venerdì 17 dicembre 2010

Il primo presepe di famiglia

I bambini crescono e i genitori cercano di educarli secondo la tradizione e la propria educazione.
Il figlio maggiore, Saverio, è già grandicello e la mamma lo aiuta a fare il primo presepe, acquista le statuine dei personaggi più importanti del presepe: la Madonnina, san Giuseppe, Gesù Bambino, un pastorello suonatore di ciaramelle, una suonatrice di arpa, un pastore disteso che guarda un piccolo gregge.

Su un ripiano di una piccola libreria prepara la grotta con una carta marrone recuperata da un imballaggio, il papà porta un po' di muschio e dei ramoscelli dalla campagna ed il presepe è fatto. Tuttavia prima di mettere il bambinello nella grotta, la mamma porta la statuina al parroco per la benedizione, questi la benedice e restituendola invita a custodirla con attenzione e a recitare delle preghiere quando sarà posto nella presepe.

Era costume che tutti i figli anche quelli sposati i giorni di festa li trascorressero con i genitori, e anche quel Natale cenarono insieme i nonni, i figli e i nipotini, era una bella e rumorosa comitiva.

Quando ebbero cenato, la mamma di Saverio ricordò che alla propria casa avevano preparato il presepe.
A quella comunicazione, tutti si dichiararono pronti a trasferirsi per “far nascere Gesù”, e lo zio Ernesto, che era un musicista, prese il suo trombone per accompagnare i canti natalizi. La comitiva si mosse dalla casa del nonno alla casa del nipotino.
Qui giunti, la mamma prese Gesù bambino dal piano del comò, dove lo aveva tenuto per tutta la novena di natale illuminato dalla lampada ad olio, e lo affidò nelle mani del figliuolo, e insieme si avviarono verso il presepe, gli altri li seguirono con la candelina accesa.
Vicino al presepe la mamma sollevò il bimbo, che depose Gesù nella grotta.
Gli altri cantavano 'Tu scendi dalle stelle' e lo zio col trombone suonava.
Recitate le preghiere che il parroco aveva indicato, i presenti si scambiarono gli auguri e la mamma offrì vari tipi di dolci che lei stessa aveva preparato per la festività di natale.
Questo fu il primo presepe della famiglia, che sarà rinnovato ogni anno, arricchendosi di nuove statuine. I bimbi, che con tanta tenerezza si avvicinavano al presepe, sono diventati genitori e nonni, e collaborano ad allestire il piccolo presepe accanto all'albero di Natale.

mercoledì 15 dicembre 2010

Compagni di scuola

Sono trascorsi i primi due anni scolastici, il fratellino Nicola frequenta la prima classe della scuola media.
Mario ha stretto amicizia con i compagni di scuola, soprattutto con quelli che abitano nelle vicinanze della propria dimora, con questi ha stabilito un piano per andare insieme a scuola.
Mario abita più lontano degli altri quindi è il primo a uscire di casa, solo alcune volte si incontra con Pinuccio, che abita a due passi da casa ma questi spesso è accompagnato dai familiari. Deve percorrere circa cento metri, andare verso la fontanina di quartiere, per chiamare Vincenzo, che spesso non è ancora pronto. Entra nella casa di questi, e deve ascoltare le ultime raccomandazioni della madre mentre gli indossa il grembiule o gli ravvia i capelli. Insieme devono percorrere un buon tratto di strada, per raggiungere Loris, un altro compagno di classe. Anche Loris spesso non è pronto, non ha neppure fatto colazione, e bisogna attendere, tuttavia l’attesa non è noiosa perché la mamma, mentre il figlio beve il latte, fa pulizia di alcune gabbie di canarini che alleva in casa, Mario guarda con puerile attenzione soprattutto quando nelle gabbie ci sono i nidi con i canarini ancora impiumi. Ora sono in tre e si avviano speditamente verso la scuola perché è quasi ora del suono della campanella. Le strade erano frequentate da tanti bambini e solo alcuni di prima o seconda elementare erano accompagnati dai genitori. Per le strade non c’era traffico di auto (all’epoca nel paese c’erano pochissime autovetture) né di carri, perché alle otto i contadini già lavoravano da tempo nei campi; solo raramente circolava qualche carro che procedeva con estrema prudenza soprattutto sulle strade frequentate dai bambini.
C’era una grande intesa tra i compagni di scuola, erano diventati una squadra. In classe erano attenti alle parole e agli insegnamenti del maestro e fuori c’era una coesione di intenti, pronti a soccorrersi l’uno con l’altro.
Quando si marciava lungo il corridoio della scuola e si incontrava un’altra classe il capo squadra dava l’ordine “passo!” e tutti segnavano il passo con forza quasi per sottolineare la compattezza della squadra.L’ultimo giorno di scuola segnò la fine della vita del gruppo, molti intrapresero un lavoro, altri seguirono scuole diverse, ma non è venuto meno quel legame che ci tenne uniti per cinque anni della nostra fanciullezza, e ancora oggi, quando ci si incontra con quei pochi, che sono rimasti in paese riemerge quella simpatia che ci legò in quegli anni.

lunedì 22 novembre 2010

Partito carismatico? No Grazie!

Fino ad oggi ho ritento di essere nato e vissuto in una società laica e democratica, in cui la sovranità, come afferma la nostra Costituzione, appartiene al Popolo che la esercita nei modi e limiti stabiliti dalle leggi.
In una democrazia rappresentativa, l’esercizio della sovranità del popolo è sostanzialmente ridotta all’elezione dei parlamentari, i quali, al momento delle elezioni, presentano un progetto reale o un indirizzo politico, per cui gli elettori eleggono un rappresentante piuttosto che un altro. Ciò avviene con maggiore consapevolezza se il candidato è un cittadino che è radicato nel territorio e pertanto ha dei rapporti diretti con i concittadini.
Tempo fa, quando, si dice, c’era la Prima Repubblica, erano i partiti a redigere le liste di coloro che dovevano essere eletti. Questi erano espressione, comunque, del territorio e il popolo eleggeva coloro che riteneva più coerenti ai propri interessi o alle idealità politiche.
In Parlamento non sempre il partito che era risultato maggioritario riusciva a realizzare il proprio programma, perché spesso doveva addivenire ad un accordo con altri partiti. Ciò non era visto come un tradimento, ma con realismo era considerato un’efficace opera politica, purché i parlamentari eletti rimanessero nei limiti del programma e dei principi con cui si erano presentati agli elettori, a cui dovevano le dovute giustificazioni, come spesso avveniva.
Col tempo il numero dei partiti si moltiplicava rendendo più difficili formare le coalizioni che dovevano formare il Governo, per cui giustamente si ritenne di mettere un limite minimo di voti perché un partito potesse entrare in Parlamento, un grave sacrificio dell’espressione democratica, in parte giustificato dall’efficienza del Parlamento.
Nel contempo però si tolse il voto di preferenza, in pratica gli elettori possono scegliere un progetto politico tra quelli proposti, (due o tre ?); non possono scegliere chi deve valutare la realizzazione di tale progetto né la sua efficacia.
Oggi si sta affermando una nuova concezione della politica, che si fonda sul partito carismatico o più precisamente sul leader carismatico.
Il concetto di “leader carismatico” mi preoccupa per la tenuta della democrazia. Perché mi rimanda in dietro di secoli quando i sovrani e i principi erano eletti da Dio per dirigere il suo gregge (charisma = dono divino).
Anche se volessi assumere il termine carisma nel significato più laico del termine di “capacità di avere una forte influenza su altri” non sento alleviata la mia preoccupazione. Certo, nei gruppi ci sono delle persone che emergono per capacità di conoscenze, di organizzazione, di amministrazione, e spesso diventano leader dei gruppi, ma chi emergerà tra i tanti a livello nazionale?
Chi si metterà in tutte le liste? Chi potrà disporre dei mezzi di comunicazione di massa? Chi farà includere nel simbolo del partito il suo nome? O chi effettivamente, da leader, saprà mettere a disposizione dello Stato le proprie capacità?
Modestamente e democraticamente ritengo che sia opportuno lasciare agli elettori scegliere i propri leader, rappresentanti dei propri interessi e delle proprie idealità. Questo potrà avvenire non elevando misticamente attraverso i mass-media un capo carismatico, ma attraverso la libera elezione popolare di rappresentanti territoriali al Parlamento.

