venerdì 21 dicembre 2012

Nicola e Mario



I primi anni trascorsi in questa casa, sono anni difficili, sono gli anni della Seconda Guerra Mondiale. Per una fortuita coincidenza Marco non fu costretto ad arruolarsi, perché tutti i giovani della classe del Principe Umberto furono esonerati. Marco continuò a sostenere la propria famiglia con tutti i mezzi di cui poteva disporre.

Quando per la distribuzione delle razione di cibo all’esercito e ai civili fu decretato l’ammasso dei prodotti agricoli, Nannina e altre amiche si fingevano spigolatrici per recuperare qualche spiga di grano in più da portare a casa, frequentando i campi in cui Marco stava mietendo.

Nel 1943 Nannina e Marco ebbero un altro figlio a cui dettero il nome Nicola, come il nonno materno. Fu l’anno della guerra più difficile per l’Italia Meridionale, perché con l’armistizio e poi la dichiarazione della fine della belligeranza contro gli alleati, si scatenò la reazione dei tedeschi.

Ruvo di Puglia non subì gravi fatti d’armi, furono dati degli allarmi per lo sgombero della città, passarono degli stormi di aerei, ma non ci fu un bombardamento. In lontananza si videro delle squadriglie di aerei, ma questi si allineavano per versare i loro carichi mortali su Foggia.
Nel 1944 il fronte si spostò subito verso il Nord, allontanando la guerra dalla Puglia.

A Ruvo, proprio nelle vicinanze dell’abitazione di Marco e Anna, si erano accampati per un certo tempo gli alleati. A questi spesso offrivano quel po’ di frutta che potevano e in cambio avevano vecchi abiti o maglie oppure teli dei paracaduti non più utilizzabili, che le abili mani di Anna e delle vicine di casa riuscivano a sfilacciare per tessere nuovi abiti. Gli uomini riutilizzavano i bauli, svuotati dalle armi, come contenitori di attrezzi agricoli.

A fine novembre del 45 nacque Mario, l’ultimo figlio, che non fu dichiarato subito all’anagrafe contravvenendo alle leggi vigenti, perché in caso di chiamata alle armi sarebbe stato più adulto e sarebbe arruolato, dicevano, con lo scaglione successivo, preoccupati che non succedesse al figlio come al fratello di Marco, che dovette partecipare alla Prima Guerra Mondiale ancora diciassettenne.

venerdì 23 novembre 2012

Primarie o Congresso?


 
Domenica 25 novembre e molto probabilmente nella domenica successiva si terranno le primarie del Centro Sinistra, il 16 dicembre si terranno le primarie del PDL o del Centro Destra.

Ogni volta che il popolo partecipa alle lezioni è sempre un segno di democrazia, e senz’altro parteciperò, ma che senso dare a queste primarie? È una selezione dei rappresentanti dei partiti che partecipano alla coalizione o la selezione degli indirizzi politici all’interno di un partito?

Nelle primarie del centro sinistra mi sembra ci sia una confusione dell’una e dell’altra, ancora più confuse mi sembrano, secondo quanto apprendo dalle notizie che mi pervengono dai giornali, le primarie del PDL.

In un partito democratico dovrebbe esserci un dibattito interno sull’ indirizzo politico e sui programmi, per addivenire tramite i congressi di base e il congresso nazionale ad una sintesi e all'elezione di un segretario e una presidenza che deve rappresentare e governare tale sintesi anche in relazioni con gli altri partiti presenti  o no in Parlamento. Non mi sembra opportuno che il segretario e le direttive della Direzione vengano messe in discussione al momento delle elezioni politiche o di quelle amministrative. Così facendo si rimette in discussione tutta l’attività dei congressi precedenti e dell’operato del segretario e della direzione eletta da questi. Se nel partito emergono nuove esigenze e nuove linee politiche è necessario che all’interno del partito si discutano e si risolvano con un congresso. Altrimenti si affrontano le lezioni con poca chiarezza e divisi, quindi con un partito a rischio di sconfitta.

Diversa è la circostanza in cui più partiti si presentano in coalizione e chiedono ai cittadini, che condividono il loro progetto, di eleggere un rappresentante che possa rappresentare tale progetto comune. È una prima sintesi politica prima di giungere al confronto elettorale decisivo.

Ritengo che queste riflessioni possano valere per tutti i partiti e le varie coalizioni.

martedì 18 settembre 2012

Il mio partito

Non voglio fondare un nuovo partito, né un nuovo movimento politico, desidero semplicemente esprimere alcune mie considerazioni sui principi determinanti l’adesione di un cittadino ad un partito.
Aristotele tra le scienze pratiche comprendeva la morale e la politica. La prima cerca le norme più giuste per conseguire la felicità individuale, la seconda ricerca le leggi per una società giusta, in cui gli uomini possano vivere in armonia.

