domenica 19 luglio 2009

Quattro amici

Mario, Franco, Nico e Rino si erano incontrati, ancora ragazzi, nell'oratorio Don Bosco tra loro si stabilì subito una buona amicizia. Frequentavano le riunioni tenute dal parroco, nelle giornate uggiose d'inverno si trattenevano a giocare nel locale dell'oratorio, quando il tempo permetteva, come tanti ragazzi del paese percorrevano più volte la parte del corso frequentato dai giovani.
Nella scelta degli studi ognuno scelse l'indirizzo che ritenne a sé più adatto e le discussioni nel gruppo divennero più articolate e interessanti.
Mario e Franco si incontravano spesso sul treno perché andavano a Bari, e lungo il tragitto si scambiavano le proprie esperienze di vita e di studio. Sebbene seguissero studi differenti, Mario frequentava la facoltà di Lettere e Filosofia, mentre Franco era studente dell'Istituto Tecnico Industriale, si scambiavano le esperienze più significative dei propri studi, con grande interesse e partecipazione reciproca.
Si parlava di dottrine politiche, si confrontavano correnti di pensiero in modo approssimato ma animato; Franco raccontava gli esperimenti di laboratorio, ma era entusiasta soprattutto per le visite dei laboratori di informatica. Spesso portava delle schede perforate e tramite quelle illustrava il funzionamento dei computer, e cosa era il calcolo binario (all'epoca i computer erano delle grandi macchine che occupavano anche una sala e richiedevano degli operatori che dovevano perforare delle schede per la programmazione). Alle discussioni spesso partecipavano altri ragazzi, compagni di scuola o semplicemente di viaggio.
La sera puntualmente si usciva, d'inverno per circa un'ora dalle 19 alle 20 circa, d'estate l'uscita era posticipata alle 20 e si rientrava verso le 22. L'appuntamento era il primo albero di tiglio del corso Cavour. All'ora stabilita puntualmente avveniva l'incontro, si concedeva una tolleranza di 5-10 minuti, passato tale tempo si era liberi di andare, ciò era stato deciso sia per il rispetto della puntualità, sia perché poteva sempre accadere nelle proprie famiglie che emergessero altri impegni, e non sarebbe stato giusto sacrificare il tempo disponibile ad aspettare, c'erano altri amici e non sarebbe stato difficile incontrarsi per il corso.
Il gruppo degli amici si incrementava, veniva Nico, Rino e tanti altri: si parlava di scuola, del lavoro che ciascuno prestava, quando poteva, nelle aziende famigliari, si parlava di sentimenti, di amori, di ragazze, alcune volte con serietà altre volte con pettegolezzi vari. Nelle discussioni serie e facete si maturava, si progettava il futuro proprio e del mondo intero.
La canzone di G. Paoli “Eravamo quattro amici al bar”, esprime con efficacia queste esperienze giovanili, quando i giovani vogliono porre tutte le proprie energie per migliorare il mondo.
Per un lungo periodo si discusse come poter usare l'acqua come combustibile delle auto, convinti come erano e come avevano studiato della grande energia in essa racchiusa con l'idrogeno e l'ossigeno. E tanti, tanti altri progetti...
Poi, quando furono preparati, Mario si laureò in Filosofia, Franco, dopo alcuni anni in Ingegneria elettronica, Nico in Lettere, Rino in Medicina, il gruppo degli amici si sfaldò, non per propria volontà, è rimasto sentimentalmente unito, ma per motivo di lavoro. Alcuni si sono trasferiti al nord, disperdendo tanti sogni e mettendo a disposizione di altre regioni o città la propria professionalità. Quelli che sono rimasti in Paese continuano a prestare con impegno e onestà la loro opera nel campo professionale e politico.

Saluto tutti gli amici della mia giovinezza e auguro ai giovani di sognare e progettare il loro futuro.

La “signorina”

Mario ha compiuto tre anni e la mamma ritiene opportuno di iscriverlo all'asilo (così si chiamava la scuola materna), ma c'era in solo asilo, tenuto dalle suore. ed era molto lontano; in alternativa c'era la possibilità di mandare il figlio alla “signorina”, (le signorine erano delle donne non sposate, spesso adulte, che avevano frequentato alcuni anni di istruzione scolastiche e che per sopravvivere trattenevano i bambini).
Bene, la mamma scelse questa alternativa, era per lei più comoda: poteva accompagnare lei stessa il proprio figliolo, o affidarlo ad una persona amica, in casi estremi avrebbe potuto, dopo ripetute esortazioni, fare andare il bambino da solo, fidando sulle amicizie o i parenti che abitavano lungo il percorso e controllando tutto dal balcone di casa fino all'ingresso della “signorina”.
Ogni mattina preparava il cestino di vimini con dei biscotti o taralli di latte, da lei stessa preparati, della frutta secca, noccioline o fichi secchi, spesso dei pezzi ci cotognata o qualche frutto, secondo le stagioni.
Mario indossato il grembiulino bianco, afferrato il cestino si avviava alla “signorina”; qui in una stanza, liberata dai mobili di casa, c'erano tante 'sedioline', acquistate e portate dalle mamme al momento dell'assunzione dell'impegno di affidare i figli.
In poco tempo la stanza si riempiva di bambini, accolti dalla “signorina”. Quando tutti erano arrivati, la “signorina” faceva segnare tutti con il segno di croce, quindi faceva recitare le preghiere del mattino con alcuni canti di chiesa.
Durante il resto della giornata leggeva alcune favole, o insegnava alcune canzoncine. Non era facile far muovere i ragazzi per lo spazio molto limitato, ma alcune volte si riusciva a fare un piccolo girotondo.
Dopo mezzogiorno, si rientrava a casa prelevati dalle mamme o da amici fidati e la stanza si trasformava in sala da pranzo per coloro che vi abitavano.