lunedì 5 febbraio 2007

Il muro caduto

Due grandi utopie, direi di tutti i tempi, ma affermatesi prepotentemente nel XVIII e XIX secolo, hanno condizionato e condizionano ancora la società, la politica e la storia: il Mito della Libertà e il Mito dell’Uguaglianza.
Tra la prima e la seconda guerra mondiale questi due miti si sono manifestati in due strutture politico-economiche differenti e contrapposte: il mondo capitalistico, liberale-democratico, e il mondo socialista, democratico-popolare.
Durante la seconda guerra mondiale, per contrastare i nazismi e i fascismi, i democratici e i socialisti hanno combattuto come alleati, ma finita la guerra sono entrati in conflitto tanto da tenere il mondo col fiato sospeso per decenni con la cosiddetta Guerra Fredda, con la corsa agli armamenti e, ancora più terribile, con la diffusione della Bomba Atomica e delle armi nucleari.
In alcuni momenti di tensione si riteneva che da un momento all’altro potesse accadere la fine del mondo. (Oggi si parla poco di questo potenziale bellico, in seguito alla moratoria della produzione delle armi di distruzione di massa e alla distensione, ma gran parte di questo potenziale bellico è ancora attivo…)
Non entro nell’analisi storica di questo conflitto, ma vorrei richiamare l’attenzione su questa mia riflessione: gli uomini, che pur hanno individuato questi due grandissimi miti che si ispirano alla libertà e all’uguaglianza, per interressi, intrighi, voglia di potere, nella loro attuazione pratica li hanno interpretati in un modo talmente contorto da metterli l'uno contro l’altro.
Quanti son morti, quante sofferenze sono state diffuse in questi ultimi secoli per l’affermazione di due miti, che si propongono di difendere due fondamentali aspetti della dignità umana.
Finalmente il 1989 il muro è caduto, ma tra gli uomini i due miti rimangono tali, e il dibattito nella società rimane rovente, e rimarrà finché non si riuscirà a coniugare nei migliori dei modi la libertà con la solidarietà.

L’utopia

L’utopia, il non luogo, l’isola che non c’è, è il cantuccio della nostra anima dove sono depositati i nostri sogni.
Molti filosofi e letterati hanno scritto utopie, soprattutto nei momenti delle grandi crisi della storia, e queste sono per noi ottimi documenti delle aspirazioni dell’umanità nelle varie epoche. Il senso di disagio dell’uomo spesso viene risolto in un mondo di sogni e di speranze.
L’utopia ordina e realizza in un mondo fantastico queste aspirazioni, che spesso creano aspettative e suscitano impegno tanto da modificare nel tempo profondamente il mondo in cui si vive, un mondo di bene, di giustizia, di pace, di felicità, oppure un mondo in cui vengono soddisfatti i bisogni di tutti.
Altre volte si costruiscono mondi orrendi in cui si scaricano paure e passioni.
L’utopia è una favola, ma una favola che scaturisce dal profondo del cuore porta con sé il travaglio dell’umanità, che, spinta dalla tensione a migliorare sé stessa rifiuta il presente e con l’immaginazione progetta il futuro. Giustamente il noto cantautore Edoardo Bennato nella canzone “L’isola che non c’è” afferma che questo mondo è un nulla, ma senza questo sogno è veramente difficile vivere.