1.    La ricerca della felicità individuale e della giustizia è fortemente radicata nell’uomo, infatti tale ricerca è documentata sin dai primi scritti che ci sono pervenuti dal mondo antico che si avviava al vivere civile. Chi vuole approfondire questi argomenti può farlo facilmente aprendo un qualsiasi libro di storia o di filosofia o di letteratura antica e moderna …
La felicità può essere definita in tanti modi e legata a tante circostanze, personalmente penso  che sia condivisibile ciò che afferma lo stesso Aristotele, ovvero che un uomo è felice quando si sente autorealizzato, o, come si esprimeva il filosofo greco, quando conseguiva il proprio fine. L’autorealizzazione richiede che l’individuo non sia pesantemente condizionato dagli altri, ma che partecipi alla propria realizzazione con le proprie scelte, in breve, che sia libero.
La libertà personale ci pone in una situazione di scelta, ma si può scegliere  quando si ha consapevolezza delle possibile scelte. Agire per istinto, per passione ci può dare la sensazione della libertà, di fatto non c’è una scelta responsabile, anzi ci si affida alle inconsce leggi naturali come tanti altri esseri viventi. Alcune volte ci piacerebbe abbandonarci a tali passioni, vivere in modo romantico identificandoci con la natura, ma una peculiarità dell’uomo è la razionalità, che ci rende coscienti e responsabili delle nostre scelte.  L’uomo è libero, quindi responsabile in ogni momento della sua vita.
2.    L’uomo vive in società, pertanto deve trovare delle norme politiche adeguate perché tale società si sviluppi in modo giusto e armonico. Anche questo argomento si può riscontrare dai primi scritti prodotti dall’umanità fino alle teorie politiche dei giorni nostri. Gli individui, i gruppi, gli ordini, le classi sociali, perseguendo i propri interessi, hanno prodotto teorie politiche per creare un ordine sociale più giusto, spesso lottando con il sacrificio della propria vita.
Già nelle piccole comunità emergono egoismi, che si esprimono nei conflitti di vario genere: ideali, economici, egemonici. Nelle comunità statali e mondiali odierne tali egoismi si complicano e si esaltano. È compito della politica, se non si vuole ritornare alla sopraffazione e alle guerre, trovare la mediazione tra i vari interessi e conflitti e stabilire delle norme condivisibili per raggiungere una convivenza la più giusta possibile. Per raggiungere tale scopo tutti i cittadini devono ridurre la propria libertà e accettare le leggi stabilite dagli stati o dalle comunità internazionali. La politica dovrebbe essere sostenuta dalla morale dei cittadini e da una sana etica sociale.
La vita sociale comporta indiscutibili vantaggi per tutti. Platone nel “Protagora” riteneva necessaria la vita associata per la difesa dalle belve feroci. Aristotele ritiene l’uomo “animale politico” perché uniti in società gli uomini possono trarre tanti vantaggi e soddisfare ogni bisogno della vita, tramite lo scambio dei prodotti del lavoro … Tra gli uomini si stabiliscono relazioni affettive e di reciproca collaborazione. Nella società odierna per la diffusione della specializzazione e la parcellizzazione del lavoro, è quasi impossibile vivere in città senza l’apporto degli altri cittadini, per cui è indispensabile una fattiva solidarietà.
Tralasciando, in questo contesto, altre riflessioni, ritengo che operando politicamente non si possa venir meno a queste due esigenze dei cittadini: la libertà e la solidarietà. Non si può immaginare uno stato civile senza libertà, in cui l’uomo non percepisca di essere responsabile della propria esistenza. Tuttavia non può venir meno la consapevolezza della necessaria solidarietà, poiché il proprio benessere dipende anche dalle relazioni con gli altri. Gli egoismi, le sopraffazioni in ogni settore della vita bloccano lo sviluppo dei singoli e delle comunità.
Il mio partito è quello che, sottolineando queste due esigenze dell’uomo, riesce a coniugare, con la possibile giustizia, la libertà e la solidarietà e mi auguro che tutti gli elettori, prima di aderire ad un partito, riflettano su tali principi, anteponendoli ad altri interessi, sentimenti e passioni. 

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lunedì 25 giugno 2012

Il trasloco


Passano gli anni, è scaduto il contratto di affitto della casa in cui hanno trascorso i primi anni da sposi. Marco cerca una nuova dimora, la trova alle porte della città, ancora oggi è l’ultima casa in pietra di via S. Barbara, non è lontana dalla casa paterna di Nannina, un po’ più lontana è da quella dei genitori di Marco, (la distanza nei piccoli centri non è significativa, il centro della città non dista più di cinquecento metri dalla periferia nelle varie direzioni).
Questa casa era situata in una specie di condominio dell’epoca, si entrava in un androne dove a fianco della scala c’era un’abitazione, salita la prima rampa della scala ce n’era un altra subito a sinistra. Salito alcuni gradini c’era un pianerottolo  sul quale si trovavano  tre ingressi per altrettante abitazioni e in fondo partivano due corridoi quello di destra più corto, quello di sinistra molto più lungo che portavano ad altre abitazioni.
L’appartamento affittato da Marco, come gli altri dello stesso condominio, era composto di due vani, che avevano la luce uno dalla porta di vetro dell’ingresso, l’altro dal balcone che si affacciava su Via S. Barbara. Il Vano ingresso era più piccolo perché era stato tagliato per ricavare una piccola cucina con focolare e una scala in legno per accedere al terrazzo su cui si depositava la legna, unica fonte di energia per preparare i cibi e per il riscaldamento. Non c’era il bagno, per i bisogni si usavano i vasi da notte (vasino e vaso, detto eufemisticamente monsignore), per la pulizia personale si utilizzava un lavabo mobile con vari accessori, la bacinella per lavarsi, il secchio raccoglitore, la brocca e accessori per la barba con lo specchio. In un angolo della cucina c’era un “gettatoio” dove si versava l’acqua sporca, e questo era un segno di modernità per le case, infatti non tutte le abitazioni del paese avevano  l’allacciamento alla fognatura.

