domenica 28 dicembre 2014

Il lavoro nella società

Nella società dove si affermano e si contrastano ideali e principi, si intersecano interessi di individui e di classi, il lavoro assume varie forme a seconda dello sviluppo cultura e sociale di un popolo e a seconda dello sviluppo delle tecniche di produzione.

Solo in alcuni settori della produzione si manifesta ancora un lavoro con una relativa autonomia: coltivatori diretti, piccolo lavoro artigianale, liberi professionisti, artisti… Mentre la maggior parte del mondo economico è costituita da aziende di varie dimensioni, in cui vige la divisione del lavoro: gli imprenditori e i lavoratori dipendenti. Anche il  lavoro artigianale dell’indotto, apparentemente indipendente, nella realtà è strettamente collegato alla produzione delle grandi aziende.

I lavoratori autonomi godono ancora di una certa autonomia, dico di una certa autonomia perché nel mondo attuale nessuno lavora per la sua sussistenza, ma tutti lavorano in funzione del mercato, delle richieste degli acquirenti e degli intermediari; tutti lavorano per guadagnare denaro per spenderlo acquistando da altri beni per soddisfare bisogni primari e quelli acquisiti per i nuovi comportamenti sociali condizionati dai nuovi mezzi di produzione e di comunicazione.

I lavoratori dipendenti, hanno solo la possibilità, ove possibile, di offrire il proprio lavoro ad un’azienda piuttosto che ad un’altra secondo la propria propensione o le proprie capacità.

Il lavoro in ogni settore economico non è valutato in considerazione del valore insito in esso, come espressione della persona umana o come elevazione culturale e sociale dell’individuo, ma, nella crudezza del mondo produttivo, è considerato come forza produttrice e quindi è valutato per la sua efficienza, la sua produttività. Avrebbe detto Marx che il lavoro è una merce buttata sul mercato e venduta  al miglior acquirente, che ne valuta l’efficienza a secondo delle sue necessità produttive e di guadagno.

Non è in discussione, in questo momento, la giustizia o l’ingiustizia dei singoli individui attori dell’economia, i quali pure hanno una  grave responsabilità nella gestione del la valorizzazione del lavoro, ma la complessa realtà in cui opera un’impresa nella cosiddetta globalizzazione economica.

 
In tale groviglio di interessi, non è facile trovare un giusto equilibrio, né trovare una risposta univoca. Pertanto una sana comunità politica dovrebbe trovare gli strumenti adeguati per distribuire la ricchezza in modo tale che nessuno venga lasciato da solo nella miseria.

Soprattutto oggi che gli automatismi produttivi e l’introduzione dell’informatica stanno cambiando il mondo del lavoro e la stessa società  si rende necessario riprogettare la politica del lavoro in modo tale da distribuire a tutti i cittadini gli effetti delle nuove tecnologie. Solo con una distribuzione inclusiva della ricchezza si continuerà a rafforzare il mercato e a sostenere la produzione, altrimenti nella società si diffonderà sempre di più la miseria, e la ricchezza dei più abbienti anche se sempre più pingue raggiungerà la stagnazione e la putrefazione.

Solo un giusto equilibrio, anche se instabile, una giustizia distributiva, può rendere attiva, viva, la società, e soprattutto potrà garantire una politica democratica.