giovedì 11 novembre 2010

E stanno a guardare

Ogni volta che Mario partiva dalla casa paterna, per andare a lavorare in Lombardia, viveva un piccolo dramma, non solo perché si allontanava dagli amici e dai luoghi a lui familiari, ma soprattutto perché doveva allontanarsi dai suoi anziani genitori, che nei loro progetti avevano riposto nel figlio la loro speranza di aiuto e sostegno.
Dopo i saluti, mentre Mario saliva in macchina e partiva, loro uscivano sul balcone e appoggiati alla ringhiera seguivano il figlio che si allontanava, avrebbero voluto trattenerlo, ma non volevano ostacolargli il percorso della sua vita.
Mario, che aveva messo su famiglia e doveva riprendere il lavoro, volgendo l’ultimo sguardo, li vedeva lì fermi, e si ripeteva “stanno a guardare”, sintetizzando così i propri sentimenti e quelli dei suoi in questo distacco, che faceva fatica ad esplicare.

venerdì 22 ottobre 2010

In principio la Parola era

  1. In principio la Parola era, e la Parola era presso Dio, e la Parola era Dio.
  2. Essa era in principio presso Dio.
  3. Tutto è stato fatto per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose create è stata fatta.
  4. In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomini.
  5. E la luce risplende nelle tenebre; ma le tenebre non l'hanno avvinta.
  6. Ci fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni.
  7. Egli venne, come testimone, per rendere testimonianza alla luce.
  8. Non era lui la luce, ma venne per rendere testimonianza alla luce; affinché tutti credessero per mezzo suo.
  9. La luce, quella verace, che illumina ogni uomo, veniva nel mondo.
  10. La Parola era nel mondo, e il mondo fu creato per mezzo di lei, ma il mondo non la conobbe.
  11. Venne in casa propria e i suoi non la ricevettero.
  12. Ma a quanti l'accolsero, dette il potere di divenire figli di Dio, ai credenti nel suo Nome,
  13. i quali, non dal sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati.
  14. E la Parola è divenuta carne, ed abitò fra noi, piena di grazia e verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come d'Unigenito dal Padre.
  15. Giovanni gli ha reso testimonianza, e gridò, dicenndo: “Lui era quello del quale io vi dicevo: Colui che viene dopo di me, è stato anteposto a me, perché era prima di me,”
  16. Anzi è dalla pienezza di Lui, che noi tutti abbiamo ricevuto grazia sopra grazia.
  17. Infatti da Mosè fu data la legge; da Gesù Cristo invece è stata fatta la grazia e la verità.
  18. Nessuno ha mai veduto Dio; l'Unigenito Dio, che è nel seno del Padre, Egli stesso ce l'ha fatto conoscere.
    VANGELO SECONDO SAN GIOVANNI, Prologo. (1, 1-18)


    1. La Parola traduce il termine latino “verbum” e quello greco “logos”, che sono più pregnanti di significato, infatti stanno ad indicare il principio razionale del mondo: l'Unigenito Dio, che è nel seno del Padre.

mercoledì 20 ottobre 2010

Il PARLAMENTO

Spesso nei dibattiti politici vengono definiti ideologici alcuni partiti.Mi sono chiesto se questo appellativo abbia un valore negativo e cosa possa significare un'ideologia.
Ho consultato il Dizionario Palazzi, per un riferimento più indipendente. Nel citato dizionario si afferma che l’ideologia è “il sistema dei principi teorici che è alla base di un movimento politico o culturale”.
In tale definizione non riscontro alcunché di negativo, anzi riscontro l'impegno di un gruppo di individui che cercano una visione comune, delle linee, dei principi condivisi con cui commisurare le scelte politiche per risolvere dei problemi reali. Sarà un’ ideologia di parte, un modo di vedere la realtà di una classe sociale, tuttavia offrirà al paese un progetto condiviso da tanti cittadini.
Marx, criticava l’ideologia, che riteneva fosse una costruzione di principi astratti per mascherare la concreta realtà dei fatti materiali, riteneva l’ideologia la visione del mondo della classe dominante, che giustificava con questa surrettiziamente il proprio status politico.
Ma lo stesso Marx sollecitava la formazione della coscienza di classe tra gli operai, voleva che gli operai si rendessero conto del valore sociale del loro lavoro per rivendicare una società per loro più giusta e più libera. Anche lui proponeva un progetto teorico (ideologico) con cui aggregare gli operai per modificare il loro stato di vita.
La borghesia liberale del Settecento e dell’Ottocento aveva progettato un mondo più libero e più giusto, e per questo progetto hanno sostenuto tante rivoluzioni per realizzarlo.
Il movimento operaio dell’Ottocento e del Novecento per un progetto di un mondo più giusto e più libero hanno sostenuto numerose lotte, conquistando quei diritti sociali e la partecipazione politica che oggi viene riconosciuta in tanti paesi del mondo.
Oltre ai liberali e ai socialisti, altri cittadini, condividendo valori e visioni del mondo comuni, hanno dato vita a partiti che sostengono progetti teorici, utopie politiche che loro ritengono di possibile realizzazione.
Oggi questi partiti vengono tacciati di ideologia, in nome di una politica basata sulla prassi, sul fare. Ma per fare cosa? In favore di chi? Per raggiungere quale obiettivo? Per sostenere quali valori condivisi?
La storia degli ultimi due secoli ci insegna che l’immaginazione, i sogni, la progettazione ideale ha fatto progredire l’affermazione dei diritti umani e il benessere materiale, non senza ostacoli e conflitti. Tali conflitti sono stati più forti quando e dove si è manifestato una maggiore resistenza a riconoscere i diritti di giustizia e di libertà e una chiusura al dialogo e al confronto fra i partiti (parti del popolo, classi sociali…); dove le ideologie sono state trasformate in miti, in dogmi immodificabili. Ma nei paesi più democratici le ideologie si sono confrontate, migliorando la loro progettualità e le condizioni politiche e sociali dello Stato.
Il governo di un Paese deve pervenire ad una mediazione delle esigenze reali ed ideali dei suoi cittadini o deve affidarsi ad un’intuizione teorica di uno o alcuni individui?
Spesso c’è la tentazione di delegare ad altri la responsabilità delle scelte, oppure si vuol seguire l’istinto del gregge che ha bisogno del pastore o del branco che ha bisogno del capo.
Un popolo che vuole essere libero non può rinunziare alla partecipazione politica, a sognare e a progettare all’interno della società a cui appartiene, soprattutto non può affidare senza garanzia e limiti il governo del proprio paese ad uno o più individui che comunque sono portatori di interessi e progettualità individuali.
Il Parlamento nei paesi democratici è il luogo dove i partiti ideologici e programmatici si confrontano nella consapevolezza che le ideologie dei partiti sono di parte, non sono assoluti.
Nel Parlamento deve esercitarsi quel pensiero critico, che è confronto tra ideologie e interessi, per addivenire a soluzioni dei problemi che la storia quotidiana ogni giorno produce, e che tali soluzioni siano decise con la più ampia condivisione possibile.