sabato 23 giugno 2012

L'ASCENSIONE DEL SIGNORE



         Tempo fa Mario partecipò ad un'interessante visita del Castel del Monte e del Centro storico di Andria, organizzata dal Touring Club. La mattinata fu impegnata alla visita del Castello, con l'ottima guida del console Cleto Bucci, suo carissimo e stimato amico. Il pomeriggio la comitiva si trasferì ad Andria dove una giovane e brava ragazza la guidò per il centro storico per la visita delle chiese e dei siti storici più interessanti di Andria. Durante il percorso si fermarono sotto la Porta di Sant'Andrea, una delle antiche porte della città di Andria. Un visitatore fermò la sua attenzione sulle tante crocette in legno fissate sotto l'arco della porta e chiese alla ragazza che guidava il gruppo perché erano poste lì quelle croci. La giovane guida, un po' esitante, rispose “forse in ricordo del passaggio di alcune processioni” e proseguì il percorso della visita.
         Mario si soffermò un attimo e gli venne alla memoria che quelle croci dovevano essere il segno di una liturgia della Chiesa Cattolica da tempo non più praticata che ricordava l'Ascensione del Signore.
         Andando in dietro nel tempo ricordò che a Ruvo di Puglia intorno agli anni '50, il giorno dell'Ascensione, dopo la celebrazione della messa delle dieci (messa grande) in Cattedrale, il “Capitolo” e i fedeli, in processione, si recavano alle quattro porte della città di Ruvo di Puglia, dove recitate le preghiere di circostanza benedetta e incensata una piccola crocetta di legno il celebrante la fissava al muro con un chiodo all'altezza di due o tre metri; nel corso degli anni il numero delle crocette si incrementava ulteriormente.
         Col tempo non ci fu una processione cittadina per questa liturgia, ma fu delegata ai parroci delle parrocchie vicino alle porte. Mario ricorda di aver partecipato alcune volte a tale cerimonia, quando il parroco della parrocchia del Redentore, don Michele Montaruli, guidava una piccola processione di parrocchiani all'angolo della via per Corato e fissava la crocetta al muro, presumibilmente nelle vicinanze di Porta Castello.
         In seguito tale liturgia non fu più svolta e forse è stata dimenticata da tanti, ecco perché la giovane guida di Andria non riusciva a dare una sicura spiegazione della presenza delle croci sulla porta di Sant'Andrea di Andria, dove certamente si ponevano le croci in memoria dell'Ascensione, come avveniva a Ruvo.
         Mario vuole rendersi conto dello stato delle croci di Ruvo e percorre l'itinerario dell'antica processione.
         A porta Noe, in via Vittorio Veneto sul muro dell'antica caserma dei carabinieri, ora trasformata in Banca non c'è alcuna croce; furono tolte in seguito al restauro dell'edificio.
         Anche sul muro laterale destro della Chiesa di San Giacomo, nelle vicinanze dell'antica porta Buccettolo, sono state rimosse le croci, in seguito al restauro della stessa chiesa.







All'angolo di piazza Giacomo Matteotti - via per Corato, Porta Castello, sono ancora presenti alcune croci erose dal tempo, e alcuni resti delle croci più antiche.







In via Cattedrale, presumibilmente Porta Nuova, sono evidenti diverse croci segnate dal tempo ma ben visibili.
        
        




Anche sulla lato destro della Cattedrale sono state eliminate tutte le croci dopo gli ultimi restauri, anche se osservando con attenzione sono visibili alcune parti di croci che hanno resistito alle incursioni delle intemperie e agli ultimi lavori di restauro.




Le crocette messe il giorno della celebrazione dell'Ascensione, erano un ulteriore simbolo che i cristiani mettevano per indicare la presenza di Cristo nella società. Nessuno nel corso del tempo ha mai osato togliere le croci dalle porte della città, neppure coloro che non condividevano la fede cristiana.
L'usura del tempo e i restauri stanno cancellando questi simboli. 
Per il diffondersi del laicismo e di nuove fedi religiose, parte della società non condivide più i simboli cristiani. 
E i cristiani, eliminando i simboli esteriori, continueranno a sostenere con determinazione i principi e i valori della fede cristiana?

domenica 20 maggio 2012

TO ROME WITH LOVE


Questo film potrebbe essere lo specchio di alcuni momenti della commedia della vita.
Spesso la vita vissuta nella normale quotidianità da molti è considerata banale, perché non riscontrano particolari emozioni e vorrebbero evadere  in un mondo che spesso è solo nei loro sogni. Woody Allen nel film fa vivere agli spettatori alcune possibili evasioni.
Uscire dalla serenità dell’angusto spazio affettivo della propria famiglia per essere immerso nella folla dei fotoreporter.
Cercare di rivivere un amore eccitante della propria giovinezza.
Rinunziare  al lavoro nel proprio luogo di residenza per un altro lavoro lontano, forse più redditizio.
Esibire le proprie doti, che nella quotidianità non sono adeguatamente apprezzate, anzi spesso sono oggetto di ironia e di scherzo.
Per molti tali evasioni diventano uno scopo della loro vita, pochi riescono ad affermarsi assumendo nuovi stili di vita con i relativi rischi, tanti vivono in un continuo conflitto tra la realizzazione dei loro sogni impossibili e la propria vita quotidiana. Woody Allen nel film fa vivere agli attori una breve esperienza delle proprie evasioni, evidenziando l’instabilità e le difficoltà cui potrebbero andare incontro, e questi accettano di ritornare a vivere serenamente la propria quotidianità, che sarà banale, ma proprio per questo più vicino alla naturalezza dei propri affetti.    

