giovedì 15 maggio 2008

Identità e analogia

Si afferma l’identità quando si riconosce un individuo per quel che è.
Identico significa essere se stesso e per gli altri individui significa che essi sono ciò che sono.
Aristotele sostiene l’identità col principio di non contraddizione:
“è impossibile che la stessa cosa insieme inerisca e non inerisca alla medesima cosa e secondo il medesimo rispetto.” (Metafisica, IV, 3)
“é impossibile che la stessa cosa sia e insieme non sia” (Metafisica, IV, 4)
Ovvero da un punto di vista logico non si possono affermare e negare contemporaneamente le stesse caratteristiche ad uno stesso soggetto, da un punto di vista ontologico non si può affermare e negare l’essere di un soggetto.
Tale principio difficilmente può essere messo in discussione, è immediatamente intuitivo, le difficoltà iniziano quando si vuole definire l’essere-identico. Ci sono coloro, come Eraclito, che sottolineano il continuo fluire della vita e quindi la difficoltà di definire qualsiasi essere; altri, come Aristotele, ritengono che c’è un elemento fondamentale negli esseri, la sostanza, che regge le loro varie caratteristiche: per es. Mario, dal concepimento alla morte è sempre Mario, anche se nel tempo assume varie caratteristiche: bambino… giovane… anziano, sano… malato, smemorato… intelligente, lento… veloce, studente… operaio… professionista, ecc.
Ma la sostanza, questa unità o sintesi fondamentale difficilmente potrà essere colta completamente, per cui l’essere-identico, rimane un concetto limite della conoscenza.

Se con difficoltà può essere affermata l’identità per i singoli soggetti, è impossibile dichiarare l’identità di due o più soggetti. Per oggetti costruiti con la stessa struttura e nello stesso modo si può parlare di similitudine, anche se spesso si dice impropriamente che c’è identità tra questi oggetti.
Se passiamo a considerare qualsiasi soggetto naturale, sarà più coerente parlare di analogia, infatti è impossibile che due soggetti siano identici: possono essere più o meno simili, ma identici mai, altrimenti sarebbero lo stesso soggetto. Inoltre la nostra conoscenza nasce dalla relazione di noi stessi con il mondo che ci circonda e dal confronto che noi operiamo dei vari esseri. Pertanto, non conoscendo esaurientemente né noi stessi né il mondo che ci circonda, non ci resta che una conoscenza tramite l’analogia, che ci permette di cogliere gli aspetti simili degli esseri che cadono nella nostra esperienza o scienza, con la consapevolezza di non cogliere appieno la loro identità.


Nella relazione noi ci poniamo come metro di confronto e di interesse con gli altri individui: spesso riteniamo che gli altri siano identici a noi e pretendiamo che questi pensino e si comportino come noi. Non consideriamo che la fisicità e l’esperienza esistenziale (lavorativa, interrelazione, culturale) di chi ci sta di fronte possa essere molto diversa dalle nostre; per cui i punti di visti e le prospettive, anche quando sembrano essere molto simili o “identici”, di fatti hanno in sé ampi spazi di divergenze se non di conflittualità, sono analoghi.
Le difficoltà del dialogo tra individui, come tra i popoli, sorge dalla mancata considerazione della analogia esistente tra gli individui. Se ci soffermiamo su alcuni aspetti fisici e umani, consideriamo gli altri identici a noi e misuriamo il loro comportamento secondo il nostro modo di vedere, di fatto la vita di ciascun individuo è più complessa e spesso molto lontano da noi. Solo il dialogo e il “convincimento reciproco” potrebbe far emergere la differenza e la similitudine per una possibile convivenza.

Anche le scienze si dibattono tra identità e analogia.
Infatti le scienze, con l’analisi e la descrizione sempre più accurata e profonda dei vari oggetti di loro competenza, cercano di coglierne l’“identità”.Quindi, utilizzando il metodo statistico, e un procedimento analogico, definiscono modelli di comportamento o modelli interpretativi degli esseri sottoposti al loro controllo. Da ciò consegue la massima prudenza nella valutazione e nell’applicazione dei risultati ottenuti.

Analisi dei termini secondo il significato

Un termine può essere usato per significare uno o più oggetti, per cui può essere detto univoco, equivoco e analogo.
Un termine è univoco (dal latino unus, uno, e vocare, chiamare) quando esprime un solo significato.
Un termine è equivoco (dal tardo latino aequivocus, chiamato in modo uguale) quando ha dei significati del tutto diversi. Per esempio il termine “toro” può indicare l’animale toro, la costellazione Toro, il monte Toro.
Un termine è analogo (dal greco ảnalogìa, relazione) quando indica più esseri che hanno caratteristiche in parte simili in parte diverse. Per esempio il termine “vivente” può essere attribuito ad una pianta, ad un animale, all’uomo, nei tre casi presi in considerazione indica la presenza della vita (nascita, crescita, morte) tuttavia il vivere della pianta, dell’animale e dell’uomo sono molto diversi.

Nella filosofia dell’antica Grecia è stato rilevante il problema circa la possibilità di conseguire la verità.
Parmenide afferma che l’unica verità è l’Essere, infatti se consideriamo la verità come una conoscenza, che coincida esattamente con l’oggetto conosciuto e che valga per sempre e per tutti, non può essere altrimenti. Tuttavia questo Essere deve essere ingenerato, imperituro, immobile e l’esperienza sensibile umana non avrà alcuna valida giustificazione perché si nutre della molteplicità e del movimento.
La sofistica con Gorgia dimostra l’impossibilità della conoscenza dell’Essere e della verità, pertanto affida al dialogo e alla forza della parola ogni relazione umana.
Con Socrate, Platone e Aristotele si tenta di giustificare la possibilità di conseguire la verità superando il modo di pensare di Parmenide. Il termine Essere, che Parmenide usava in modo univoco, precludendosi ogni altra conoscenza vera, per Platone assume vari significati, i sommi generi; pertanto esiste l’essere identico, l’essere diverso, l’essere in quiete, l’essere in moto. Anche Aristotele afferma che il termine essere ha vari significati, le categorie; in tal modo prima Platone poi Aristotele attribuendo al termine essere vari significati potevano spiegare la molteplicità degli esseri, e il movimento altrimenti inspiegabili per Parmenide.
Con la logica medioevale verrà precisato l’uso analogico del termine, già di fatto utilizzato da Platone ed Aristotele.
Tommaso d’Aquino, utilizzando arditamente l’analogia, oserà parlare di Dio, rapportandolo all’uomo.