giovedì 7 agosto 2008

Il gelso rosso

Era una serena mattina di luglio e i ragazzi alla spicciolata uscivano dalle tende e respiravano l'aria frizzante del primo mattino. Sull'orizzonte una grande palla di fuoco faceva presagire che sarebbe stata una di quelle giornate infuocate d'estate. I ragazzi si lavarono, indossarono i vestiti per l'escursione, quindi si radunarono per l'alzabandiera, recitarono le preghiere del mattino quindi la guida espose il programma della mattinata: “...oggi visiteremo una masseria, è alquanto lontana, bisogna sbrigarsi...”
I ragazzi fecero colazione, e s'incamminarono verso la masseria, per abbreviare il percorso decisero di seguire il viottolo che sovrasta l'acquedotto. Sembrava un piccolo drappello dell'armata Brancaleone, che andava alla conquista di nuove esperienze, qualcuno si era armato di bastone recuperato dai rami secchi al margine del viottolo.
Tra discussione e alcuni canti di gruppo si arrivò alla masseria. La guida, un giovane di qualche anno più grande dei ragazzi, raccomandò di tenere un comportamento corretto e di stare attenti ai cani e agli altri animali che erano nell'aia, quindi richiamò l'attenzione del massaro, lo salutò e presentò il gruppo dei ragazzi, questi salutarono a loro volta ed entrarono nell'aia. Altri operai si resero disponibili a guidare il gruppo.
Visitarono le stalle e i recinti dove erano le mucche, quindi a gruppetti visitarono i laboratori dove il latte veniva trasformato in formaggio. A tutti furono offerti dei provini dei formaggi e delle ricotte che produceva la masseria. Tutto si svolse con gentilezza e cortesia e con tanta attenzione dei ragazzi.
La calura di luglio si era elevata e i ragazzi trovarono rifugio sotto un grande albero, era un albero di gelso rosso. Qualcuno incominciò ad osservare i frutti, poi decisero di chiedere il permesso al massaro di poterli raccogliere. All'assenso di questi subito ringraziarono e incominciarono la raccolta, i più ardimentosi si arrampicarono sull'albero. Per le scosse da una “frasca” si staccò un gelso e cadde sulla maglietta di un ragazzo; questi ritenendo che il gelso fosse stato lanciato da un suo amico rispose con un lancio di un altro gelso. Incominciò una battaglia e in poco tempo i ragazzi, con le mani rosse per il liquore che emanava dai gelsi, impiastrarono di rosso tutti i vestiti. Sopravvenne la signora del massaro, che, visto la furiosa battaglia, richiamò con voce alta i ragazzi, “ragazzi le macchie di gelso non vengono facilmente via con il bucato, state rovinando i vestiti, smettetela”. I ragazzi sbigottiti smisero, si guardarono e scoppiarono in una grande risata, ci fu qualcuno che incominciò a recriminare dell'accaduto gli altri, avviene spesso così che per giustificare il proprio operato si scarica la responsabilità sugli altri. Era ormai l'ora del ritorno, né c'era la possibilità di una doccia né la possibilità di cambiarsi gli abiti, la guida ordinò il ritorno, era necessario giungere al campo all'ora di pranzo. Tutti sudici di rosso di gelso, stanchi sotto l'arsura del sole di luglio, i ragazzi, come gli ultimi reduci della disfatta di Waterloo, ripercorsero il cammino del mattino per il rientro.
L'arrivo fu puntuale, ma la vista dei ragazzi così sporchi e malconci allarmò le mamme, volontarie addette alla cucina, e don Vincenzo. Questo sacerdote, che dedicava la sua opera soprattutto ai ragazzi, era l'unico organizzatore e responsabile del campo. Appena arrivati, i ragazzi ripresero la ricusazione delle responsabilità; don Vincenzo, come era suo solito con ilarità ma con decisione, raccolse i ragazzi e fece loro osservare tra l'altro come il male è sempre presente nell'animo degli uomini anche nei momenti più sereni e più belli, quindi esortò i ragazzi a mettere da parte rancori, egoismi e aggressività e a curare con maggiore impegno la solidarietà e l'amicizia.
Il pasto era pronto e le donne chiamarono a tavola i ragazzi, che affamati e assetati com'erano non si fecero rinnovare l'invito come spesso accadeva.

mercoledì 6 agosto 2008

Egregio Onorevole

Durante il periodo della mia giovinezza ho vissuto con entusiasmo la vita politica del tempo; anche se con contrapposte linee politiche si dialogava con i compagni e spesso si passavano intere serate a discutere le varie opinioni.
Nella piazza principale del paese spesso si tenevano dei comizi, soprattutto, ovviamente, in prossimità delle elezioni, e la piazza era quasi sempre gremita dal popolo. Allora ero un democristiano e partecipavo ai comizi dell'on. Aldo Moro, iscritto nella lista per la Camera del Collegio elettorale Bari-Foggia, che con stile sobrio ed elegante dipanava la sua linea politica con decisa fermezza, ricevendo applausi e approvazione anche dalla parte avversa.
Per il Senato candidato unico per la Democrazia Cristiana nel collegio, che comprendeva anche il mio comune, era Onofrio Iannuzzi, un grande oratore, che riusciva a galvanizzare la piazza con i suoi discorsi, e, pur esprimendo una critica ideologico-politica, aspra in quel momento, era sempre rispettosa dell'opinione altrui, e comunque non scadeva mai in volgarità.
I cittadini alla fine del comizio si soffermavano a discutere, confrontando le proprie valutazioni sia di adesione che di opposizione.
Ho ricordato questi due onorevoli, ma anche gli altri, di maggioranza e di opposizione, si distinguevano per solidità culturale-ideologica e per eleganza di stile.
Anche quando teneva i comizi Almirante, che pure sollevava delle serie tensioni per il forte conflitto ideologico dell'epoca, non veniva meno il reciproco rispetto e l'eloquio era sostenuto e di stile elevato.
Da tempo rilevo che il dibattito politico, pur non mancando di acute riflessioni politiche ed economiche, spesso scade in diatribe di parte. Inoltre il comportamento e il linguaggio dei leaders di grandi partiti sta diventando goliardico e triviale. Di riflesso tale linguaggio viene ulteriormente aggravato dai loro seguaci, che nella rete internet invece di confrontarsi sulle questioni politiche con serenità, tifano per uno e l'altro schieramento con un linguaggio che spesso riprende quello dei leaders nelle espressioni più colorite. Non è bello leggere volgarità nei dibattiti che dovrebbero essere “politici”.
Ritenevo che la nostra società avesse avuto un notevole progresso di civiltà e di cultura, ma dalle considerazioni suddette mi sembra che si vada verso un imbarbarimento, e ciò viene ulteriormente confermato quando per scusare alcune espressioni volgari dei leaders si dice “stava parlando alla pancia del suo partito”. È mai possibile che un leader di altra epoca rivolgendosi agli operai e a dei “rozzi” contadini usava un linguaggio decoroso ed elegante, mentre oggi per farsi capire debba usare un linguaggio volgare se non scurrile?
Se il linguaggio denota l'animo dell'uomo ...