sabato 19 maggio 2012

I figli Saverio e Maria



Anna è in stato interessante per la seconda volta. I due Marco e Anna affrontano questa nuova circostanza con la massima preoccupazione, vogliono difendere il bambino che sta per nascere.
Trascorsi i nove mesi, nascono due gemelli, a cui danno i nomi dei nonni paterni: Saverio e Maria.
Alla gioia della nascita dei gemelli, si accompagna la fatica della cura necessaria per il loro sostentamento. Il latte di Anna, non è sufficiente per i due né all’epoca c’erano gli alimenti di cui le mamme dispongono oggi, per cui ricorre all’aiuto di una balia per  allattare uno dei due. Tutti i familiari cercano di dare, secondo le possibilità, la loro collaborazione, in questo momento si rileva di grande aiuto l’apporto del nipotino, anche lui di nome Saverio, che si reca spesso alla casa della zia Anna, e spesso prende il piccolo neonato e, avvolto nelle fasce e ben coperto, lo porta alla balia, mentre Anna si prende totalmente cura della piccola Maria. Marco quando ritorna dai campi dà la sua collaborazione alla moglie, ma, stanco per la fatica, non riesce sempre a contribuire validamente e per un lungo tempo.
Anche questa maternità è rattristata per la morte della piccola Maria. Dopo circa un anno e mezzo la piccola, colpita da una malattia incurabile, muore e con lei tutte le speranze che Nannina aveva riposto nella figlia femmina. La corona di angeli intorno all’immagine del Sacro Cuore ha un altro angioletto familiare.

Mamma e papà


Marco e Anna, nel loro entusiasmo giovanile rafforzato dal sentimento che li vincolava, si fecero carico del peso della famiglia senz'alcun risparmio di energia.
Dopo il primo anno di matrimonio nacque un bel bambino di carnagione chiara e dai capelli rossi, che chiamarono Saverio come il nonno paterno. Ma la gioia apportata da questo primo figlio durò poco, dopo pochi mesi  morì (all’epoca, non disponendo di efficaci cure mediche, molti bambini morivano al momento del parto o nei primi mesi di vita).
Tutti gli eventi della vita lasciano un segno indelebile nella persona che li ha vissuti, la morte del primogenito lascerà un’impronta in Anna per tutta la vita, che ogni tanto emergeva nel ricordo del figlio dai capelli rossi, che vedeva tra gli angeli che facevano corona all’immagine del Sacro Cuore, che era sul comò della camera da letto.

Le esigenze della vita sollecitano all’impegno quotidiano e il tempo copre con un velo sempre più denso i fatti trascorsi.  

Marco ogni giorno va a lavorare nei campi di suo padre o di altri, senza risparmio di fatica, è apprezzato e stimato per il suo lavoro; il ricavo del raccolto o il salario guadagnato lo consegna ad Anna, la quale, prelevatone una parte per l’economia domestica, lo deposita sul libretto bancario a lei intestato. È lei che amministra il bilancio famigliare che ha come unico introito il ricavo derivante dal lavoro di Marco e dalla vendita dei prodotti dei campi. 
Marco ha piena fiducia del suo operato, le chiede ogni tanto a quanto ammonta il deposito e, quando lo ritiene sufficiente per investirlo nella propria azienda, incomincia a fare dei progetti di acquisto facendone partecipe Anna, con cui condivide ogni decisione.

domenica 29 aprile 2012

Due vite s’intrecciano



Dopo il matrimonio i due giovani sposi, Marco e Anna, presero dimora in un piccolo appartamento non molto lontano dai loro genitori.
Marco continuava a lavorare nell’azienda del padre con gli altri due fratelli, di cui uno ancora scapolo, con i quali condivideva il ricavo del raccolto. Anna dopo aver rassettato la casa si recava dalla mamma, che già anziana aveva bisogno di aiuto e quindi dai suoceri dove collaborava a sbrigare le faccende di casa finché gli uomini tornavano dal lavoro dei campi.  Rientrati, pranzavano tutti insieme, quindi i fratelli sposati e le rispettive famiglie rientravano ciascuno alla propria casa.

 All'epoca era ancora stretto il legame patriarcale, soprattutto nel settore agricolo perché i genitori dividevano l’azienda tra i figli solo quando tutti avevano formato una propria famiglia; inoltre un giovane prima di rendersi autonomo doveva procurarsi i mezzi di lavoro che non erano solo gli arnesi, ma anche una piccola stalla, il carro e il mulo, che serviva per trainare il carro e per  tirare l’aratro nella coltivazione dei campi.

Il novello sposo progetta con la mogliettina un futuro migliore e oltre al lavoro nell’azienda paterna quando può offre il proprio lavoro ad altri cercando di accumulare un piccolo risparmio.
 
Anna, fino ad allora figlia coccolata dalla mamma e dal fratello maggiore, che le permettevano di lavorare come sarta da donna e di dedicarsi a qualche lettura, ora deve affrontare da sola i lavori domestici e collaborare con la propria anziana mamma e con i suoceri e tutta la loro famiglia.

