venerdì 21 febbraio 2014

Homo homini aut deus, aut lupus


La conoscenza, non è una facoltà che l’uomo ha ricevuto nella sua compiutezza, ma è in continua elaborazione, subordinata all’impegno costante dell’uomo stesso. Ne consegue che anche il lavoro è una capacità umana di ricostruire e potenziare il proprio essere, che si evolve con la conoscenza, la responsabilità e la fatica di ciascuno e dell’intera umanità.

Queste due facoltà dell’uomo, la conoscenza e il lavoro, che secondo la religione giudaico-cristiana e la cultura greca avvicinano l’uomo a Dio, e garantiscono la sua libertà, devono coniugarsi con l’intera natura dell’uomo, che è determinata anche da sensibilità e passioni.

La passione fondamentale è l’autoconservazione, l’affermazione del proprio essere. Tale passione se non è controllata dalla consapevolezza dell’essere dell’altro e della rilevanza di questo per la conservazione della vita stessa, diventa distruttiva e fonte di tanti sentimenti che generano odio, lotte e guerre.

La Bibbia narra di Caino e Abele, la storia intera testimonia i contrasti emersi e le infinite guerre che hanno insanguinato la Terra che ancora oggi in ogni continente continuano sotto varie forme a imperversare. L’uomo brillante per tante conquiste della sua conoscenza non riesce ancora a gestire con equilibrio la sua laboriosità, pertanto permane tanta miseria, tanta sofferenza e una libertà limitata. Le dignità dell’uomo sono ancora offese.


Ci sarà stato un periodo dell’innocenza dell’uomo e della sua felicità naturale? Molti nell’antichità narravano con rimpianto di una età dell’oro, Rousseau ipotizzava la condizione naturale umana come quella del buon selvaggio, in cui gli uomini vivevano in una felice armonia tra di  loro e nei confronti della natura. Altri, come il citato racconto della Bibbia del fratricidio di Abele e Caino o l’ipotesi dello stato di Natura di Hobbes, che riteneva che “homo homini lupus”, ritengono che la condizione primitiva dell’uomo sia stata caratterizzata da continue lotte. Mi sembra più verosimile la terza ipotesi enunciata da Erasmo da Rotterdam e altri “homo homini aut deus, aut lupus” che rispecchia la eterogenea natura umana.

Nell’evolversi della storia, della società e dell’uomo i rapporti tra gli uomini, in particolare il lavoro, sono mutati secondo le necessità, secondo le abilità tecniche per soddisfare i bisogni emergenti e, non in secondo ordine, dalla maturità culturale. Dai testi scolastici del mondo occidentale si evince una evoluzione della società e del lavoro secondo fasi che sommariamente possono così delinearsi: famiglie patriarcali, società schiavista, società feudale caratterizzata dalla subordinazione tra uomini, origini della classe borghese e della classe operaia. Tali fasi non sono da intendersi in modo univoco, cronologicamente dipendenti ed esclusive e spesso convivono con altre forme di aggregazione sociali e lavorative e assumono forme variegate a seconda delle circostanze che ne hanno determinato il loro sorgere. In tutte le fasi alcuni uomini hanno conseguito una certa libertà e hanno sottoposto alle proprie dipendenza tanti altri che o sono stati nella condizione di schiavitù oppure hanno potuto godere di una limitata libertà.