mercoledì 21 ottobre 2009

Giustizia rimandata...

Non è un racconto di fantascienza, ma un fatto realmente accaduto: tre coltivatori diretti erano confinanti: il campo di uno dei tre era il doppio dei campi di ciascuno degli altri due coltivatori, pertanto un lato segnava il confine comune con gli altri due. Il proprietario del campo più grande decise di piantare degli alberi lungo il confine. Uno dei due proprietari dei campi più piccoli ritenne che i nuovi alberi piantati non rispettassero la dovuta distanza dal confine, erano troppo vicino al proprio campo e manifestò il proprio dissenso al proprietario del fondo maggiore. Non si addivenne ad un accordo, anzi si passò alle offese e si ricorse al giudice.
In tale circostanza fu coinvolto anche il terzo agricoltore, il quale, con poca convinzione si associò con il proprietario del campo dell'estensione simile al suo. Come avviene in ogni ricorso a giudizio si rivolsero agli avvocati per sostenere la propria causa. Da quel momento il terzo agricoltore non si preoccupò più della controversia, e col passar del tempo la dimenticò del tutto. La questione passò nelle mani degli avvocati e del giudice. Questi durante diciassette anni si incontrarono solo quattro volte, tre volte praticamente per non decidere nulla, all'ultima, quella del diciassettesimo anno, il giudice emise il giudizio di primo grado.
Un anno prima della sentenza i campi non erano più di uso agricolo, ma erano già aree edificabili e tutti gli alberi erano stati sradicati.
Non mi interessa la sentenza, ma da persona, non coinvolta nei fatti, mi sono posto delle domande, è possibile che per una causa, in cui non ci sono da svolgere tante indagini, siano necessari ben diciassette anni? A cosa è servita la sentenza dal momento che le proprietà non sono più adibite all'agricoltura ma all'edilizia? Quanti rancori ha fatto radicare negli animi in questi anni?
Eppure gli avvocati di parte hanno preteso compensi ben retribuiti.
Penso che ogni cittadino di buon senso si ponga tali domande, e nello stesso tempo si renda conto dell'inefficienza della giustizia.
Non penso che ciò dipenda dall'incapacità dei giudici, né dall'insufficienza dei mezzi, ma da insensate procedure forensi, che nel tempo si sono radicate nel sistema e, mi verrebbe da pensare, artatamente procurate.

domenica 4 ottobre 2009

Nannina

In una giornata autunnale di ottobre nacque una bambina, subito protetta dall'amore dei genitori, e circondata dalla curiosità e dall'affetto del fratello maggiore e delle altre tre sorelline.
Il padre non era agiato, ma con la sua attività artigianale e commerciale riusciva a sostenere dignitosamente la propria famiglia. Svolgeva un'attività che da tempo non si pratica più: era un pellettiere, con la pelle realizzava oggetti per la casa e per la campagna, come otri e vari tipi di crivelli, che erano utilizzati per setacciare il grano e vari tipi di legumi.
Composto una congrua quantità di tali oggetti, costruiti da lui personalmente o aiutato da altri artigiani, li caricava su un carro e si dirigeva verso i mercati più convenienti.
Aveva travato un mercato cospicuo nella provincia di Foggia, pertanto spesso si recava lì. Oggi, i circa cento chilometri, che separano Foggia dal paese del padre di Nannina, si percorrono in circa un'ora, all'epoca il percorso era lungo perché il traino carico e tirato dai cavalli impiegava diverse ore, era difficile perché le strade erano sterrate, pertanto d'estate erano polverose, mentre d'inverno erano melmose, era soprattutto pericoloso per la possibilità di incorrere nei briganti.
Molti gli sconsigliavano di andare fino a Foggia, in quanto ritenuta una città pericolosa e gli dicevano “fuggi da Foggia”, e lui, che aveva trovato un buon mercato in quella zona, rispondeva “fugge da Foggia chi non è esperto di Foggia”.
Tuttavia quando viaggiava, anche lui per difesa portava una pistola.
Nannina, quando raccontava di suo padre ai suoi figli, ricordava che portava sempre con sé una pistola e ripeteva questo episodio: il giorno in cui i nonni si sposarono ed entrarono per la prima volta nella loro camera da letto, il nonno si liberò della pistola e la poggiò sul comodino, la nonna a quel gesto manifestò una certa titubanza, ma il nonno la rassicurò affermando che era un oggetto di difesa e non sparava da sé.
Nannina, visse con il padre solo due anni, infatti il padre si ammalò e morì, un mese prima che nascesse l'ultimogenito.
La madre e il figlio maggiore dovettero farsi carico della famiglia composta da due figli maschi e tre femminucce, in un'epoca in cui non si era affermata una pur parziale assistenza sociale.