lunedì 22 novembre 2010

Partito carismatico? No Grazie!

Fino ad oggi ho ritento di essere nato e vissuto in una società laica e democratica, in cui la sovranità, come afferma la nostra Costituzione, appartiene al Popolo che la esercita nei modi e limiti stabiliti dalle leggi.
In una democrazia rappresentativa, l’esercizio della sovranità del popolo è sostanzialmente ridotta all’elezione dei parlamentari, i quali, al momento delle elezioni, presentano un progetto reale o un indirizzo politico, per cui gli elettori eleggono un rappresentante piuttosto che un altro. Ciò avviene con maggiore consapevolezza se il candidato è un cittadino che è radicato nel territorio e pertanto ha dei rapporti diretti con i concittadini.
Tempo fa, quando, si dice, c’era la Prima Repubblica, erano i partiti a redigere le liste di coloro che dovevano essere eletti. Questi erano espressione, comunque, del territorio e il popolo eleggeva coloro che riteneva più coerenti ai propri interessi o alle idealità politiche.
In Parlamento non sempre il partito che era risultato maggioritario riusciva a realizzare il proprio programma, perché spesso doveva addivenire ad un accordo con altri partiti. Ciò non era visto come un tradimento, ma con realismo era considerato un’efficace opera politica, purché i parlamentari eletti rimanessero nei limiti del programma e dei principi con cui si erano presentati agli elettori, a cui dovevano le dovute giustificazioni, come spesso avveniva.
Col tempo il numero dei partiti si moltiplicava rendendo più difficili formare le coalizioni che dovevano formare il Governo, per cui giustamente si ritenne di mettere un limite minimo di voti perché un partito potesse entrare in Parlamento, un grave sacrificio dell’espressione democratica, in parte giustificato dall’efficienza del Parlamento.
Nel contempo però si tolse il voto di preferenza, in pratica gli elettori possono scegliere un progetto politico tra quelli proposti, (due o tre ?); non possono scegliere chi deve valutare la realizzazione di tale progetto né la sua efficacia.
Oggi si sta affermando una nuova concezione della politica, che si fonda sul partito carismatico o più precisamente sul leader carismatico.
Il concetto di “leader carismatico” mi preoccupa per la tenuta della democrazia. Perché mi rimanda in dietro di secoli quando i sovrani e i principi erano eletti da Dio per dirigere il suo gregge (charisma = dono divino).
Anche se volessi assumere il termine carisma nel significato più laico del termine di “capacità di avere una forte influenza su altri” non sento alleviata la mia preoccupazione. Certo, nei gruppi ci sono delle persone che emergono per capacità di conoscenze, di organizzazione, di amministrazione, e spesso diventano leader dei gruppi, ma chi emergerà tra i tanti a livello nazionale?
Chi si metterà in tutte le liste? Chi potrà disporre dei mezzi di comunicazione di massa? Chi farà includere nel simbolo del partito il suo nome? O chi effettivamente, da leader, saprà mettere a disposizione dello Stato le proprie capacità?
Modestamente e democraticamente ritengo che sia opportuno lasciare agli elettori scegliere i propri leader, rappresentanti dei propri interessi e delle proprie idealità. Questo potrà avvenire non elevando misticamente attraverso i mass-media un capo carismatico, ma attraverso la libera elezione popolare di rappresentanti territoriali al Parlamento.

giovedì 11 novembre 2010

E stanno a guardare

Ogni volta che Mario partiva dalla casa paterna, per andare a lavorare in Lombardia, viveva un piccolo dramma, non solo perché si allontanava dagli amici e dai luoghi a lui familiari, ma soprattutto perché doveva allontanarsi dai suoi anziani genitori, che nei loro progetti avevano riposto nel figlio la loro speranza di aiuto e sostegno.
Dopo i saluti, mentre Mario saliva in macchina e partiva, loro uscivano sul balcone e appoggiati alla ringhiera seguivano il figlio che si allontanava, avrebbero voluto trattenerlo, ma non volevano ostacolargli il percorso della sua vita.
Mario, che aveva messo su famiglia e doveva riprendere il lavoro, volgendo l’ultimo sguardo, li vedeva lì fermi, e si ripeteva “stanno a guardare”, sintetizzando così i propri sentimenti e quelli dei suoi in questo distacco, che faceva fatica ad esplicare.