I lavori domestici erano molto pesanti soprattutto in una casa di agricoltori: si doveva rassettare la casa, fare il pane, alimento all’epoca fondamentale, lavare i panni sfregandoli su una apposita tavola e all’occorrenza doveva cucire i sacchi dove si rimettevano il grano, le mandorle, le olive e altro, lavare i teli dopo il raccolto e tante altre attività di supporto ai lavori dei campi.
E quando nascevano i bambini la loro cura era affidata soprattutto alla mamma.

sabato 7 aprile 2012

La casa della Madonna

È una calda sera di luglio, Marco e Nannina rincasano, le finestre delle case sono aperte per accogliere il venticello che dopo una giornata afosa arriva provvidenziale a rinfrescare gli ambienti. Sugli usci delle abitazioni a piano terra sostano ancora sedute delle persone a cogliere quel lieve sollievo prima di andare a riposo.
I tre figlioli scorrazzano per la strada. Non c’è traffico, i cavalli sono nelle stalle e i traini stazionano ai margini della strada. Marco ogni tanto richiama i figli per non farli allontanare. Spesso durante il percorso salutano i conoscenti che incontrano, e alcune volte si fermano qualche istante per comunicare con loro.
Intanto programmano cosa fare l’indomani. Nannina deve alzarsi presto per fare il pane poi deve andare in banca per prelevare il denaro per le necessità familiari ordinarie. I bambini non vanno a scuola e ha difficoltà a portali con sé, e rivolta a Marco gli chiede: “Come fare?”. Marco non ha un momento di esitazione, sa cosa fare, gli è capitato altre volte: “Non preoccuparti possono venire con me. Domani ti aiuto a fare il pane, poi vado a Belmonte, un podere non molto lontano e quindi posso avviarmi più tardi, quando i bambini possono svegliarsi.”
Entrati in casa, ordina ai bambini di andare subito a letto, perché domani devono levarsi presto e andare insieme a lui in campagna. Il figlio più grandicello accoglie serenamente l’invito, per lui è un fatto ordinario andare con il papà nei campi, anzi spesso lo aiuta anche a eseguire dei lavori, i due più piccoli si eccitano a questa notizia, e vanno sì a letto, ma fanno fatica a prendere sonno immaginando l’avventura che gli toccherà l’indomani.




È ancora buio quando Marco e Nannina si levano da letto. Nannina versa la farina sul “tavoliere” aggiunge man mano dell’acqua calda con sale quanto basta per amalgamare la farina, aggiunge il lievito che ha conservato dall’ultima volta che ha fatto il pane e incomincia a impastare. Interviene Marco che aiuta la moglie a rivoltare e a schiacciare più volte l’impasto fin quando non presenta più grumi e si presenta uniforme. Dividono l’impasto in pezzi, li avvolgono tra bianche bende e li poggiano su un angolo del letto, dove, ben coperti raggiungeranno la debita lievitazione.
La collaborazione di Marco è terminata, ora si affretta a raggiungere la stalla per prendere gli attrezzi da lavoro, legare la mula al carro e avviarsi al campo come prestabilito. Deve far presto, deve incominciare i lavori già all’alba, più tardi farà caldo e sarà molto pesante lavorare sotto il solleone di luglio, e poi oggi ha con sé anche i piccoli. Marco esce di casa, intanto Nannina sveglia i piccoli e lava il loro visino, li veste in modo che siano pronti al passaggio del papà.
I bambini, anche se un po’ assonnati fremono nell’attesa. Ecco è arrivato papà. “Attenzione! Fate i bravi” dice la mamma mentre li accompagna vicino le scale. Marco, che ha lasciato vicino il portone il carro, prende in braccio il più piccolo, per mano il secondo, il più grande precede tutti scendendo velocemente gli scalini. Accomodati i piccoli sul piano del carro, si avvia verso la campagna.
Alla periferia della città c’è la fontana con il pilone dove si fermano i carri per abbeverare i cavalli, Marco si avvicina e, mentre la mula beve, riempie il secchio di acqua, che servirà per bere e per rinfrescarsi durante la giornata, e lo attacca sotto il traino. “Possiamo andare”, tira le briglie, fa retrocedere la mula e a passo riprende la via.




Lungo la strada c’è una lunga fila di carri, sono gli ultimi della mattinata, quelli che vanno ai campi vicini al paese, altri si sono avviati molto tempo prima. All’orizzonte incomincia ad apparire il primo chiarore dell’alba. I bimbi un po’ assonnati, sbirciano qua e là. La mula segue il tragitto in modo ordinato e Marco lega le briglie al traino, pronto a riprenderle al momento opportuno. “Salve”, “Deo ‘raz” (Deo gratias) erano i saluti che si scambiavano i contadini quando si incontravano, a cui si rispondeva “Salve” e “Sempr” (sempre), e lungo il tragitto Marco, che conosceva tanti compaesani, spesso salutava o rispondeva ai saluti degli altri.
Raggiunto il campo, Marco aiuta a scendere dal traino i figlioli. Prende dei rami, accende il fuoco e fa accomodare a debita distanza i piccoli, intanto scioglie dai finimenti da traino la mula e la riveste con quelli per l’aratura. Oggi deve arare il campo, non è un’aratura profonda, ma una superficiale, ha portato un aratro senza vomero, ma con una barra che passando in superficie sul terreno lo rende più friabile in modo tale da renderlo meno penetrabile dai raggi del sole e capace di contenere l’umidità sottostante, e nel contempo elimina l’erbetta che soprattutto dopo la pioggia anche in estate riprende a svilupparsi.
Sistemato tutti gli arnesi incomincia a percorrere il campo in tutta la suo lunghezza. Il figliolo più grande prende una zappetta e lo aiuta spostando sotto gli alberi la terra che l’aratro non raggiunge.
I fratellini più piccoli stanno per un po’ di tempo vicino al fuoco, poi incominciano a percorrere il campo, inseguendo lucertole, osservando e tentando di prendere le cicale. Marco per tenerli impegnati, in campagna c’è sempre da fare e per tutti, ordinò loro di raccogliere le pietre e ammucchiarle vicino al viottolo.
I bimbi fecero quel po’ che potettero, trascorsero il tempo tra il gioco e il lavoro.