giovedì 9 settembre 2010

Il maestro


Quando incontri una persona, questa ti lascia un segno per tutta la vita.
Mario ebbe la fortuna di incontrare un maestro, Vincenzo Iurilli, che con serena autorevolezza, lo ha guidato per ben cinque anni, l’intero corso dell’educazione elementare, e ancora oggi lo ricorda con affetto.
Ogni giorno all’ingresso della scuola prelevava gli alunni della propria classe e li conduceva in classe, la sua prima premura era la cura dell’ordine e dell’igiene della persona.
Con un eloquio semplice dialogava con i bambini mentre insegnava loro i rudimenti del linguaggio e delle varie scienze.
Non mancavano dei momenti di apparente severità, anche con delle bacchettate sulla palma della mano, ma sempre con oculata attenzione.
Con tanta gentilezza e pazienza guidava i bambini alla scrittura e alla lettura e, pur in un ambiente rigido con banchi uniti neri e cattedra oscura, il maestro era quasi sempre in piedi e tra i banchi vicino ai bambini, soprattutto presso coloro che avevano più bisogno di aiuto.
Il suo metodo era ispirato ad una scuola attiva, sono ancora vive in Mario le esperienze che il maestro sollecitava per far conoscere la storia del paese e le attività della vita quotidiana.
Divideva la classe in gruppi, secondo la prossimità delle residenze, per la visita delle varie botteghe artigianali.
“Damani dovete andare da un ciabattino, portate carta e penna, prendete nota dei prodotti che fa, come opera e fatevi descrivere gli arnesi che adopera, raccomando la massima educazione”
Lo stesso ordine e raccomandazione si ripeteva ogni settimana per andare al fabbro, al falegname, al sarto, allo stagnino…
“Questa volta dovete andare al comune, dall’impiegato che sta all’ingresso fatevi guidare ai vari uffici, prendete nota di tutto, massima educazione.”
Il maestro ritenne opportuno che i ragazzi fossero informati anche sui trasporti pubblici, anche questa volta divise gli scolari in due gruppi, uno doveva in formarsi delle linee automobilistiche e dei relativi costi, uno doveva andare alla stazione.
Gli elenchi e le annotazioni degli scolari erano letti e commentati in classe con attiva partecipazione di tutti.
L’ultimo giorno di scuola, a buon ragione, salutò con commozione e con alcune lacrime agli occhi, mal celate, quei bambini a lui affidati che erano diventata una squadra di amici solidali e porteranno per tutta la vita il segno del loro maestro.

La scuola elementare

Il piccolo Mario ogni mattina, con Nicola, il fratellino più grande di poco più di due anni, si recano a scuola. Di solito arrivano qualche minuto prima del suono della campanella; mentre si avvicinano all’ingresso cercano tra tanti bambini i volti dei propri compagni di classe a cui si aggregano formando dei piccoli gruppi. Iniziano a raccontarsi, con le loro vocine, gli eventi vissuti a scuola e ricordano gli impegni di scuola del giorno precedente e quelli da affrontare il giorno corrente.
Al suono della campanella si affrettano a percorrere la rampa di ingresso, sul grande ingresso i due fratellini si salutano, si ritroveranno all’uscita vicino la fontana per tornare insieme, come la mamma ha loro raccomandato.
In classe Mario va al posto assegnato e qui incomincia parlare con l’amico di banco e con i vicini fin tanto che non arriva il maestro, che spesso è già sull’uscio dell’aula e comunque non si fa attendere tanto.
In piedi dice il caposquadra e i bambini, fuori dai banchi sull’attenti salutano il maestro, che sale sulla cattedra ricambia il saluto e invita a sedersi, casa che prontamente i bimbi fanno.
Prima di cominciare la lezione, i bambini sono invitati ad uscire dai banchi e il maestro controlla la pulizia e l’ordine del grembiule e l’igiene dei bambini stessi: controlla la pulizia delle mani, il viso e il collo, se i capelli sono ben pettinati e puliti, all’epoca c’era il rischio della presenza dei pidocchi. Il maestro era attento all’igiene e puniva con bacchettate sulle mani chi non era pulito, oltre all’immediato invito alle famiglie di curare l’igiene dei ragazzi. In autunno e in inverno non emergevano inadempienze importanti, ma in primavera, quando molti bambini prima di entrare a scuola giocava sulla piazzetta antistante la scuola o sulla grande gradinata, il maestro doveva richiamare diversi bimbi che avevano il grembiulino nero speso intriso di polvere, il colletto bianco e il fiocco azzurro tutto in disordine.
Mario, per le continue premure e raccomandazione della madre, riusciva a presentarsi in ordine e pulito, ma una volta è toccato anche a lui essere bacchettato perché prima della lezione con il compagno di banco aveva scosso il banco facendo travasare l’inchiostro e quindi si erano insudiciate le mani.
Incomincia la lezione, vediamo se avete svolto i compiti a casa; aprite il quaderno sul banco, passa il maestro tra i banchi, osserva: “bene!” “ Vediamo, Bene anche tu…”, “e il tuo quaderno?”, “l’ho dimenticato a casa…” “bene…” “bene...” “perché non hai fatto gli esercizi?” “Ieri è andata via la luce…” (non era raro, soprattutto d’inverso che s’interrompesse la corrente elettrica)
“Prendete il testo di lettura, leggiamo a pagina…”
“Prendete il sussidiario, impariamo l’addizione…”
“Prendete il quaderno, oggi facciamo esercizio di dettato…”
“Prendete il sussidiario, impariamo la formazione del plurale…”
“Vediamo la cartina, dove si trova Ruvo di Puglia? quali sono le province della Puglia?”
“Impariamo la poesia ‘La rondinella’…”
I bimbi memorizzano, imparano ad usare l’italiano, per molti che parlano in famiglia il dialetto, è una nuova lingua. Con tanta delicatezza e pazienza il maestro segue l’apprendimento dei bimbi, che socializzano tra loro per l’istintiva voglia di aggregarsi e socializzare; l’acquisizione di un linguaggio comune permette loro di comunicare tra loro i propri sentimenti e le prime conoscenze.
Mario, uscito dal nido familiare, incomincia a far parte di una comunità più grande, acquisisce il linguaggio che gli permetterà di comunicare con tanti cittadini, apprende gli elementi fondamentali delle conoscenze necessarie per la vita quotidiana. Intanto si guarda intorno e, con curiosità, osserva il mondo che lo circonda.

venerdì 27 agosto 2010

Due grandi occhi (fede ragione)