sabato 26 aprile 2014

Il lavoro per l’elevazione culturale e sociale


Condivido alcune riflessione di Hegel sul lavoro. Questo filosofo idealista tedesco nella sua opera “Fenomenologia dello spirito” espone le sue convinzioni circa l’affermazione della libertà dell’uomo e del suo sviluppo nella storia. Lo spirito si sviluppa progressivamente e assume vari aspetti nel percorso della sua storia. Uno dei momenti più importanti è quello in cui l’uomo si scopre autocoscienza. Ovvero quando l’uomo scopre che la sua conoscenza non dipende dal mondo che lo circonda ma è frutto della sua creatività spirituale, vale a dire che l’uomo è un essere libero da qualsiasi vincolo ed è lui fattore del suo mondo conoscitivo e lo stesso mondo circostante acquista valore grazie a questa sua capacità.
In questo stato di libertà individuale, l’uomo si trova in una situazione di anarchia totale e non riconosce alcuna partecipazione o integrazione con gli altri, entra in un conflitto permanente con questi. In questo conflitto alcuni prevalgono e diventano signori, padroni, altri soccombono e diventano schiavi, operai dipendenti che sono costretti a lavorare per i loro signori.
Il lavoro dello schiavo, del dipendente, opera un primo momento del superamento dell’individualismo e dell’anarchia. Mentre i signori vivono nel benessere, frutto del lavoro degli schiavi, questi nella loro laboriosità si rendono conto che i vantaggi conquistati con la propria fatica, non servono per soddisfare i propri bisogni ma quelli dei propri padroni. Questa presa di coscienza sviluppa la dialettica, spesso fortemente conflittuale, tra servi e padroni. Si sviluppa un confronto culturale permanente; si chiedono e si stabiliscono norme per stabilire un equilibrio sociale sempre più giusto e più elevato. Tramite questo confronto culturale maturano il diritto, la morale e l’etica. Ogni uomo riconosce che la libertà non è una peculiarità individuale ma questa deve essere condivisa con gli altri. Si rende conto della necessità degli altri per soddisfare i propri bisogni, prende consapevolezza della solidarietà e della condivisione di diritti e di doveri, stabilisce i principi della giustizia e dà vita alle aggregazioni e alle istituzioni sociali.
Alla fine del percorso si dovrebbe, secondo Hegel, raggiungere la condivisione e l’unità etica, in cui tutti si ritrovino a vivere in pace sotto un ordine condiviso, la Stato Etico.

Questo progetto di filosofia politica nei fatti si è rivelato un’ennesima utopia, una speranza a cui gli individualismi non permetteranno di pervenire. Neppure oggi che i mezzi di comunicazione permettono lo scambio di idee e di beni, e la Terra è ridotta a villaggio globale si riesce a raggiungere un equilibrio plausibile tra gli interessi degli uomini. Anzi emergono personaggi e movimenti che sollecitano chiusure, integralismi, nazionalismi, regionalismi, in contrasto con quanti aspirano ad un opportuno equilibrio sociale e ad una sostanziale pace.

venerdì 7 marzo 2014

La Grande Bellezza


     Jep Gambardella, il protagonista del La Grande Bellezza, a sessantacinque anni venuto a Roma si disperde nei mille rivoli della vita mondana, artistica, religiosa di Roma. È costantemente colpito dalla vacuità e dalla fragilità della vita, che si dissipa come un sogno. Roma lo affascina per i suoi monumenti oltre che per le bellezze naturali. Gli uomini, piccoli e grandi, si apprestano ad affrontare i momenti decisivi della propria vita con una ricerca estetica formale.

     Jep, impegnato in una riflessione sul senso dell’esistenza e distaccato dall’ambiente circostante, vorrebbe cogliere La grande bellezza, che purtroppo s’impone al protagonista in alcuni brevi stati della vita. Agli uomini è preclusa la piena felicità e la condivisione della grande bellezza nel percorso della vita, rapido e breve con un termine preciso, la morte. Anche la santa suora cerca la grande bellezza nell’austerità della vita e nella ricerca della sua autenticità profonda, le sue radici, di cui si ciba durante la sua vita di profonda meditazione.

     Dal tutto emerge una visione esistenzialistica della vita, avvolta da una leggerezza e una vaghezza della vita vissuta nella quotidianità, a cui spesso sfugge la grande bellezza e lo stesso senso della vita.

     Il regista Paolo Sorrentino con maestria ha reso ottimamente il contrasto tra il vissuto quotidiano tante volte frivolo ed emotivo e il tentativo di coglierne il senso profondo e la bellezza, di cui l’uomo può beneficiare solo alcuni momenti.

