Jep
Gambardella, il protagonista del La Grande Bellezza, a sessantacinque anni
venuto a Roma si disperde nei mille rivoli della vita mondana, artistica,
religiosa di Roma. È costantemente colpito dalla vacuità e dalla fragilità
della vita, che si dissipa come un sogno. Roma lo affascina per i suoi
monumenti oltre che per le bellezze naturali. Gli uomini, piccoli e grandi, si apprestano
ad affrontare i momenti decisivi della propria vita con una ricerca estetica
formale.
Jep,
impegnato in una riflessione sul senso dell’esistenza e distaccato
dall’ambiente circostante, vorrebbe cogliere La grande bellezza, che purtroppo
s’impone al protagonista in alcuni brevi stati della vita. Agli uomini è
preclusa la piena felicità e la condivisione della grande bellezza nel percorso
della vita, rapido e breve con un termine preciso, la morte. Anche la santa
suora cerca la grande bellezza nell’austerità della vita e nella ricerca della
sua autenticità profonda, le sue radici, di cui si ciba durante la sua vita di
profonda meditazione.
Dal
tutto emerge una visione esistenzialistica della vita, avvolta da una
leggerezza e una vaghezza della vita vissuta nella quotidianità, a cui spesso
sfugge la grande bellezza e lo stesso senso della vita.
Il
regista Paolo Sorrentino con maestria ha reso ottimamente il contrasto tra il
vissuto quotidiano tante volte frivolo ed emotivo e il tentativo di coglierne
il senso profondo e la bellezza, di cui l’uomo può beneficiare solo alcuni
momenti.
Il
film può essere condivisibile o meno, secondo i gusti estetici e le visioni
filosofiche, ma ritengo che l’Oscar si meritato.