Un giorno di vacanza, Luigi e un suo carissimo amico,Peppino, si recarono presso un parente per una visita di cortesia. Si trovarono nel bel mezzo di una discussione tra la madre e la figlia: discutevano del futuro della figliola, allora sedicenne. Una discussione serena, ma emotivamente forte tra le due interlocutrici. La madre, come tante madri, vedeva in prospettiva un felice matrimonio per l’unica figlia ed eventuale nascita dei nipotini. La figlia, che aveva frequentato l’istituto delle suore, che avevano un educandato e un ospizio per anziani in città, mostrava con fermezza la decisione di voler seguire la vocazione delle suore, ovvero quella di dedicare la propria vita ad alleviare le sofferenze dei vecchietti, che le proprie famiglie non riuscivano a sostenere.
La ragazza sprigionava simpatia e nella comitiva di amiche con cui era solita uscire per le passeggiate serali, si distingueva per sobrietà di comportamento ma anche per vivacità nella discussione. Le altre amiche parlavano di amore, di ragazzi, lei raccontava dei suoi progetti di vita spesso entrando in contrasto con i progetti delle altre e la discussione alcune volte diventava vivace. Spesso dei ragazzi si univano alla comitiva, e, mentre si camminava in villa, si chiacchierava, si scambiavano esperienze, si esprimevano affetti. Alcuni dei ragazzi non rimasero indifferente di fronte alla bellezza di Gianna, questo era il nome della figlia, e le dichiararono la stima se non l’amore che provavano per lei. Anche quando seppero dei suoi progetti, non desistettero facilmente dal proposito di entrare nelle sue grazie.
La madre, per ottenere sostegno alle sue proposte, si rivolse ai due sopraggiunti. Ecco, arrivate a proposito, “vi pare giusto che una bella ragazza, come lei, che è circuita dai ragazzi che le esprimono il loro affetto, si possa fare suora?” i due coinvolti in una discussione così rilevante, riguardante il progetto di vita di una ragazza, stentavano a prendere la parola; intanto Gianna confermò con fermezza la propria decisione: “ se non mi date il vostro consenso, a diciotto anni deciderò da sola, e andrò dalle suore”. Peppino intervenne nella discussione, cercando di rasserenare gli animi: “è una decisione importante, va valutata con calma” e rivolta a Gianna, “attenzione potrebbe questa tua scelta essere determinata da un momentaneo entusiasmo giovanile, rifletti sui consigli di tua madre, se la tua vocazione è quella religiosa non verrà meno il sostegno dei tuoi”.
Si continuò a parlare ancora della vita religiosa, poi si passò ad altre discussioni familiari e di eventi vari.
Luigi, un giovane che aveva seguito gli studi liceali presso il seminario, ora si trovava in una condizione problematica, doveva dare una risposta decisiva alla sua vocazione e intraprendere gli studi teologici, per accedere al sacerdozio. Da tempo era preso da continue riflessioni e ripensamenti sull’opportunità di continuare la via intrapresa, sulle proprie capacità di essere un’efficace guida di una comunità ecclesiale.
Mentre gli altri parlavano, Luigi guardava con ammirazione la ragazza, soprattutto quando questa parlava della sua vocazione; allora i suoi occhi grandi di ragazza si illuminavano di una particolare luce, che segnavano la sua decisa determinazione e la sua fede. Intanto ricordava le parole di san Paolo ai Corinti, con le quali esortava i padri a cercare un marito per le proprie figlie, secondo le usanze del tempo, tuttavia riteneva per sé non adeguata la vita matrimoniale perché diceva che l’amore di Cristo lo aveva preso a tal punto “Caritas Christi urget nos” da non poter dedicarsi ad altri amori.Questo incontro s’impose nella memoria di Luigi, ed emergeva ogni qualvolta discuteva di fede e ragione: la ragione conduce a un cammino faticoso fra ricerca, tentennamenti e parziali soluzioni; la fede erompe con forte determinazione, persuade ed rimuove ogni dubbio.

sabato 21 agosto 2010

Leader

Ogni individuo, vivendo nel proprio ambiente, progetta secondo la sua esperienza e il suo punto di vista, progetta il suo futuro, disegnando le linee di condotta del proprio comportamento.
Nella vita pratica, dovendo vivere con altri individui, deve confrontarsi necessariamente con loro. Ciò avviene già dai primi anni di vita, lo sanno bene i genitori e gli insegnanti dell’infanzia, che con tanto amore e pazienza devono aiutare i propri piccini a socializzare con fratellini e amici.
Gli eventi della vita, l’ambiente socio-economico-culturale, lo sviluppo psico-fisico, il confronto con gli altri conformano la personalità degli individui e condizionano le relazioni sociali.
Nella vita di gruppo, a seconda dei condizionamenti e delle capacità acquisite, emergono i vari ruoli di mansione e di comando. Tali ruoli nascono nel gruppo e in relazione al gruppo, per cui sono funzionali a questo, tuttavia non viene meno in ciascuno la tendenza alla libera progettazione del proprio futuro.
Queste due esigenze, la libera creatività e la necessaria condivisione con gli altri, coesistono in ogni momento dell’esistenza, e si esplicitano in vario modo nei vari ambienti in cui si esplica la vita umana.
Coloro che hanno avuto o hanno acquisito la responsabilità di coordinare o di dirigere i gruppi di lavoro o le società economiche o i partiti politici devono essere consapevoli di tali esigenze. Leader diventa colui che ha capacità di iniziativa, che riesce a coinvolgere gli altri nei progetti ideati e che sa farsi accogliere dagli altri.
Il leader è un buon coordinatore, è colui che sa creare armonia in un gruppo, che esercita la sua funzione con autorevolezza senza sacrificare la creatività e la volontà di collaborazione dei componenti il gruppo. È colui che sa fare squadra, ovvero che sollecita la solidarietà e la compartecipazione di tutti, facendoli sentire parte attiva della comunità.
Un’eccessiva autostima, potrebbe suscitare un senso di superiorità sugli altri, e questi potrebbero reagire stabilendo un distacco e nutrendo un senso di indifferenza se non proprio di avversione verso il capo. Le relazioni tra il gruppo o la comunità e il capo, apparentemente improntato da rispetto dei ruoli specifici, in pratica diventano freddi, poco creativi e produttivi e potrebbero sfociare in una situazione conflittuale.

