinali.

Francesco riuscì a sopravvivere e a uscire da quell’inferno, quando il ’45 la Germania fu sconfitta dagli alleati. Con altri attraversò le Alpi, quindi accolto da un punto di raccolta in Italia, fu avviato a Ruvo di Puglia con il treno.

La famiglia, che da tempo non aveva sue notizie, era in stato di angoscia e trepidazione: il padre e gli altri fratelli chiedevano ai militari che rientravano, se avessero notizie di Francesco. Finalmente si accese in loro la speranza di rivederlo, un rivenditore di sali e tabacchi, avendo sentito per radio il nome Francesco Campanale, corse ad annunciarlo ai suoi.

Dopo alcuni giorni, sfinito, molto dimagrito, ma sano e salvo giunse alla stazione ferroviaria dove l’attendevano il padre, i fratelli e tanti compaesani che speravano di avere qualche notizie dei loro figli ancora lontani.


mercoledì 10 luglio 2013

Ricordi della Prima Guerra Mondiale


Zio Giacomo e zia Margherita, ormai ultra ottantenni trascorrevano l’ultima fase della loro vita, in una piccola casa, che non aveva neppure un balcone che si affacciava sulla strada. Preferivano trascorrere gran parte del tempo in terrazza, dove avevano un locale, adibito a cucina.

Avendo trascorso gran parte della vita in campagna, ora preferivano vivere ancora all’aria aperta, ascoltando il cinguettio dei passeri e in primavera lo stridio delle rondini. Quando si ritiravano gli ultimi raggi di sole, scendevano nel piccolo appartamento per seguire i programmi televisivi, finché non si assopivano; era l’ora di andare a letto.

Mario andava spesso a fare visita ai vecchi zii con i quali si tratteneva dialogando per qualche tempo. “Buon giorno zii, come state?” al saluto del nipote lo zio rispondeva sornione: “Cristo (Dio) si è dimenticato di noi” oppure “Cristo non ha più posto, vedi quante disgrazie, quanti morti ci sono ogni giorno” si riferiva agli incidenti, alle guerre, di cui aveva notizie dalla televisione. Zia Margherita subito interveniva precisando in dialetto: “Carne triste (cattiva) non la vuole Cristo” per significare che forse non erano ancora buoni e pronti per essere accolti da Cristo.

Si discuteva delle esperienze di vita e immancabilmente il discorso cadeva sui fatti di guerra: “quanti morti, che stragi inutili” la vita dei sodati non aveva alcun valore, la guerra era una carneficina. Tra gli altri eventi ricordava quando, nel 1916, gli austriaci usarono i gas asfissianti mentre loro erano in trincea sul San Michele: con tanta tristezza ricordava i tanti commilitoni colpiti dai gas, e la visione del campo di morte di tante giovani vite. Pochi riuscirono fortunosamente a salvarsi, il soldato Giacomo e pochi altri avvolti nei mantelli, rifugiatisi negli anfratti che il monte offriva, riuscirono a sopravvivere. Quando i primi incominciarono a scoprirsi videro arrivare gli austriaci, allertarono i pochi sopravvissuti; i comandanti, vedendo che i vapori di morte erano spinti verso la valle, cercarono di organizzare la difesa. Gli austriaci continuavano ad avanzare sì, ma per le mutate direzioni dei venti erano colpiti anche loro dai gas, che sebbene avessero perso l’efficacia mortale, riuscivano a stordire chi ne era colpito. Pertanto i pochi soldati italiani, appena si trovarono di fronte agli austriaci riuscirono a disarmarli, a farli prigionieri, quindi li affidarono alle retrovie italiane.

“Eventi tristi! - commentava zio Giacomo - che non avvengano mai più!”.

Il sole si nascondeva dietro l’orizzonte, gli zii si apprestavano a scendere giù nel loro piccolo appartamentino, Mario saluta: “Ciao, arrivederci!”

giovedì 4 luglio 2013

Il Soldato Giulio Campanale


 
Nel maggio del 1917 erano trascorsi due anni dall’entrata in guerra dell’Italia, alleata con i Francesi, gli Inglesi e i Russi contro l’Austria e la Germania.