Intanto nel cielo lentamente si addensavano le nuvole. Marco le osservava con preoccupazione, non promettevano niente di buono, forse si avvicinava un temporale.
La pioggia soprattutto nel mese di luglio è sempre ben accetta, ma spesso si accompagna con la grandine che può distruggere il raccolto. Oggi ci sono anche i bambini e bisogna proteggerli.
Marco si affretta a finire il lavoro, il temporale sembra ancora lontano.




Finito di arare, stacca la mula dall’aratro, le lega al collo la sacca con paglia e biada. Beve, si lava e guarda il cielo, non sembra tanto minaccioso, comunque bisogna far presto, sa bene che in luglio possono esplodere repentinamente i temporali. Potrebbe fermarsi nel campo dove c’è un trullo per ripararsi dalla pioggia, invece valuta che è opportuno rientrare a casa.
Lega la mula al carro e rivolto ai bambini, che si guardano anche loro incerti, “Su salite!” Il primo a salire e il più grandicello, poi afferra per mano i più piccoli e li aiuta a salire sul carro, “State giù e copritevi”e porge loro il suo pastrano.




Si ritorna a casa, ma percorso circa cinquecento metri si rende conto che il temporale viene proprio dal paese e fra poco sarà sul fronte del temporale e già cadono dei goccioloni. È inutile tornare indietro, a pochi passi c’è un piccola cappella votiva, che può contenere alcune persone. Questa è l’unica alternativa, bisogna raggiungere al più presto la cappella.
Ferma il traino, “Giù Rino!”, “Giù Mario!”, “Giù Nico!”. “Abbassate la testa, entrate”, prende dei sacchi che si trovavano sul carro e copre la mula, poveretta è sudata dopo una giornata di lavoro. Si abbassa, l’ingresso è piccolo, ed entra anche lui. L’ambiente è piccolo, ma sono ben coperti.
Appena entrati, scroscia la pioggia associata a chicchi di grandine. Si susseguono lampi e tuoni. I bimbi sono rannicchiati vicino l’altare, Marco vicino l’uscio rassicura i figli e controlla la mula.




Il temporale è stato violento, ma è durato poco. Cade ancora qualche residuo di pioggia, Marco ritiene opportuno riprendere il cammino. Fa salire il figlio più grande e gli offre il suo mantello, poi solleva e poggio sul piano del carro Nico e Mario, “Mettetevi sotto il mantello”. Toglie i sacchi bagnati dalla schiena della mula e sale sul carro, tira le briglie e fa avviare la mula.
Lungo la strada scorrono ruscelli di acqua melmosa, ma sembra che non ci sia più pericolo di pioggia, anzi il cielo incomincia a diventare luminoso e tra le nubi appare un raggio di sole. I bimbi mettono fuori la testolina e sgranano gli occhi quando vendono in cielo un grande arco con tanti colori, Rino esclama: “L’arcobaleno!” Gli altri guardano con meraviglia.




Da lontano scorgono la casa, è già illuminata dal sole.
Dentro c’è Nannina che aspetta i figli con trepidazione. Durante il temporale si era chiusa nella camera da letto perché ha terrore dei fulmini e dei tuoni, ogni tanto si era avvicinata alla finestra per seguire l’evolvere del temporale. Aveva attaccato ai vetri della finestra dei santini, quasi per invitare i santi protettori a osservare e a intervenire in soccorso. La luce, l’arcobaleno incominciavano a rasserenarla, ma i figli…




Marco, appena giunti al paese, porta i figli a casa, li fa scendere dal carro, li avvicina alla scala e li affida al maggiore di loro: “Su andate a casa, io porta la mula alla stalla, vengo presto”. Sale sul carro e riparte.
La mamma è dietro la vetrina dell’uscio, quando vede arrivare i tre figlioli va loro incontro, li abbraccia, sono asciutti, incredula continua a ritoccarli, non sono stati investiti dal temporale.
Mette la pentola sul fuoco, perché fra poco arriverà anche suo marito, intanto toglie ai figli gli abiti intrisi di polvere, li lava, dà loro abiti puliti. I bambini incominciano a raccontare la loro avventura.