mercoledì 21 luglio 2010

A Elvira

Ho visto un corteo variopinto
di fanciulle silenziose,
a passi lenti,
con occhi tumidi di lacrime.
È morto l’amore
_ sussurravano _
si è fermato il cuore
di una quindicenne



lunedì 19 luglio 2010

IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA

Mario ha compiuto sei anni e come tutti i bambini è iscritto alle scuole elementari.
Il primo ottobre, con la manina stretta nella mano della mamma è condotto a scuola. Per la prima volta si trova con tanti bambini vestiti con il grembiule nero, il colletto bianco legato da un fiocco azzurro e con una ben visibile “I” ricamata dalla mamma sul grembiulino.
Al suono della campanella tutti si accalcano sul grande ingresso della scuola: gli scolari delle classi superiori già conoscono il loro maestro, che li raggruppa facendoli mettere su tre file e li conduce nelle aule; i primini vengono fatti entrare con i genitori nella grande palestra dove sono stati predisposti con delle panche dei recinti. Qui i maestri con gli elenchi degli scolari che sono stati loro affidati, ad alta voce fanno l’appello dei bambini e questi con titubanza, sollecitati dalle mamme, dopo uno stretto abbraccio entrano nei recinti. Il maestro, raccolti i propri scolaretti, li guida nella classe a loro assegnata.
Mario, un po’ frastornato dalla confusione, vede allontanarsi la mamma, ed, entrato nell’aula tappezzata da tanti quadretti, ferma lo sguardo su l’unico adulto che è rimasto con loro, è il maestro.
Vincenzo Iurilli è un giovane maestro che con tanto impegno e con tanto serenità seguirà per cinque anni i bambini a lui affidati. Assegna a ciascuno il proprio banco, quindi aiuta i bambini a familiarizzare tra loro.
Questi seduti a due a due sui neri banchi di legno, sono attratti dai fori dove saranno posti i calamai e riempiti quotidianamente d’inchiostro dai bidelli. Sui muri sono attaccate tante riproduzioni di oggetti di uso quotidiano con le lettere dell’alfabeto, che in seguito i bambini impareranno a riconoscere.
Il maestro fa ripetere ai bambini il loro nome e quello di mamma e papà, intanto incomincia a ricordare gli oggetti che devono portare il giorno seguente: la matita e la penna nell’astuccio e l’asciugapennino, il quaderno e la carta assorbente. “Domani saranno messi i calamai con l’inchiostro, state attenti a non sporcarvi le mani”, “dovete essere sempre puliti ”.
Quindi racconta una favola e prova a farla ripetere ad alcuni bambini, molti parlano correttamente in italiano, tanti parlano in dialetto e il maestro li sostiene nel racconto.
Oggi è il primo giorno, il tempo trascorre velocemente; tuttavia il suono della campanella fa esultare i bambini, che fremono per andare incontro alle proprie mamme a raccontare questa prima loro avventura. “Piano, piano bambini! Mettetevi in fila così! Voi qua, voi dietro, in fila per tre! Avanti piano” all’ingresso ci sono i genitori o i fratelli maggiori ad attendere, “ricordate cosa dovete portare per domani, attenzione per la strada soprattutto voi che andate con i fratellini, buongiorno”. “Buongiorno” gridano i bambini e si dileguano, come tanti pulcini uscita dalla gabbia.

sabato 19 giugno 2010

Il parlamentare

Ogni parlamentare, deputato o senatore, è la manifestazione della volontà del popolo, da cui è stato eletto, pertanto esprime la sovranità del popolo; tuttavia la Costituzione lo svincola da un mandato diretto degli elettori, perché i legislatori devono tendere al bene della comunità. Ciò non significa che debba tradire la fiducia e le esigenze dei propri elettori, ma che, in seguito ai dibattiti parlamentari, agli approfondimenti operati, alla maturazione di una convinzione condivisibile anche dai suoi elettori, faccia le scelte più opportune per addivenire ad una legge che possa essere un bene per l’intera comunità nazionale, di ciò, comunque, dovrà rendere conto ai suoi elettori.
L’Art. 67 della Costituzione Italiana dichiara:
“Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”
Con questo articolo i costituenti hanno assegnato ad ogni parlamentare la responsabilità di superare le contrapposizioni politiche e di parte per addivenire ad una sintesi delle varie opinioni nell’interesse del bene comune.
La democrazia si rafforza e si arricchisce con il dialogo e il contributo della maggior parte dei cittadini e dei loro rappresentanti. Mentre nell’esperienza della vita politica italiana, questo articolo spesso è stato disatteso, quando si è affermata la necessità della disciplina di partito, o il cosiddetto centralismo democratico, quando si è stabilito un patto con i propri elettori.
Così facendo è stata strozzata sul nascere ogni forma di dialogo tra i vari partiti, e sono state alimentate le contrapposizioni in Parlamento rendendo faticosa e scarsamente produttiva l’attività dello stesso.E se i parlamentari sono designati dalle segreterie dei partiti e inseriti nelle liste secondo la volontà dei dirigenti, mentre gli elettori non possono esprimere le loro preferenze nei confronti degli stessi, potrebbe qualcuno immaginare che i membri del Parlamento rispettino l’art. 67? E la democrazia come sarebbe alimentata?

venerdì 18 giugno 2010

Il Partito

La parola è di per sé significativa, deriva da parte e indica che esprime opinioni di una parte dell’elettorato. In democrazia il partito dovrebbe nascere dall’esigenza dei cittadini di partecipare alla gestione del bene comune, esprimendo i propri punti di vista, le proprie necessità e le eventuali possibili soluzioni.
Il partito dovrebbe essere una punto d’incontro dove gli iscritti (e iscritti ai vari partiti dovrebbero esseri tutti i cittadini) possano esprimere le proprie esigenze le proprie valutazioni sui vari eventi politici.
I dirigenti delle segreterie dovrebbero essere capaci all’ascolto e a compiere le prime sintesi delle opinioni espresse, per poi comporle con quelle raccolte da altri partiti nella sede del Parlamento, prima della formazione delle leggi valide per tutti, per il bene comune.
In riunioni periodiche, soprattutto in prossimità delle elezioni ai vari livelli istituzionali, i coordinatori delle sezioni dovrebbero esprimere le linee politiche condivise dagli scritti, con ipotesi di programmi per la soluzione dei problemi più impellenti e chiedere la disponibilità di quanti siano ritenuti in grado di sostenerli e di portarli ad attuazione.
Il partito dovrebbe essere scuola di politica. Già discutere dei problemi individuali e condividerli con altri sarebbe un ottimo strumento di socializzazione e responsabilizzazione. Se questi fossero approfonditi e confrontati con tematiche di politica nazionale e internazionale con eventuali dibattito con cittadini esperti nei vari settori, il partito assolverebbe una funzione socializzatrice e politica di elevato livello.
Maturato dopo ampie discussioni il consenso e il sostegno consapevole non dovrebbero mancare.

Costituzione italiana, Art. 49 “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.”

giovedì 20 maggio 2010

Carta penna e calamaio - Atto primo

- Bimbi attenti, non urtate i banchi perché i calamai sono stati riempiti dal bidello. - Prendete la penna e il quaderno. - Bagnate la punta del pennino nell’inchiostro e lentamente tracciate una lineetta nel primo quadrato del quaderno. - Guardate come dovete tenere la penna… si così. - Tracciate la linea con leggerezza altrimenti l’inchiostro cade tutto sul foglio. - Oh, no, vedete che macchia si è fatta sul foglio, immergete solo la punta del pennino nel calamaio, e tracciate con leggerezza sul foglio. – Bene così – Bene! - Continuate negli altri quadretti per tutto il primo rigo.
I bimbi in silenzio con grande impegno tracciavano le aste, come il maestro aveva ordinato. Ad un tratto un pianto. – Cosa è successo! Si è sporcato il quaderno dice un bambino. – Non piangere, rassicura il maestro, prendi la carta assorbente poggiala sulla pagina e con attenzione sollevala. - Ecco così; - Un momento che si asciughi e poi continua a tracciare le altre aste, stai attento a non fare altre macchie.
- Avete completato il primo rigo? - Passate al secondo.
- Avete completato tutti? Ora basta, pulite il pennino, mettete la penna nella scatoletta; completerete la pagina a casa. Ora vi racconto una favola, attenti!

