mercoledì 2 dicembre 2009

Santa Lucia


Santa Lucia è una vergine, martire del IV secolo, venerata dalla Chiesa e ritenuta protettrice dei ciechi.
A Ruvo di Puglia la celebrazione della ricorrenza annuale avviene nella parrocchia che porta il suo nome.
Oggi è stata costruita una nuova chiesa; non molto tempo fa la parrocchia di Santa Lucia, aveva come sede una chiesetta attigua al vecchio convento dei cappuccini, che da tempo erano andati via abbandonando al degrado il convento.
Nell'antica chiesa si svolgevano le liturgie secondo il riti della Chiesa Cattolica, i giorni precedenti si teneva la novena, il giorno tredici dicembre per l'intera giornata si alternavano le varie messe e infine si faceva la processione, che percorreva le principali vie del paese.
Nannina, che aveva subito un danno alla vista ed era preoccupata che questo male si aggravasse, coltivava una profonda devozione verso santa Lucia, nella speranza e nella fede che la santa proteggesse anche la sua vista.
Durante la novena, che si svolgeva nelle prime ore del mattino, prima dell'alba si recava nella chiesetta per la santa messa e la novena. (Era consuetudine, in alcune importanti festività come quella in onore di santa Lucia e la novena del Natale, celebrare le liturgie prima dell'alba per dare la possibilità alle mamme e ai contadini di parteciparvi senza essere di ostacolo agli obblighi delle mansioni di ciascuno). Ritornata riprendeva le normali faccende di casa: se aveva già preparato il pane lo mandava al forno comune per la cottura, quindi faceva svegliare i figli e li preparava per mandali in ordine a scuola.
Come per tante feste religiose, anche per quella di santa Lucia, alle liturgie ufficiali della Chiesa si affiancano delle tradizioni popolari.
In questa circostanza nelle famiglie si preparavano e poi si distribuivano i ceci “fritti” (non erano fritti nell'olio, ma abbrustoliti con una tecnica particolare: si prendeva una pentola consumata e si riempiva di tufo bianco ridotto in polvere sufficiente per avvolgere i ceci selezionati e di calibro sufficientemente grandi e veniva posta sul fuoco. Quando i ceci al calore scoppiettavano, la pentola veniva tolta dal fuoco e si faceva raffreddare, infine si tiravano dal tufo ed erano pronti da distribuire e da mangiare).
Un'altra tradizione era l'accensione dei falò. Verso il tramonto sulle strade, non ancora asfaltate, si eregevano delle cataste di tronchi e di fascine e si incendiavano, con la partecipazione dei vicini di casa. Le grandi fiamme alcune volte lambivano le finestre del primo piano, e tanti si avvicinano per riscaldarsi, tenendosi a debita distanza mantenendo per mano i bambini.
A fine serata, quando il fuoco delle fascine era diventato cenere, soprattutto gli uomini si avvicinavano al fuoco e con delle pale raccoglievano la brace più consistente dei tronchi e la versavano nei bracieri o in appositi contenitori in ferro che venivano chiusi ermeticamente in modo tale da spegnere il fuoco e conservare il carbone per altri usi domestici. Ognuno cercava di approvvigionarsi come poteva.
I tozzi di tronco non ancora consumati si accostavano e si lasciavano riaccendere, per offrire ai passanti un breve sollievo dal freddo della notte.
Questa tradizione era uno dei momenti di vita corale del vicinato, poi, quando le strade furono asfaltate, andò scemando, perché era necessario preparare una base tale da non fare sciogliere o peggio incendiare il catrame.
Ma il fascino che la tradizione suscita, ha sostenuto la volontà di alcuni cittadini a continuare ad accendere i falò, ed oggi alla ricorrenza della festa, in piazza si accende un enorme falò con la distribuzione dei ceci e del vino caldo.