domenica 30 novembre 2008

Il mastro carraio

La maggior parte del tempo il piccolo Mario la trascorreva in casa, dove la mamma lo impegnava con piccoli giocattoli.
Durante alcune ore, nelle stagioni più calde, gli era consentito di soffermarsi sull’ampio pianerottolo antistante la propria dimora, dove giocava con altri bimbi assistiti da qualche mamma più libera.
Alcune volte, attraversava un lungo corridoio e raggiungeva una veranda da cui poteva osservare l’attività artigianale del mastro carraio.
Questi disponeva di ampi spazi, dove depositava i tronchi di pino, di quercia o di altro genere per farli adeguatamente stagionare prima di lavorarli. In mezzo a questi cumuli di tronchi c’erano degli animali da cortile: polli, tacchini… ma la maggiore attrazione la offrivano i pavoni soprattutto quando distendevano le loro piume colorate.
Si sentiva un continuo stridere delle seghe, il picchiare delle asce sui legni, e quando i vari pezzi delle ruote erano assemblati, in collaborazione con il fabbro, si disponevano delle fascine a forma circolare, e su queste si poneva un pesante cerchione di ferro e si appiccava il fuoco.
Una grande fiammata si alzava e il cerchione si arroventava, quindi con maestria veniva sollevato e messo intorno alle altre parti della ruota già assemblate. Il cerchione di ferro raffreddandosi si restringeva e la ruota era pronta per essere montata al carro.
Gli artigiani avevano compiuto una bella opera, Mario aveva assistito ad uno spettacolo. Si ricordò di questa operazione nel laboratorio del Liceo, quando il professore di fisica spiegò la dilatazione dei corpi.

domenica 23 novembre 2008

LA DIGNITÀ DI ATENE

(TUCIDIDE, Guerra del Peloponneso, II, 36, 41)
«E comincerò dagli antenati: è giusto, e in pieno accordo con la circostanza presente, che si tributi ad essi l'onore del ricordo. Questo paese fu l'immutata dimora, nella vicenda di generazioni infinite, dello stesso popolo, il cui coraggio l'ha trasmesso a noi libero. [...]
Il nostro ordine politico non si modella sulle costituzioni straniere. Siamo noi d'esempio ad altri, piuttosto che imitatori. E il nome che gli conviene è democrazia, governo nel pugno non di pochi, ma della cerchia più ampia di cittadini: vige anzi per tutti, da una parte, di fronte alle leggi, l'assoluta equità di diritti nelle vicende dell'esistenza privata; ma dall'altra si costituisce una scala di valori fondata sulla stima che ciascuno sa suscitarsi intorno, per cui, eccellendo in un determinato campo, può conseguire un incarico pubblico, in virtù delle sue capacità. [...]
La tollerante urbanità che ispira i contatti tra persona e persona diviene, nella sfera della vita pubblica, condotta di rigorosa aderenza alle norme civili, dettata da un profondo, devoto rispetto: seguiamo le autorità di volta in volta al governo, ma principalmente le leggi e più tra esse quante tutelano le vittime dell'ingiustizia e quelle che, sebbene non scritte, sanciscono per chi le oltraggia un'indiscutibile condanna: il disonore. [...]
Ecco le differenze tra i nostri metodi di preparazione alla guerra e gli avversari. La città accoglie tutti, senza provvedimenti d'espulsione per segregare i forestieri da qualche nostro segreto, morale o materiale, che diffuso e caduto sotto gli occhi di un eventuale nemico Io potrebbe gratificare d'un vantaggio. La nostra fiducia rampolla dall'ardimento che sappiamo esprimere nell'azione, più che nella forza di perfetti e astuti preparativi. Nel campo educativo, i nostri avversari si studiano con pesanti esercizi, fin dalla prima età, di conseguire il coraggio; mentre da noi la vita sciolta e indipendente ci permette non meno di affrontare ad armi pari qualunque lotta.
Amiamo la bellezza, ma con limpido equilibrio: coltiviamo il pensiero, ma senza languori. Investiamo l'oro in imprese attive, senza futili vanti. Non è vergogna, da noi, rivelare la propria povertà: piuttosto non saperla vincere, operando. In ogni cittadino non si distingue la cura degli affari politici da quella dei domestici e privati problemi, ed è viva in tutti la capacità di adempiere egregiamente agli incarichi pubblici, qualunque sia per natura la consueta mansione. Poiché unici al mondo non valutiamo tranquillo un individuo in quanto si astiene da quelle attività, ma superfluo. Siamo noi stessi a prendere direttamente le decisioni o almeno a ragionare come si conviene sulle circostanze politiche: non riteniamo nocivo il discutere all'agire, ma il non rendere alla luce, attraverso il dibattito, tutti i particolari possibili di un'operazione, prima di intraprenderla. [...]
Dirò, in breve, che la città nostra è, nel suo complesso, una viva scuola per la Grecia. Non solo, ma in particolare mi sembra che ogni cittadino, educato alla nostra scuola, acquisti una personalità completa, agile all'esercizio degli impegni più diversi, con elegante disinvoltura. Non è questo puro splendore di parole, degno dell'occasione attuale, ma effettiva realtà. Lo mostra la potenza della nostra città, acquisto di tali metodi di vita. Unica infatti, nel nostro secolo, risulta nella prova superiore alla sua fama e sola non offre al nemico che l'assale motivo d'amaro sdegno per la bassa natura di quelli da cui è vinto e afflitto, e di disgusto ai sudditi, come se servissero una gente indegna. Non solo i contemporanei, ma più i posteri ci ammireranno, come autori di una potenza che ha lasciato profonde tracce nel mondo e ricche testimonianze».
(Tratto da C.Ciancio – G.Ferretti – A.Pastore – U. Perone, FILOSOFIA: I TESTI, LA STORIA, vol.I, SEI, To)