martedì 11 maggio 2010

Carta penna e calamaio - Atto secondo

- Prendete quaderno e penna. – Oggi scriveremo la ‘o’; - nei quadratini della prima riga del quaderno segnate un tondino. - Attenzione! senza uscire dai margini. - Tenete la penna in modo leggero. - Avanti, scrivete.
- Piano, non macchiate il quaderno. - Bene, così.
- Maestro ho completato il rigo. - Bene, lasciate un rigo, ripetete al terzo rigo. Un quadratino si, uno no, avanti!
- Basta, completerete la pagina nello stesso modo, a casa.
Il maestro prende una lunga asta di legno e richiama l’attenzione dei bambini sui quadretti esposti sul muro, alle sue spalle. Sono riprodotti tanti aggetti comuni, con i loro nomi scritti in corsivo e stampatello. Il maestro invita i bambini a dire il nome degli oggetti, intanto con l’asta indica la lettera iniziale dei nomi.
Casa, Albero, Imbuto, Gnomo, Rosa, Zappa…

lunedì 19 aprile 2010

Carta penna e calamaio - Atto terzo

- Buongiorno bambini. State a posto in ordine. - Raccomando la massima pulizia, dovete conservare il grembiulino sempre pulito; - su le mani, anche le mani devono essere ben lavate. - E i capelli ben pettinati e puliti - Attenzione a qualche animaletto. - Da domani prima di iniziare la lezione, controllerò se siete ben puliti. - Michele, non hai ben allacciato il fiocco. - Mauro, dove hai poggiato le mani. - Attenzione, l’igiene è molto importante per stare bene in solute vostra e degli altri.
- Riprendiamo gli esercizi di scrittura. - Prendete dalla cartella il quaderno e la penna. - Oggi faremo una cornicetta alla pagina del quaderno; vedete, così, una lineetta in un quadratino e tre foglie, ciascuna in un quadratino, ecco così come ho disegnato sulla lavagna.- Va bene, piano, con la mano leggera, senza macchiare il foglio, continuate sulle prime due linee.
- Fate attenzione non dovete uscire dai margini. - Maestro ho messo la lineetta in un altro quadratino. - Vediamo, cerchiamo di sistemare, così; fai attenzione non sbagliare più. - Chi ha terminato la parte superiore della pagina deve continuare ripetendo i disegni sotto il primo della riga superiore, così. - Poi continuerete facendo i disegnini sotto l’ultimo della parte superiore, infine unirete le due colonne con una riga inferiore.
I bambini con grande attenzione eseguono il compito loro attribuito.
- Oggi, bambini, andremo in palestra. – Su, la prima fila qui davanti a me, la seconda fila accanto alla prima, la terza accanto alla seconda. - Pietro tu sei più alto, mettiti dietro, i più bassi avanti. - Sollevate il braccio destro, questo, e poggiatelo sulla spalla di chi vi sta avanti, questa è la distanza che dovete tenere quando si commina. - Andiamo in palestra!

sabato 10 aprile 2010

Il linguaggio

Mentre i bambini venivano esercitati ad usare la penna con aste, bastoncini, cerchietti, cornicette disegnate sul quaderno, il maestro raccontava degli aneddoti, delle favole, facendole ripetere dai bambini. Mostrava oggetti, definendoli in lingua italiana. Doveva creare una certa armonia all’interno della classe: c’erano bambini, che, pervenendo da famiglia di impiegati o di liberi professionisti, parlavano in italiano e a contatto con gli altri apprendevano delle parole in dialetto; c’erano molti ragazzi, che, figli di operai o contadini, parlavano solo in dialetto e facevano fatica ad esprimersi in italiano. Mario si districava fra i due linguaggi, perché il padre, piccolo coltivatore diretto e analfabeta, aveva difficoltà a parlare in italiano, che pure comprendeva, e quando era costretto ad esprimersi in italiano lo faceva con un linguaggio suo personale, mentre quando era in compagnia di altri contadini, dovendo esprimere una parola in italiano, modificava delle vocali in modo da renderle assonanti al linguaggio dialettale. La mamma, che aveva frequentato la scuola elementare, sapeva leggere e scrivere e spesso si dedicava alla lettura di alcuni libri che le capitavano, cercava di non far parlare i figlioli in dialetto, ma doveva arrendersi quando questi parlavano con il papà.
Il maestro ogni mattina, faceva esercitare i bambini a scrivere una pagina di a, una di b, ogni giorno una lettera da scrivere su una pagina in classe, su un’altra a casa. Quindi incominciava a far comporre le parole, da ripetere dieci-venti volte, chi incontrava delle difficoltà era obbligato a ripetere l’esercizio più volte.
I bambini apprendevano un linguaggio comune, chiamavano con lo stesso nome gli oggetti e le persone circostanti, comunicavano tra loro, e quel sentimento di simpatia che lega i bambini, diventava più chiaro, più comprensibile, più solido. Si formava una nuova piccola comunità.

mercoledì 31 marzo 2010

C’è aria di festa

C’è aria di festa.
I balconi sono ornati di coperte di seta,
di colori vivaci e brillanti ai raggi del sole.
La gente saluta, si stringe la mano, si bacia,
Auguri! Auguri!
Un suono di flauto, un trillare di tamburi,
la bassa banda apre un corteo variopinto di bambini,
sventolano le bandierine
auguri! sorrisi, chiacchiericcio.
Un gruppo di giovani confratelli fa ali
alla statua del Cristo risorto.

La banda suona allegre marce.
Pum Pum Pum Trac Tric Trac
scoppiettio, lampi, fischi
si brucia la “Quarantana”.


È finita la Quaresima.
Cristo è risorto.
La gente sorride,
Si segna con la croce,
Si sente felice,
Spera nella bontà e nel futuro.
Auguri! auguri!
Buona Pasqua!



martedì 30 marzo 2010

Carnevale e “Quarantone”

Il calendario liturgico della Chiesa Cattolica prevede un periodo di riflessione e di penitenza in preparazione delle celebrazioni del Natale e della Pasqua: prima di Natale c’è l’Avvento, la Pasqua è preceduta dalla Quaresima, che inizia dal mercoledì delle Ceneri e continua fino alla domenica della Resurrezione.
L’immaginario popolare ha ritenuto di trascorrere il periodo prima dell’inizio della Quaresima come un periodo di ostentata gioia, il Carnevale, per cui in molte città si preparano dei carri allegorici, che dovrebbero comunicare una sana allegria, si organizzano feste con balli e spettacoli divertenti, si mangiava carne, (poiché in Quaresima, non molto tempo fa, i cristiani non potevano mangiare carne, oggi la Chiesa invita a rispettare l’astinenza dalle carne i venerdì della Quaresima e comunque a fare delle opere di bene e di solidarietà cristiana).
A Ruvo di Puglia la fantasia popolare ha creato due personaggi: il “Carnevale” e la “Quarantone”1. Durante il Carnevale, come in tanti paesi di Italia, sfilano le maschere, si allestiscono carri allegorici, si compongono gruppi che ballano in maschera ed altro. In particolare, nel martedì prima delle Ceneri, si celebra la morte di Carnevale, impersonato in un vecchio goffo ma brioso. Dopo uno scherzoso cerimoniale della morte e del funerale di carnevale, si accende un rogo su cui viene bruciato un fantoccio che simula il carnevale.
A mezzanotte viene appeso un altro fantoccio, una donna vestita di nero, che rappresenta la vedova di Carnevale, avvero la “Quarantone”, che resterà appesa per tutto il periodo della Quaresima e verrà bruciata dai fuochi pirotecnici al momento della Resurrezione, oggi al passaggio della processione del Cristo risorto.
Il rogo del Carnevale e la fine della “Quarantone” sono due riti macabri, che esorcizzano il male e la morte e ravvivano la speranza per una vita migliore.

