mercoledì 27 gennaio 2010

Un male atavico

“A questo pensate, o re, raddrizzate le vostre parole,
voi mangiatori di doni, e le vostre inique sentenze scordate;
a se stesso prepara mali l’uomo che mali per altri prepara …”
(Esiodo, Opere e giorni)

Esiodo, nel VII sec a C, richiama gli uomini al rispetto della giustizia per una vita ordinata e pacifica e si rivolge ai re responsabili del governo delle ‘polis’ affinché siano giusti nell’emanare le loro sentenze.
Purtroppo constata che i re non erano sempre giusti e spesso nell’esercizio delle proprie funzioni erano condizionati dai doni piuttosto che dall’esigenza della giustizia.
E sottolinea che i governanti, i quali invece di pensare a ben governare la “res-publica” sono più attenti a soddisfare il proprio tornaconto, producono guai per la comunità e per sé stessi.
In ogni età la storia evidenzia la perenne conflittualità tra i governanti e i propri sudditi che spesso sono stati ridotti in condizione di schiavitù.
Molti hanno immaginato e proposto modelli ideali di buon governo in ogni età.
Per richiamarne uno noto a tanti:
Platone nell'antica Grecia aveva proposto un modello di stato, in cui i governanti, i filosofi, non dovevano possedere né beni, né famiglia per potersi dedicare alla guida dello stato. Era un modello ideale, un’evidente utopia, che sottolineava l’esigenza dell’imparzialità e il distacco dell’interesse privato da quello pubblico.
Di fatto i più forti in ricchezza e in capacità si sono sempre imposti al governo delle comunità, anche in quelle poche esperienze democratiche che nel tempo maturavano, e permanendo costantemente e perennemente diffuso il principio della necessità della giustizia e di un comportamento virtuoso.
Nell'età comunale, nei locali dove si riunivano le assemblee cittadine venivano affrescate le pareti con i simboli della giustizia, delle virtù, della pace.
Significativo è l'affresco del Buon Governo di Siena.
In ogni epoca accanto a pochi probi governanti si ha memoria di innumerevoli governanti che hanno approfittato del loro ruolo per accumulare ricchezze per sé e per i propri parenti.
Con una maggiore diffusione della ricchezza e lo sviluppo della cultura le classi più abbienti hanno preteso la condivisione del governo.
Le ingiustizie e i soprusi non sono diminuite affatto, anzi si sono moltiplicate assumendo forme diverse.
Nel '400, '500, '600, mentre si esaltava la dignità dell'uomo, si moltiplicavano i progetti politici, le utopie, e la richiesta di una maggiore giustizia e della libertà individuale.
Nei secoli successivi si accentua l'esigenza di giustizia, di uguaglianza, di libertà, ma questi diritti, affermati come universali, di fatto sono riservati ai cosiddetti cittadini attivi che intrigano tra loro per sopraffarsi a vicenda, mentre sfruttano la povera gente sia contadini che operai.
Con l’affermazione dell’industria moderna gli imprenditori filantropi sono emarginati e sconfitti.
I governanti, espressione della classe imprenditoriale, intrecciano i loro interessi con l'esercizio dell'autorità di governo.
Intanto nel Settecento e nell’Ottocento si affermano due strumenti per il controllo del buon governo: la divisioni dei poteri e la democrazia a suffragio universale, tuttavia l'antico vizio della cura dei propri interessi ai danni del bene pubblico non viene meno e gli scandali tra i governanti si moltiplicano.
Dagli inizi del Novecento, soprattutto dopo la prima guerra mondiale, l’attività dello stato pervade ogni ambito della vita sociale, le costituzioni enunciano che la sovranità appartiene al popolo, ma questo elegge sì i propri rappresentanti al Parlamento, ma non riesce a controllare né gli atti dei parlamentari né l’operato dell’esecutivo che si frammenta nei tanti rivoli dell’apparato burocratico e delle varie commesse.
Con una maggiore trasparenza delle attività politiche e amministrative e con il controllo della gestione delle risorse pubbliche si potrebbe limitare la prevaricazione e la gestione impropria di tali risorse.
I gestori della cosa pubblica dovrebbero avere un forte senso etico e una concezione alta della politica per frenare le proprie ambizioni e gli interessi privati.
Ma ciò non è sufficiente infatti quando si passa nell’azione pratica nell’affidamento dei lavori nei vari settori operativi i governanti dovrebbero avere la capacità di selezionare persone affidabili e questi a loro volta utilizzare amministratori e maestranze altrettanto affidabili; ma in un mondo degli affari, degli interessi, del profitto si può pretendere tanto?
Il male atavico può essere limitato con un forte senso civico da parte di tutti, con un’accorta vigilanza democratica, con una sana legislazione ed un’efficacia opera della magistratura, che sostengano l’operato del retto governare.

domenica 10 gennaio 2010

"Processo breve?"

In questi giorni si discute in Parlamento del “processo breve”.
È giusto che i processi si celebrino in tempi adeguati, commisurati alle difficoltà di espletare le dovute indagini e di operare le opportune riflessioni dalle parti in contrasto. È difficile stabilire i tempi di tali operazioni, ma è opportuno che, raccolte le prove gli avvocati e i magistrati, esaminino con le loro competenze le varie situazioni e in base alle leggi emanino le dovute sentenze.
Se per mancanza di magistrati o per lunghe procedure burocratiche i processi dovessero prolungarsi nel tempo sarebbe necessario intervenire sulle défaillances accertate, ma non è giusto prescrivere i reati, sarebbe la più grave violazione dello stato di diritto e sancirebbe l'incapacità dello stato di amministrare la giustizia, comportamento il più ignobile per lo stato e offensivo per i cittadini offesi e potrebbe suscitare dei gravi disordini nella vita civile.
Un'amministrazione della giustizia deve fare rispettare le leggi dello Stato con moderazione, ma con decisione e in tempo il più breve possibile.
La prescrizione dei reati, senza un giudizio, potrebbe far diffondere tra i cittadini il senso di impunità, con conseguenze gravi per la convivenza serena e pacifica.
Anche i ritardi nell'emettere le sentenze sono causa d'ingiustizia e di disordine sociale.
Si ha notizia di tanti importanti casi di reati e di liti che la Magistratura non riesce a dirimere, ma in questa sede riferisco una banale questione di condominio.
In un condominio sorge una lite per l'interpretazione di una norma per la partizione delle spese di manutenzione. Dopo una lunga discussione, alcuni condomini si rivolgono al tribunale denunciando la maggioranza che aveva approvato il bilancio, secondo loro, non rispettando il regolamento condominiale. Un'operazione legittima, che con un intervento del magistrato, avrebbe potuto rasserenare la convivenza tra i vari condomini, turbata da tale questione. Dopo alcuni mesi si ha la prima udienza, vengono convocati gli avvocati di parte davanti al giudice e non si prende una decisione, eppure non ci sono indagini da fare, si deve interpretare una norma, più volte oggetto di giurisprudenza. Si aggiorna l'udienza fra sei anni, chi sa quando verrà emanata la sentenza?
Intanto ogni volta che si approva il bilancio si ripropone la stessa questione, si approfondisce l'astio tra i condomini e la convivenza diventa sempre più difficile. Una soluzione della lite avrebbe potuto, in poco tempo, ridurre le frizioni e contribuire a una vita più serena.
È mai possibile che due avvocati e un giudice abbiano bisogno di tanto tempo per interpretare una norma condominiale?