giovedì 4 luglio 2013

Il Soldato Giulio Campanale


 
Nel maggio del 1917 erano trascorsi due anni dall’entrata in guerra dell’Italia, alleata con i Francesi, gli Inglesi e i Russi contro l’Austria e la Germania.

Ruvo era lontana ottocento chilometri dal fronte, per molti contadini e piccoli agricoltori i territori del fronte di guerra erano misteriosi, per loro che vivevano sulle dolci alture della Murgia, sentire parlare di fiumi, valli, monti era come sognare un mondo di fiabe.

Erano lontani dai rombi dei cannoni, né assistevano ai massacri, che coinvolsero le inermi popolazioni del Nord-Est italiano.

Anche Ruvo, pur essendo lontana, sosteneva il peso della guerra. I giovani erano partiti, arruolati nell’esercito; pur attenuando le faticose condizioni in cui versavano sul fronte, per attenuare le sofferenze dei genitori, descrivevano, quando riuscivano a scrivere, perché molti erano analfabeti, quegli impervi luoghi.

I contadini, al tramonto uscivano per andare in piazza a cercare il lavoro dell’indomani. I piccoli proprietari, erano incerti se assumerli, perché i prodotti venivano requisiti dallo Stato, che in questa emergenza nazionale doveva garantire a tutti il cibo necessario per la sopravvivenza.

Molti piccoli proprietari erano senza animali, fondamentali per il trasposto e le arature dei campi, perché cavalli, muli, asini erano stati requisiti dall’esercito per le salmerie dei soldati.

Tuttavia, anche se con salari ridotti, i braccianti decidevano di prestare la loro opera, sui campi avrebbero recuperato, oltre quel misero salario, un po’ di erba commestibile, che con un po’ di pane o con un po’ di legumi avrebbero sostenuto in qualche modo la propria famiglia.

Della guerra nessuno osava parlare, ma tutti avevano le orecchie attente, appena qualcuno accennava a qualche notizia che trapelava dal fronte.

Non leggevano i giornali, né ascoltavano la radio ma le poche notizie che pervenivano correvano di bocca in bocca.

I piccoli gruppetti si aggregavano tra loro quando pervenivano dal fronte le tristi notizie di morte di alcuni giovani e di gravi amputazioni di altri. Al breve vocio, seguiva un grave silenzio. Tanti aveva al fronte un figlio, un fratello, un parente, un amico; gli sguardi si incrociavano e poi si abbassavano, nessuno osava commentare gli eventi.

Molti incominciavano a ribellarsi, quando pervennero alcune notizie delle decimazioni sul fronte; ora si esasperavano gli animi, erano stati strappati loro i propri figli per la Patria, invece…

Saverio e i tre figli si erano recati a coltivare i propri campi. Dopo un lunga e dura giornata di lavoro, tornano a casa dove la moglie prepara come al solito la tavola, cercando di nascondere un grande dolore, non vuole turbare il pranzo del marito e del figli. Ma Saverio che aveva accolto alcune notizie, le chiese “è arrivata la cartolina?” Maria, così si chiamava la moglie, scoppia in lacrime e accenna il sì.

Sul fronte si aveva urgente bisogno di uomini e il comando militare decise di anticipare l’arruolamento delle nuove leve, coinvolgendo anche i giovani ancora diciasettenni, Giulio, il più grande dei tre figli maschi di Saverio era tra questi.

Il giorno stabilito Saverio accompagna il figlio Giulio alla stazione, lascia a casa gli altri due figli e alcuni parenti per sostenere la moglie straziata per i pericoli a cui andava incontro suo figlio. Nel tragitto incontrano altri coetanei di Giulio che percorrono la stessa strada. Ad un tratto incontrano uno zio che andava col il carro a lavoro, questi scorgendoli si ferma, li fa salire sul carro e li porta fino alla stazione.

I giovani pur consapevoli dei pericoli a cui andavano incontro, mostravano coraggio nascondendo con un sorriso il loro stato d’animo.

Puntualmente vedono del fumo tra gli ulivi, era la locomotiva a vapore. Arrivata in stazione, con grande stridio dei freni e fragore delle catene che tenevano uniti i vagoni, i ragazzi salutano tutti i presenti, salgono sulle carrozze di legno. Il treno sbuffa una nuvola di fumo nero, fischia e riprende la sua corsa per raccogliere altre giovani vite dai paesi circostanti.

Raggiunto le caserme, di destinazione i giovani ricevono le divise da soldati, vengono addestrati ed equipaggiati di armi.

Il 2 ottobre 1917, l’esercito subisce la disfatta di Caporetto. L’8 novembre il generale Cadorna viene sostituito dal generale Diaz.

I soldati, appena diciottenni, vengono avviati al fronte. Diaz riesce a riorganizzare e a risollevare l’esercito, rinvigorito dalle giovanissime leve;  ferma gli austriaci e riprende le posizioni perdute.

I ragazzi del ’99 condividono con i commilitoni gli atti di eroismo e i sacrifici della guerra di trincea, per lunghi periodi dovevano sostare nelle trincea ad attendere le occasioni propizie per l’assalto, intanto dovevano vigilare e ripararsi dagli attacchi del nemico.

Molte volte i rifornimenti di armi e viveri tardavano, i sentieri delle alture del Grappa non permettevano delle facili comunicazioni, le carovane degli asini lentamente salivano per i sentieri del monte, quando non erano esposte al tiro della artiglieria nemica. Pertanto i soldati, quando negli spostamenti trovavano verdure o patate, spesso le raccoglievano e pulitele, sfregandole tra le mani, le mangiavano crude.

Al fante Giulio Campanale gli era stato affidato l’arduo compito di distribuire la posta ai soldati in trincea, per cui spesso doveva attraversare spazi non protetti. Un giorno uscito allo scoperto per passare da una trincea ad un’altra viene raggiunto da una granata. Caduto a terra viene coperto da un cumulo di terra, alcuni commilitoni riescono a raggiungerlo e a portarlo in salvo, recuperando anche la posta che portava con sé.

Giulio, ricordava che il giorno dell’Epifania del ’18, erano passati alcuni giorni senza rancio, si nutrivano solo di duri galletti; quando finalmente arrivò la compagnia con i viveri, distribuì del riso, che si era congelato e non potevano versarlo nelle gavette, pertanto cercarono di ridurlo a pezzi e tutti, affamati com’erano, si affrettarono a mangiarlo.

La notte la trascorrevano nelle trincee a turno tra la veglia e il riposo, avvolti nei pastrani, che non sempre erano sufficienti a riparali dal gelo notturno alla quota a cui si trovavano.

Una notte dell’inverno del 18, Giulio si svegliò con i piedi congelati, pertanto non potendo offrire più la sua opera, fu accompagnato nelle retrovie all’ospedale. Recuperato la mobilità degli arti, fu adibito a ruoli di soccorso e di retrovia.

Intanto erano intervenuti nella guerra anche gli USA a fianco dell’Inghilterra, della Francia e dell’Italia.

Diaz nel 3-4 novembre conseguì la vittoria di Vittorio Veneto, che segnò la fine della belligeranza sul fronte italiano.

La guerra è finita, Giulio e tanti commilitoni possono tornare a casa, ma solo il 24 febbraio 1921 avrà il concedo in cui si attesta la buona condotta e di aver servito la patria con fedeltà e onore.

Giulio ritorna alla propria famiglia felice di aver superato la prova della guerra, ma segnato dalle atroci esperienze vissute sul fronte.

I contadini continuavano a riunirsi in piazza a ricordare i morti sul fronte e a sperare un lavoro per l’indomani.

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