1. La parola “Quarantone” è di solito resa in italiano con “Quarantana”

domenica 14 febbraio 2010

Il cuore e la testa

I ragazzi crescono e scoprono il mondo circostante, si confrontano con il mondo degli adulti e dei coetanei, e intanto vanno disegnando il loro ruolo futuro nella società. L'esperienza quotidiana, il comportamento dei genitori e degli altri familiari, la scuola con gli insegnanti e i compagni, le varie discussioni in cui vengono coinvolti, i vari avvenimenti vissuti direttamente o acquisiti tramite le varie letture offrono il complesso materiale, che ciascuno elabora in modo originale con la propria immaginazione: sogni, utopie, miti, modelli di vita.
Nannina progettava la sua vita futura, quando Marco, colpito dalla sua bellezza e dal suo fascino, cerca in tutti i modi di raggiungerla per esprimerle il suo amore.
All'epoca nel paese, ancora prevalentemente agricolo, i ragazzi e le ragazze non avevano facili occasioni di incontro, e Marco cerca di farsi notare aspettando Nannina all'uscita dalla maestra di cucito, quindi le fa pervenire il suo messaggio d'amore.
Nannina vive un momento di smarrimento, ha visto il ragazzo che la fissava con grande affetto e subito in lei si sprigionano delle vibrazioni di sintonia, è un ragazzo simpatico, ma non corrisponde al ragazzo dei suoi sogni e quindi ritarda a dare un riscontro positivo.
Marco è innamorato, non si arrende e cerca di essere sempre più vicino al suo amore.
Quando torna dal lavoro dei campi non va direttamente alla sua casa, ma passa vicino a quella della ragazza.
Intanto ha cambiato il nome della mula che traina il suo carro, le ha dato il nome Nannina, e passando vicino la casa della ragazza, fingendo di sollecitare la mula, le grida “dai Nannina! dai Nannina!”.
La giovane Nannina, che ha capito la trovata di Marco, corre a guardarlo nascosta dalla tenda della finestra.
Passano dei giorni e Nannina si confida con il fratello maggiore, che dalla morte del padre, ne ha assunto veci: “conosci Marco? È un ragazzo simpatico, ma... è analfabeta, è un contadino...” Peppino, il fratello maggiore, che conosceva Marco per aver in alcune occasioni lavorato insieme, la rassicura “è un ragazzo laborioso e serio... e la famiglia, dignitosa, si sostiene da lavoro agricolo dei componenti maschi nell'azienda famigliare”. Non dà peso alla preoccupazione della sorella per il fatto che non sappia leggere e scrivere, perché all'epoca nel paese l'analfabetismo erano una condizione diffusa anche tra i giovani.
Nannina riflette ancora per qualche giorno, quindi rendendosi conto della realtà in cui vive, rinuncia al sogno del suo principe azzurro, e si lascia trasportare dalla simpatia che il giovane Marco le suscita e gli fa pervenire un messaggio di assenso alla sua richiesta.
Si incontrano alcune volte furtivamente e intanto preparano il giorno del fidanzamento, quando i genitori di lui andranno dalla casa della ragazza per manifestare ufficialmente la seria volontà del ragazzo e portare l'anello.
Trascorrono alcuni mesi, durante i quali Marco va spesso a casa della fidanzata. Condividendo simpatia, amore e stima reciproca fissano il giorno del matrimonio.
Sbrigato le dovute formalità, nel dicembre del 1934, celebrano secondo i costumi dell'epoca la loro unione.

venerdì 5 febbraio 2010

Un'amicizia può determinare il proprio destino

Nannina, raggiunta l'età scolastica, viene iscritta dalla mamma alla scuola elementare del paese. La piccola con un po' di tristezza deve staccarsi dal nido materno, ma ecco che si trova con tante altre coetanee controllate dall'attenta e premurosa maestra. Gioca, famigliarizza con le altre bambine e intanto incomincia a tracciare i primi segni sui fogli bianchi del quaderno.
Col tempo, con la guida della maestra, e con le premure della mamma e delle sorelle maggiori, imparerà a leggere e scrivere.
Dopo i primi apprendimenti, maturerà il gusto per la lettura, per l'arte, per il bello che le farà superare con facilità e con buoni risultati le scuole elementari.
Intanto farà tante amicizie, ma con Cecilia si legherà in modo speciale tanto da essere condizionata nella sua scelta di vita.
Superato il quinquennio delle scuole elementari molte ragazze non proseguivano gli studi, per dedicarsi alle faccende domestiche o lavori di sartorie per prepararsi ad essere brave donne di famiglia e mamme.
Poche ragazze proseguivano gli studi.
A Nannina, visto il buon esito riportato nel corso degli studi elementari, le era stata offerta la possibilità di proseguire gli studi e si iscrisse alla classe superiore, invece a Cecilia i genitori non gli consentirono l'iscrizione alla stessa classe.
Le due bambine, unite da una forte simpatia reciproca, cercarono di contrastare la causa della loro separazione, seguendo ciascuna la strategia che ritenne più opportuna, difatti contrastante l'una dall'altra: mentre Nannina chiedeva alla mamma di ritirarsi dalla scuola, Cecilia sollecitava i suoi genitori di permetterle di proseguire gli studi.
I genitori di Cecilia, che economicamente erano in migliori condizioni della famiglia di Nannina, concessero alla figlia di riprendere gli studi.
Anche la mamma di Nannina, cedette alle istanze della figlia e le permise di ritirarsi dalla scuola.
Quando Nannina si rese conto dei piani incauti che aveva seguito lei e l'amichetta, ritornò a chiedere alla mamma di riprendere gli studi, ma la mamma, seguendo una logica diffusa tra i genitori dell'epoca che non consentiva di soddisfare i capricci dei figli, non ritornò più sulla decisione già presa e Nannina non continuò gli studi. Anche Cecilia, dopo alcuni mesi, si ritirò dalla scuola.
L'amicizia, che rafforza gli animi nelle fatiche, può determinare il loro destino.
Nannina, come tante ragazze della sua età, frequentò una maestra di sartoria da donna, e qui ogni giorno si recava per imparare a cucire e poi a confezionare gli abiti.
La maestra, con le allieve più anziane e più brave, rilevava le misure delle clienti e, rispettando i loro gusti, tagliava le varie parti del vestito; le altre con abilità e precisione cucivano a mano. Quando l'abito era confezionato richiamava la cliente interessata, provava su di lei il vestito, quindi secondo le necessità o lo faceva confezionare per la consegna, oppure operava i dovuti ritocchi richiesti.
Presso la maestra conobbe altre amiche con cui condivise il lavoro e i momenti di svago, fino a quando un giovanotto non si innamorò di lei e si legarono per tutta la vita.