Ruvo era lontana ottocento chilometri dal fronte, per molti contadini e piccoli agricoltori i territori del fronte di guerra erano misteriosi, per loro che vivevano sulle dolci alture della Murgia, sentire parlare di fiumi, valli, monti era come sognare un mondo di fiabe.

Erano lontani dai rombi dei cannoni, né assistevano ai massacri, che coinvolsero le inermi popolazioni del Nord-Est italiano.

Anche Ruvo, pur essendo lontana, sosteneva il peso della guerra. I giovani erano partiti, arruolati nell’esercito; pur attenuando le faticose condizioni in cui versavano sul fronte, per attenuare le sofferenze dei genitori, descrivevano, quando riuscivano a scrivere, perché molti erano analfabeti, quegli impervi luoghi.

I contadini, al tramonto uscivano per andare in piazza a cercare il lavoro dell’indomani. I piccoli proprietari, erano incerti se assumerli, perché i prodotti venivano requisiti dallo Stato, che in questa emergenza nazionale doveva garantire a tutti il cibo necessario per la sopravvivenza.

Molti piccoli proprietari erano senza animali, fondamentali per il trasposto e le arature dei campi, perché cavalli, muli, asini erano stati requisiti dall’esercito per le salmerie dei soldati.

Tuttavia, anche se con salari ridotti, i braccianti decidevano di prestare la loro opera, sui campi avrebbero recuperato, oltre quel misero salario, un po’ di erba commestibile, che con un po’ di pane o con un po’ di legumi avrebbero sostenuto in qualche modo la propria famiglia.

Della guerra nessuno osava parlare, ma tutti avevano le orecchie attente, appena qualcuno accennava a qualche notizia che trapelava dal fronte.

Non leggevano i giornali, né ascoltavano la radio ma le poche notizie che pervenivano correvano di bocca in bocca.

I piccoli gruppetti si aggregavano tra loro quando pervenivano dal fronte le tristi notizie di morte di alcuni giovani e di gravi amputazioni di altri. Al breve vocio, seguiva un grave silenzio. Tanti aveva al fronte un figlio, un fratello, un parente, un amico; gli sguardi si incrociavano e poi si abbassavano, nessuno osava commentare gli eventi.

Molti incominciavano a ribellarsi, quando pervennero alcune notizie delle decimazioni sul fronte; ora si esasperavano gli animi, erano stati strappati loro i propri figli per la Patria, invece…

Saverio e i tre figli si erano recati a coltivare i propri campi. Dopo un lunga e dura giornata di lavoro, tornano a casa dove la moglie prepara come al solito la tavola, cercando di nascondere un grande dolore, non vuole turbare il pranzo del marito e del figli. Ma Saverio che aveva accolto alcune notizie, le chiese “è arrivata la cartolina?” Maria, così si chiamava la moglie, scoppia in lacrime e accenna il sì.

Sul fronte si aveva urgente bisogno di uomini e il comando militare decise di anticipare l’arruolamento delle nuove leve, coinvolgendo anche i giovani ancora diciasettenni, Giulio, il più grande dei tre figli maschi di Saverio era tra questi.

Il giorno stabilito Saverio accompagna il figlio Giulio alla stazione, lascia a casa gli altri due figli e alcuni parenti per sostenere la moglie straziata per i pericoli a cui andava incontro suo figlio. Nel tragitto incontrano altri coetanei di Giulio che percorrono la stessa strada. Ad un tratto incontrano uno zio che andava col il carro a lavoro, questi scorgendoli si ferma, li fa salire sul carro e li porta fino alla stazione.

I giovani pur consapevoli dei pericoli a cui andavano incontro, mostravano coraggio nascondendo con un sorriso il loro stato d’animo.