     Il film può essere condivisibile o meno, secondo i gusti estetici e le visioni filosofiche, ma ritengo che l’Oscar si meritato.

venerdì 21 febbraio 2014

Homo homini aut deus, aut lupus


La conoscenza, non è una facoltà che l’uomo ha ricevuto nella sua compiutezza, ma è in continua elaborazione, subordinata all’impegno costante dell’uomo stesso. Ne consegue che anche il lavoro è una capacità umana di ricostruire e potenziare il proprio essere, che si evolve con la conoscenza, la responsabilità e la fatica di ciascuno e dell’intera umanità.

Queste due facoltà dell’uomo, la conoscenza e il lavoro, che secondo la religione giudaico-cristiana e la cultura greca avvicinano l’uomo a Dio, e garantiscono la sua libertà, devono coniugarsi con l’intera natura dell’uomo, che è determinata anche da sensibilità e passioni.

La passione fondamentale è l’autoconservazione, l’affermazione del proprio essere. Tale passione se non è controllata dalla consapevolezza dell’essere dell’altro e della rilevanza di questo per la conservazione della vita stessa, diventa distruttiva e fonte di tanti sentimenti che generano odio, lotte e guerre.

La Bibbia narra di Caino e Abele, la storia intera testimonia i contrasti emersi e le infinite guerre che hanno insanguinato la Terra che ancora oggi in ogni continente continuano sotto varie forme a imperversare. L’uomo brillante per tante conquiste della sua conoscenza non riesce ancora a gestire con equilibrio la sua laboriosità, pertanto permane tanta miseria, tanta sofferenza e una libertà limitata. Le dignità dell’uomo sono ancora offese.


Ci sarà stato un periodo dell’innocenza dell’uomo e della sua felicità naturale? Molti nell’antichità narravano con rimpianto di una età dell’oro, Rousseau ipotizzava la condizione naturale umana come quella del buon selvaggio, in cui gli uomini vivevano in una felice armonia tra di  loro e nei confronti della natura. Altri, come il citato racconto della Bibbia del fratricidio di Abele e Caino o l’ipotesi dello stato di Natura di Hobbes, che riteneva che “homo homini lupus”, ritengono che la condizione primitiva dell’uomo sia stata caratterizzata da continue lotte. Mi sembra più verosimile la terza ipotesi enunciata da Erasmo da Rotterdam e altri “homo homini aut deus, aut lupus” che rispecchia la eterogenea natura umana.

Nell’evolversi della storia, della società e dell’uomo i rapporti tra gli uomini, in particolare il lavoro, sono mutati secondo le necessità, secondo le abilità tecniche per soddisfare i bisogni emergenti e, non in secondo ordine, dalla maturità culturale. Dai testi scolastici del mondo occidentale si evince una evoluzione della società e del lavoro secondo fasi che sommariamente possono così delinearsi: famiglie patriarcali, società schiavista, società feudale caratterizzata dalla subordinazione tra uomini, origini della classe borghese e della classe operaia. Tali fasi non sono da intendersi in modo univoco, cronologicamente dipendenti ed esclusive e spesso convivono con altre forme di aggregazione sociali e lavorative e assumono forme variegate a seconda delle circostanze che ne hanno determinato il loro sorgere. In tutte le fasi alcuni uomini hanno conseguito una certa libertà e hanno sottoposto alle proprie dipendenza tanti altri che o sono stati nella condizione di schiavitù oppure hanno potuto godere di una limitata libertà.

giovedì 30 gennaio 2014

Il lavoro nel mondo greco


    
     Anche nel mondo della Grecia classica il lavoro è un elemento sostanziale della vita dell’uomo, che lo rende in qualche modo simile agli dei.

     Tra i tanti miti, che formavano il sostrato della cultura antica, il mito di Prometeo ed Epimeteo esprime la grande reputazione che i greci avevano per il lavoro.