Arriva Marco e abbraccia sua moglie, che ora va rasserenandosi.
“Su tutti a tavola, oggi siete stati in campagna e scommetto che avete fame”, tutti si mettono a tavola. Durante il pranzo continuano a raccontare degli alberi, delle cicale, delle lucertole, delle tante pietre raccolte, della grandezza del mucchio che avevano fatto, della pioggia, dei fulmini, dei tuoni.
La mamma desidera che le rimuovano quella che è stata la sua preoccupazione e chiede “Perché non vi siete bagnati?” e all’unisono i due piccini risposero: “Siamo entrati nella casa della Madonna”. Rino e il papà sorridono, la mamma li guarda con occhi lucidi di commozione e in seguito volle che ascoltassero la stessa risposta i nonni e gli zii.
Il solleone era tornato ruggente, tutti erano stanchi per la giornata trascorsa. Il papà si levò da tavola e ordinò a tutti di andare a riposare. Nico e Mario andarono a letto, ma continuarono per lungo tempo a raccontare, finché la stanchezza non li fece assopire.

giovedì 8 marzo 2012

L'individuo, l'esistente è vivo e complesso

Molti filosofi, poiché ritengono che la Realtà nel sua totalità non è conoscibile, preferiscono iniziare la propria ricerca dall’esistente, da ciò che è intuito dai sensi, perché questo è dato dall’esperienza e la nostra conoscenza dipende da questo (gli scienziati, gli empiristi, Hobbes, Locke, Kant, gli esistenzialisti Kierkegaard, Heidegger, …).
Sembra più facile descrivere i singoli oggetti che cadono sotto la nostra esperienza e vedere le loro eventuali relazioni con altri oggetti, perseguendo tale criterio la scienza ha conseguito notevoli progressi.
I filosofi che prendono in esame l’esistente uomo, opportunamente rilevano che la responsabilità delle scelte, che la vita offre, compete all’individuo, che ne sopporta anche il peso delle conseguenze.
Anche Cartesio affermava che sarebbe più facile conoscere scomponendo le idee complesse in semplici. Sembra pertanto che si possa parlare con maggiore facilità dell’individuo esistente piuttosto che della realtà considerata nella sua interezza. Infatti trovandoci alla presenza di un oggetto definito è più facile descriverlo ed analizzarlo; ma più si analizza l’individuo esistente più appare complesso in se stesso, e più difficile risulta stabilire le sue relazioni con il mondo circostante. L’individuo è vivo e complesso perché è strettamente connesso con l'intera realtà.
Chi inizia la ricerca dall’individuo si trova necessariamente a fare i conti con l’intera realtà, a meno che non si accontenti di fermarsi alle verità di fatto, secondo l’accezione di Leibniz, sostenute da una ragione sufficiente.

La realtà è viva e complessa

Quando affermiamo la realtà, di solito, vogliamo indicare tutto ciò che ci circonda, compresi noi stessi, e riconosciamo che esiste veramente. Non mettiamo assolutamente in dubbio la sua esistenza, e non c’è scettico che possa sollevare alcun dubbio, perché verrebbe meno ogni ulteriore affermazione dell’esistenza degli esseri e ogni ulteriore conoscenza e discussione.
Spesso alla realtà vengono attribuiti altri nomi, secondo la sensibilità e l’atteggiamento che si assume nei suoi confronti. Chi la identifica con la Natura, chi con il Mondo, chi con l’Essere, chi con l’Assoluto.
La realtà è la visione d’insieme di tutti gli esseri esistenti, di quelli che noi diciamo inerti e di quelli che assumono varie forme di vita, suddivisi secondo la tradizione, accettata già dai tempi di Aristotele, in vegetali, animali e uomini.
C’è stata sempre la consapevolezza che essa è in continuo movimento, ovvero è viva. Già Eraclito nell’antica Grecia affermava, Tutto scorre, e pertanto affermava di non poterla definire e conoscerla…
Tuttavia molti hanno tentato di descriverla incominciando dall’intuizione della sua unità come fondamento di tutti gli esseri. ( Hegel, Spinoza, Bruno, Cusano, Parmenide …)

sabato 18 febbraio 2012

Tra l'esistente e la realtà c'è un rapporto di conoscenza

Ogni esistente ha una particolare reazione alla realtà circostante: tutti reagiscono ad essa e si adattano alle condizioni che essa offre. Gli animali hanno reazioni più complesse e manifestano varie capacità di memoria e di apprendimento che permettono loro l’adattamento all’ambiente e il superamento delle varie difficoltà per la sopravvivenza oltre alle varie forme di organizzazione ‘sociale’.
L’uomo, oltre ad un adattamento istintivo alla realtà circostante, ha un particolare rapporto con essa, la conoscenza. Con questa cerca di definire ogni oggetto, con cui viene a contatto, quindi cerca di determinarne le cause e il fine.
Con la rivoluzione scientifica, prestando maggiore attenzione ai dati dell’esperienza, ovvero come diceva Galilei ai dati oggettivi, misurabili e quantificabili, e alle loro relazioni privilegiando il principio di causa, si è giunti alla conclusione che il mondo, secondo la definizione di Newton, sia una grande macchina (visione meccanicistica del mondo). Tutti gli eventi della vita sarebbero legati tra loro con vincoli necessari ovvero seguendo quasi un percorso di una macchina, ad ogni azione ne consegue una reazione uguale e contraria.Tale atteggiamento conoscitivo ha permesso la conoscenza di tanti elementi della realtà, che opportunamente manipolata ha offerto dei vantaggi all’umanità.