Puntualmente vedono del fumo tra gli ulivi, era la locomotiva a vapore. Arrivata in stazione, con grande stridio dei freni e fragore delle catene che tenevano uniti i vagoni, i ragazzi salutano tutti i presenti, salgono sulle carrozze di legno. Il treno sbuffa una nuvola di fumo nero, fischia e riprende la sua corsa per raccogliere altre giovani vite dai paesi circostanti.

Raggiunto le caserme, di destinazione i giovani ricevono le divise da soldati, vengono addestrati ed equipaggiati di armi.

Il 2 ottobre 1917, l’esercito subisce la disfatta di Caporetto. L’8 novembre il generale Cadorna viene sostituito dal generale Diaz.

I soldati, appena diciottenni, vengono avviati al fronte. Diaz riesce a riorganizzare e a risollevare l’esercito, rinvigorito dalle giovanissime leve;  ferma gli austriaci e riprende le posizioni perdute.

I ragazzi del ’99 condividono con i commilitoni gli atti di eroismo e i sacrifici della guerra di trincea, per lunghi periodi dovevano sostare nelle trincea ad attendere le occasioni propizie per l’assalto, intanto dovevano vigilare e ripararsi dagli attacchi del nemico.

Molte volte i rifornimenti di armi e viveri tardavano, i sentieri delle alture del Grappa non permettevano delle facili comunicazioni, le carovane degli asini lentamente salivano per i sentieri del monte, quando non erano esposte al tiro della artiglieria nemica. Pertanto i soldati, quando negli spostamenti trovavano verdure o patate, spesso le raccoglievano e pulitele, sfregandole tra le mani, le mangiavano crude.

Al fante Giulio Campanale gli era stato affidato l’arduo compito di distribuire la posta ai soldati in trincea, per cui spesso doveva attraversare spazi non protetti. Un giorno uscito allo scoperto per passare da una trincea ad un’altra viene raggiunto da una granata. Caduto a terra viene coperto da un cumulo di terra, alcuni commilitoni riescono a raggiungerlo e a portarlo in salvo, recuperando anche la posta che portava con sé.

Giulio, ricordava che il giorno dell’Epifania del ’18, erano passati alcuni giorni senza rancio, si nutrivano solo di duri galletti; quando finalmente arrivò la compagnia con i viveri, distribuì del riso, che si era congelato e non potevano versarlo nelle gavette, pertanto cercarono di ridurlo a pezzi e tutti, affamati com’erano, si affrettarono a mangiarlo.

La notte la trascorrevano nelle trincee a turno tra la veglia e il riposo, avvolti nei pastrani, che non sempre erano sufficienti a riparali dal gelo notturno alla quota a cui si trovavano.

Una notte dell’inverno del 18, Giulio si svegliò con i piedi congelati, pertanto non potendo offrire più la sua opera, fu accompagnato nelle retrovie all’ospedale. Recuperato la mobilità degli arti, fu adibito a ruoli di soccorso e di retrovia.

Intanto erano intervenuti nella guerra anche gli USA a fianco dell’Inghilterra, della Francia e dell’Italia.

Diaz nel 3-4 novembre conseguì la vittoria di Vittorio Veneto, che segnò la fine della belligeranza sul fronte italiano.

La guerra è finita, Giulio e tanti commilitoni possono tornare a casa, ma solo il 24 febbraio 1921 avrà il concedo in cui si attesta la buona condotta e di aver servito la patria con fedeltà e onore.

Giulio ritorna alla propria famiglia felice di aver superato la prova della guerra, ma segnato dalle atroci esperienze vissute sul fronte.