mercoledì 27 gennaio 2010

Un male atavico

“A questo pensate, o re, raddrizzate le vostre parole,
voi mangiatori di doni, e le vostre inique sentenze scordate;
a se stesso prepara mali l’uomo che mali per altri prepara …”
(Esiodo, Opere e giorni)

Esiodo, nel VII sec a C, richiama gli uomini al rispetto della giustizia per una vita ordinata e pacifica e si rivolge ai re responsabili del governo delle ‘polis’ affinché siano giusti nell’emanare le loro sentenze.
Purtroppo constata che i re non erano sempre giusti e spesso nell’esercizio delle proprie funzioni erano condizionati dai doni piuttosto che dall’esigenza della giustizia.
E sottolinea che i governanti, i quali invece di pensare a ben governare la “res-publica” sono più attenti a soddisfare il proprio tornaconto, producono guai per la comunità e per sé stessi.
In ogni età la storia evidenzia la perenne conflittualità tra i governanti e i propri sudditi che spesso sono stati ridotti in condizione di schiavitù.
Molti hanno immaginato e proposto modelli ideali di buon governo in ogni età.
Per richiamarne uno noto a tanti:
Platone nell'antica Grecia aveva proposto un modello di stato, in cui i governanti, i filosofi, non dovevano possedere né beni, né famiglia per potersi dedicare alla guida dello stato. Era un modello ideale, un’evidente utopia, che sottolineava l’esigenza dell’imparzialità e il distacco dell’interesse privato da quello pubblico.
Di fatto i più forti in ricchezza e in capacità si sono sempre imposti al governo delle comunità, anche in quelle poche esperienze democratiche che nel tempo maturavano, e permanendo costantemente e perennemente diffuso il principio della necessità della giustizia e di un comportamento virtuoso.
Nell'età comunale, nei locali dove si riunivano le assemblee cittadine venivano affrescate le pareti con i simboli della giustizia, delle virtù, della pace.
Significativo è l'affresco del Buon Governo di Siena.
In ogni epoca accanto a pochi probi governanti si ha memoria di innumerevoli governanti che hanno approfittato del loro ruolo per accumulare ricchezze per sé e per i propri parenti.
Con una maggiore diffusione della ricchezza e lo sviluppo della cultura le classi più abbienti hanno preteso la condivisione del governo.
Le ingiustizie e i soprusi non sono diminuite affatto, anzi si sono moltiplicate assumendo forme diverse.
Nel '400, '500, '600, mentre si esaltava la dignità dell'uomo, si moltiplicavano i progetti politici, le utopie, e la richiesta di una maggiore giustizia e della libertà individuale.
Nei secoli successivi si accentua l'esigenza di giustizia, di uguaglianza, di libertà, ma questi diritti, affermati come universali, di fatto sono riservati ai cosiddetti cittadini attivi che intrigano tra loro per sopraffarsi a vicenda, mentre sfruttano la povera gente sia contadini che operai.
Con l’affermazione dell’industria moderna gli imprenditori filantropi sono emarginati e sconfitti.
I governanti, espressione della classe imprenditoriale, intrecciano i loro interessi con l'esercizio dell'autorità di governo.
Intanto nel Settecento e nell’Ottocento si affermano due strumenti per il controllo del buon governo: la divisioni dei poteri e la democrazia a suffragio universale, tuttavia l'antico vizio della cura dei propri interessi ai danni del bene pubblico non viene meno e gli scandali tra i governanti si moltiplicano.
Dagli inizi del Novecento, soprattutto dopo la prima guerra mondiale, l’attività dello stato pervade ogni ambito della vita sociale, le costituzioni enunciano che la sovranità appartiene al popolo, ma questo elegge sì i propri rappresentanti al Parlamento, ma non riesce a controllare né gli atti dei parlamentari né l’operato dell’esecutivo che si frammenta nei tanti rivoli dell’apparato burocratico e delle varie commesse.
Con una maggiore trasparenza delle attività politiche e amministrative e con il controllo della gestione delle risorse pubbliche si potrebbe limitare la prevaricazione e la gestione impropria di tali risorse.
I gestori della cosa pubblica dovrebbero avere un forte senso etico e una concezione alta della politica per frenare le proprie ambizioni e gli interessi privati.
Ma ciò non è sufficiente infatti quando si passa nell’azione pratica nell’affidamento dei lavori nei vari settori operativi i governanti dovrebbero avere la capacità di selezionare persone affidabili e questi a loro volta utilizzare amministratori e maestranze altrettanto affidabili; ma in un mondo degli affari, degli interessi, del profitto si può pretendere tanto?
Il male atavico può essere limitato con un forte senso civico da parte di tutti, con un’accorta vigilanza democratica, con una sana legislazione ed un’efficacia opera della magistratura, che sostengano l’operato del retto governare.

domenica 10 gennaio 2010

"Processo breve?"

In questi giorni si discute in Parlamento del “processo breve”.
È giusto che i processi si celebrino in tempi adeguati, commisurati alle difficoltà di espletare le dovute indagini e di operare le opportune riflessioni dalle parti in contrasto. È difficile stabilire i tempi di tali operazioni, ma è opportuno che, raccolte le prove gli avvocati e i magistrati, esaminino con le loro competenze le varie situazioni e in base alle leggi emanino le dovute sentenze.
Se per mancanza di magistrati o per lunghe procedure burocratiche i processi dovessero prolungarsi nel tempo sarebbe necessario intervenire sulle défaillances accertate, ma non è giusto prescrivere i reati, sarebbe la più grave violazione dello stato di diritto e sancirebbe l'incapacità dello stato di amministrare la giustizia, comportamento il più ignobile per lo stato e offensivo per i cittadini offesi e potrebbe suscitare dei gravi disordini nella vita civile.
Un'amministrazione della giustizia deve fare rispettare le leggi dello Stato con moderazione, ma con decisione e in tempo il più breve possibile.
La prescrizione dei reati, senza un giudizio, potrebbe far diffondere tra i cittadini il senso di impunità, con conseguenze gravi per la convivenza serena e pacifica.
Anche i ritardi nell'emettere le sentenze sono causa d'ingiustizia e di disordine sociale.
Si ha notizia di tanti importanti casi di reati e di liti che la Magistratura non riesce a dirimere, ma in questa sede riferisco una banale questione di condominio.
In un condominio sorge una lite per l'interpretazione di una norma per la partizione delle spese di manutenzione. Dopo una lunga discussione, alcuni condomini si rivolgono al tribunale denunciando la maggioranza che aveva approvato il bilancio, secondo loro, non rispettando il regolamento condominiale. Un'operazione legittima, che con un intervento del magistrato, avrebbe potuto rasserenare la convivenza tra i vari condomini, turbata da tale questione. Dopo alcuni mesi si ha la prima udienza, vengono convocati gli avvocati di parte davanti al giudice e non si prende una decisione, eppure non ci sono indagini da fare, si deve interpretare una norma, più volte oggetto di giurisprudenza. Si aggiorna l'udienza fra sei anni, chi sa quando verrà emanata la sentenza?
Intanto ogni volta che si approva il bilancio si ripropone la stessa questione, si approfondisce l'astio tra i condomini e la convivenza diventa sempre più difficile. Una soluzione della lite avrebbe potuto, in poco tempo, ridurre le frizioni e contribuire a una vita più serena.
È mai possibile che due avvocati e un giudice abbiano bisogno di tanto tempo per interpretare una norma condominiale?