Tra l'esistente e la realtà c'è un rapporto di empatia

Uso il termine “empatia” per indicare tutti i rapporti immediati, cioè senza necessità di dimostrazione o di manipolazione. Infatti tutti gli esseri esistenti, sia nel microcosmo che nel macrocosmo, sono in costante relazione tra di loro; ogni essere, avente in sé energia propria, è in rapporto con gli altri esseri da cui attinge energia e a cui offre energia nei modi e nei gradi del suo essere. Non si può neppure immaginare un essere che possa vivere staccato dagli altri. Tali rapporti sono spontanei e immediati. Anche gli uomini vivono questa condizione in tutti i loro bisogni fisiologici, dal mangiare, muoversi, dormire … anche nelle loro manifestazioni affettive: emozioni, sentimenti, passioni …
Gli antichi, in particolare Aristotele, affermavano che ogni essere possedeva un’entelechia, un fine interiore, che lo guidava nella sua evoluzione. In tempi più recenti Leibniz scopriva tale fine, in ciò che i fisici del suo tempo chiamavano energia o energia cinetica. Ancora oggi molti accettano una dottrina che nella vita sono presenti forze spirituali che in qualche modo la determinano. Alcuni dicono sono le forze della natura, e spesso le accettano deterministicamente, senza porsi tante domande; altri le attribuiscono al destino, altri alla volontà provvidenziale di Dio. …

mercoledì 18 gennaio 2012

Individuo o persona

Se dalla definizione generale passiamo ad analizzare un individuo, notiamo, oltre i caratteri generali, tante particolarità che caratterizzano e differenziano i vari individui per quanto riguarda la composizione genetica, l’aspetto fisico … per cui potrebbe affermarsi che non esiste un individuo identico ad un altro.
Se poi consideriamo l’individuo sotto l’aspetto culturale, per cui si parla di persona, allora la differenza aumenta enormemente, perché ciascuna persona vive in ambienti diversi, con persone che le trasmettono esperienze diverse, condivide lingua, cultura, religione con comunità diverse. Perciò non si può parlare di identità o uguaglianza tra gli uomini, forse sarebbe opportuno riscoprire il termine di analogia per indicare il rapporto tra gli individui.
Ciò non riduce affatto la portata delle conquiste di uguaglianza della Rivoluzione Francese o della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, anzi richiama l’attenzione al rispetto dell’identità dell’altro e alla sua libertà. Se invece dell’esclusione del diverso ci fosse maggiore curiosità nel conoscere l’altro, che è connaturata all’uomo, potrebbe svilupparsi un dialogo proficuo e l’umanità ne uscirebbe arricchita e potenziata.

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Uguaglianza

Quando ragioniamo, quando facciamo scienza usiamo dei concetti, tali concetti, secondo la riflessione logica di Aristotele, entrata nella tradizione della logica scolastica, possono essere universali e particolari. I concetti universali hanno maggiore estensione, si riferiscono ad un maggior numero di esseri, ma hanno minore comprensione, cioè sono generici, e non definiscono bene gli esseri a cui si riferiscono.
I concetti particolari hanno una minore estensione, si riferiscono ad un minor numero di esseri fino all’unità, ma ci danno maggiore comprensione degli esseri a cui si riferiscono.
Quando parliamo in generale di una categoria di esseri, possiamo essere d’accordo sulla loro uguaglianza, e quando la scienza parla in generale usa concetti generali, per cui tutti gli esseri che rientrano in quei concetti sono uguali.
Quando durante la Rivoluzione Francese si sosteneva l’uguaglianza tra gli uomini, o quando oggi la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, afferma l’uguaglianza degli uomini, tutti concordano nell’affermare pari dignità di tutti gli uomini e pari diritti. Principi questi giusti, che dovrebbero essere sostenuti e difesi in ogni momento e sotto ogni aspetto della vita politica, sociale, economica…
La loro difesa è segno di rispetto, di civiltà, di cultura; aiuta e rende possibili la convivenza pacifica, la solidarietà e la difesa della libertà e della dignità umana.

Tra l'esistente e la realtà c'è un rapporto di manipolazione

La conoscenza non può essere ridotta solo ad un atto di contemplazione libera e disinteressata della realtà, ma è strettamente legata a produrre gli strumenti necessari per la sopravvivenza. Il mito di Prometeo, sin dall’antichità greca, insegna che per soddisfare i proprio bisogni e per difendersi, l’uomo ha bisogno dell’arte e del fuoco. Per questo Prometeo rubò agli dei il fuoco, sopportandone la pena, per garantire la sopravvivenza dell’uomo, a cui Epimeteo non aveva dato i mezzi adatti come aveva fatto per gli altri esseri viventi.
E l’uomo con l’arte e il fuoco ha cercato di manipolare la natura a suo vantaggio. Con la Rivoluzione scientifica, il processo di conoscenza del mondo fisico ha accentuato sempre di più la sua evoluzione fino alle scoperte odierne, che pongono con impellenza alcune riflessioni circa la loro incidenza ecologica. Due riflessioni sembrano più urgenti: lo sviluppo settoriale e la rottura dell’equilibrio del sistema natura, e la manipolazione genetica sui vari esseri viventi, compreso l’uomo.
Oggi, potrebbe essere opportuno ritornare a prestare maggiore attenzione alle cause finali, la scienza dovrebbe prendere i dovuti legami con l’etica. S’impone con urgenza la riflessione bioetica.