I contadini continuavano a riunirsi in piazza a ricordare i morti sul fronte e a sperare un lavoro per l’indomani.

lunedì 13 maggio 2013

…“Siamo noi stessi a prendere direttamente le decisioni o almeno a ragionare come si conviene sulle circostanze politiche: non riteniamo nocivo il discutere all'agire, ma il non rendere alla luce, attraverso il dibattito, tutti i particolari possibili di un'operazione, prima di intraprenderla”… (TUCIDIDE)


 
In democrazia è essenziale la discussione e il dialogo, se tutti i cittadini (o almeno quelli che vogliono partecipare alle scelte politiche) devono conoscere le condizioni e gli obiettivi delle azioni da intraprendere. Perciò è indispensabile la conoscenza dei fatti, il possesso di competenze, ma è altrettanto importante la consapevolezza della complessità degli eventi e che spesso offrono prospettive diverse che risolvono in modo differente o discorde gli interessi dei cittadini. Da ciò consegue la necessità della discussione per una condivisione o una mediazione delle scelte che non avvantaggino solo alcuni, ma si consegua un obiettivo che migliori il benessere comune e trovino soddisfazione gli interessi della maggior parte, compresa anche quella parte che risulti minoranza o opposizione politica. Ciò non significa che le scelte debbano necessariamente essere decise all’unanimità, perché nei dibattiti tale unanimità si consegue raramente. Dopo un’analisi accurata dei fatti, un’adeguata discussione per cercare un convincimento possibile, si deve passare dalla discussione ai fatti. Dalla riflessione deve conseguire un’azione decisa e attiva. È assurdo prolungare la discussione a tempo indeterminato senza operare delle scelte fattive; così operando si paralizza la vita democratica e potrebbe sfociare alla fine stessa della democrazia. È altrettanto irragionevole che in democrazia ciascuno non voglia mettere in discussione i suoi punti di vista e le sue scelte, si bloccherebbe ogni discussione, ogni confronto, manifestando l’arroganza di possedere l’unica certezza degli eventi e la volontà di sopraffazione, elementi, anche questi, che provocano fine  della democrazia.

martedì 23 aprile 2013

… si costituisce una scala di valori fondata sulla stima che ciascuno sa suscitarsi intorno, per cui, eccellendo in un determinato campo, può conseguire un incarico pubblico, in virtù delle sue capacità…(TUCIDIDE)


 
Chi eleggere? Per quanto tempo?

Con il sistema elettorale in vigore (legge n. 270 del 21 dicembre 2005) queste domande emergono spontanee, perché non c’è un diretto rapporto tra parlamentari e popolo, in quanto questi non sono scelti dai cittadini ma dalle direzioni di partito con l’avvallo esplicito o implicito del presidente o del segretario o non so come definire i dirigenti (fuori del Parlamento) del M5S. Giustamente ci si chiede perché devono stare lì per tanto tempo? Oppure, come qualcuno si è chiesto, chi può arrogarsi il diritto di giudicare i parlamentari come presentabili o impresentabili? Non esiste alcuna istituzione, tranne la Magistratura per alcuni reati, che possa dare risposte a tale domande.

Anche quando un partito, per un criterio interno, stabilisce che si può essere candidati per due o tre legislature non mi sembra un criterio adeguato, perché possono esserci dei parlamentari che, oltre ad aver stabilito dei rapporti efficaci con il popolo, si sono distinti per il loro impegno politico, e hanno acquisito efficaci esperienze di politica nazionale e internazionale, che sono utili ai fini della gestione della res pubblica.

Ritengo che una risposta possa essere data riprendendo in considerazione l’affermazione di Tucidide della Grecia classica: anche nell’Atene democratica si poneva il problema di chi dovesse occupare un ruolo pubblico. Ecco la risposta: in un popolo ci sono tanti interessi e tante occupazioni, ognuno cittadino stabilisce tante relazioni per cui “si costituisce una scala di valori fondata sulla stima che ciascuno sa suscitarsi intorno, e eccellendo in un determinato campo, può conseguire un incarico pubblico, in virtù delle sue capacità”.

La valutazione di chi andrà in Parlamento spetta al popolo che riconoscendo le capacità professionali e i rapporti politici dei candidati sceglierà l’uno piuttosto che l’altro. Per rendere conoscibili tali capacità, è opportuno che ci siano collegi elettorali legati al territorio e poco estesi, sufficienti per poter stabilire dei rapporti politici tra eletti ed elettori, basati sulla stima e sulla fiducia.