     Prometeo ed Epimeteo erano stati incaricati dagli dei di distribuire agli esseri viventi i mezzi per sopravvivere.

     “Ma Epimeteo non si rivelò bravo fino in fondo: senza accorgersene aveva consumato tutte le facoltà per gli esseri privi di ragione. Il genere umano era rimasto dunque senza mezzi, e lui non sapeva cosa fare. In quel momento giunse Prometeo per controllare la distribuzione, e vide gli altri esseri viventi forniti di tutto il necessario, mentre l’uomo era nudo, scalzo, privo di giaciglio e di armi… Allora Prometeo, non sapendo quale mezzo di salvezza procurare all’uomo, rubò a Efesto e ad Atena la perizia tecnica, insieme al fuoco… e li donò all’uomo… Da questo dono derivò all’uomo abbondanza di risorse per la vita…  
Allorché l’uomo divenne partecipe della sorte divina, in primo luogo, per la parentela con gli dei, unico fra gli esseri viventi, cominciò a credere in loro, e innalzò altari e statue di dei. Poi subito, attraverso la tecnica, articolò la voce con parole, e inventò case, vestiti, calzari, giacigli e l’agricoltura.”

     In questo mito appare con chiara evidenza che i greci ritenevano che la perizia tecnica, ovvero la conoscenza che è capace di progettare e produrre i mezzi della sussistenza e della difesa degli uomini, è una facoltà che distingue gli uomini dagli altri esseri viventi e dà loro la possibilità di diventare simili agli dei. Con la perizia tecnica essi in qualche modo ricreano la propria natura, guadagnano una maggiore indipendenza e quindi la libertà. Gli umanisti italiani del Quattrocento e del Cinquecento esalteranno tale facoltà affermando che con questa l’uomo diventa “artefice del proprio destino”. Il lavoro conseguente alla conoscenza è una prerogativa dell’uomo, privandolo di questa si riduce la sua dignità.

  

venerdì 17 gennaio 2014

Il lavoro nella Genesi

Il lavoro è una facoltà inerente la natura dell’uomo. Tramite il lavoro l’uomo realizza se stesso, acquisisce dignità, e preserva la propria libertà.

Nella Genesi il lavoro è presentato come un castigo di Dio, come conseguenza della disubbidienza dell’uomo all’ordine di Dio di non mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male.

17 All'uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero, di cui ti avevo comandato: ‘Non ne devi mangiare’, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita.
18 Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba campestre.
19 Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!».
(Genesi)

Riflettendo su tutto l’evento, la disubbidienza a Dio e il conseguente castigo della fatica del lavoro, non è difficile rilevare che questo segna il passaggio dell’uomo dallo stato di innocenza alla stato della consapevolezza, della responsabilità e della libertà. Tale evento in modo più o meno drammatico, ma anche con una sensazione di piacere, si ripete ogni volta che un figlio, acquisita un’ adeguata e consapevole maturità, ritiene che non debba più dipendere dal padre, e questi con un po’ di amarezza, ma contento perché suo figlio finalmente è adulto, accetta il distacco da sé del proprio figlio. Da questo distacco deriva un’ovvia conseguenza: il figlio, come Adamo quando volle assumersi la responsabilità della conoscenza, della responsabilità e della libertà, deve provvedere col proprio lavoro al proprio sostentamento.

Ciò è senza dubbio una fatica, ma esalta la dignità dell’uomo, che, contrariamente agli altri esseri, con la propria attività realizza se stesso e difende la sua libertà.

Dio, che aveva fatto l’uomo a sua immagine, ha permesso gli eventi raccontati nella genesi ovvero il mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male con il conseguente obbligo del lavoro, per sottolineare la libertà data all’uomo e la responsabilità di contribuire al suo sostentamento, quella dignità divina che è nell’uomo, che questi può esercitare nei limiti della sua natura.