Certamente la scelta spesso può essere non del tutto ponderata, per disinformazione, per ingannevole retorica elettorale, alcune volte per subordinazione socio-economica.

Chi vuole vivere in un paese democratico deve informarsi e interessarsi, anche quando vige una democrazia rappresentativa. Gli effetti delle leggi ricadono sulla vita di ciascuno, e se i cittadini non sono tutti esperti di politica, possono valutare l’incidenza delle leggi sulla vita di ogni giorno e comportarsi di conseguenza.

Per quante legislature devono essere elette le stesse persone? Fino a quanto resiste il rapporto di stima tra ciascun rappresentante e i suoi elettori. Ritengo opportuno comunque che venga stabilito un limite di età (75 anni come avviene per i vescovi?) oltre il quale  l’esperienza e la saggezza degli uomini politici possa essere messa al servizio della comunità sotto altre forme, piuttosto che con un impegno parlamentare o istituzionale (ciò potrebbe essere opportuno anche in tanti enti istituzionali ed economici).   

sabato 13 aprile 2013

re[L]azioni presentata dall’attrice Bianca Nappi


Ho seguito con piacere e interesse lo spettacolo teatrale     re[L]azioni. L’attrice Bianca Nappi ha presentato i due monologhi di Neil LaBute, con grande efficacia, trascinando il pubblico nei labirinti del pensiero dell’autore, con una recitazione avvincente e coinvolgente. Attraente è stata quando, rivolta verso il pubblico, ha inveito contro lo spasimante. Brava Bianca nel rendere reale sulla scena ogni evento che racconta.

I due monologhi, anzi tre, riferiscono tre stati d’animo differenti in qualche modo unificati dalla immediatezza della reazione, e dalla visione estetica delle circostanze.

Una donna in attesa è tradita dal suo uomo, pertanto decide di cogliere dell’amore l’esaltazione del piacere non ripetibile; "uno, uno per una volta", la relazione rimane sensuale, superficiale, viene meno in lei la fede nell'amore grande, duraturo, eterno.

Inveire contro l’Islamismo in modo paradossale  ed esaltare l’operato del presidente Bush, se può essere una reazione comprensibile, una reazione immediata all’attentato dell’11 settembre, che giustamente richiede l’individuazione e la punizione dei colpevoli, non può essere trasformata in guerra di cultura (o di religione). Si sarebbe trascinati nello stesso fanatismo e acuirebbe ancora di più la radicalizzazione culturale, per cui la critica  della scelta politica di Obama mi sembra esagerata.

Anche l’invettiva contro il corteggiatore  è una reazione  forte, immediata, della donna che vuole difendere la propria dignità e libertà, nei confronti dell'uomo che la vorrebbe  legata a sè con un vincolo di subordinazione.

La libertà è la possibilità di autorealizzarsi di scegliere il proprio modo di vivere, ciascuno con la propria bellezza e con i propri rischi. E' l’esistente (uomo o donna) che porta il peso della scelta, sperando che non cadi nell’angoscia...

sabato 23 marzo 2013

La preghiera di Gesù


 
 
1.      Così parlò Gesù. Quindi, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te.

2.      Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato.

3.      Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo.

4.      Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l'opera che mi hai dato da fare.

5.      E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse.

6.      Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me ed essi hanno osservato la tua parola.

7.      Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te,

8.      perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro; essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato.

9.      Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi.

10.  Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie, e io sono glorificato in loro.

11.  Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi.

12.  Quand'ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho custoditi; nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si adempisse la Scrittura.

13.  Ma ora io vengo a te e dico queste cose mentre sono ancora nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia.

14.  Io ho dato a loro la tua parola e il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.

15.  Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno.

16.  Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.

17.  Consacrali nella verità. La tua parola è verità.

18.  Come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo;

19.  per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati nella verità.

20.  Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me;

21.  perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.

22.  E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola.

23.  Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me.

24.  Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo.

25.  Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; questi sanno che tu mi hai mandato.

26.  E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».

Giovanni 17, 1-26