lunedì 1 dicembre 2008

Intorno al braciere

Nelle lunghe e uggiose serate d’inverno, si stava intorno al braciere.
In attesa del rientro del papà, la mamma intratteneva i propri figliuoli raccontando racconti e fiabe che aveva ascoltato o letto, cercando di renderle più accattivanti declamandole o intercalando sue riflessioni. Erano favole di Esopo o di Fedro, di Perault episodi tratti dal libro Cuore di De Amicis, o brani di vari autori tratti dai testi di lettura dei propri figli. Quasi tutti si chiudevano con una “morale” e con una esortazione ai propri figli.
Quando veniva meno l’attenzione dei figli o la stanchezza aveva il sopravvento, si proponeva delle cantilene o piccoli giochi, che potevano essere svolti nella stanza.

Riporto alcuni racconti come li ricordo, mi perdonino gli autori, se non li menziono; non sono documentato, se qualcuno volesse segnalarmeli, li citerei ben volentieri.

L’unione fa la forzaUn padre aveva sette figli e sentendo la morte vicina volle offrire un ultimo insegnamento di unità e solidarietà ai propri figli, perciò chiamò i figli e presentò loro un fascio di sette verghe e invitò loro a spezzarlo. Tutti e sette i figli, cominciando dal più grande, con grande impegno e con spreco di forza ci provarono ma inutilmente, nessuno riuscì a spezzare le sette verghe unite. Allora il padre prese le verghe e le spezzò una ad una, , con grande facilità, invitando i figli ad essere uniti per essere forti nelle difficoltà della vita.

Rispetto degli anziani
Un padre, ormai debole e bisognoso di aiuto, divise i propri averi ai figli in cambio dell’assistenza per il tempo che Dio ancora gli avrebbe concesso (all’epoca non c’era la pensione né altri sostegni sociali), i figli promisero tutta la loro solidarietà, ma dopo qualche tempo presi dalle loro preoccupazioni dimenticarono il vecchio e povero padre. Questi si rivolse al convento per un po’ di aiuto e l’ottenne, inoltre un frate gli suggerì uno stratagemma. Il vecchio ringraziò o tornò alla propria dimora. Ogni giorno prendeva delle monetine le contava facendole cadere in una ciotola di ferro con grande rumore, poi le riversava e riprendeva a contare. A lungo andare i vicini di casa attratti da questo rumore, riferirono ai figli di tante monete che il padre continuava a contare. Questi presi dalla cupidigia di partecipare alla divisione di questa sconosciuta ricchezza del padre, ripresero a frequentare e ad aiutare il padre. Quando questi morì frugarono tutta la casa, in un angolo trovarono un vaso da notte ben sigillato con del cemento, pensarono che in quel vaso fosse il tesoro. Lo presero e il più grande se lo caricò in spalla per portarlo in campagna per aprirlo in un luogo sicuro, strada facendo il più giovane, rodendosi dalla curiosità prese una pietra e la scagliò contro il vaso e meraviglia! Il vaso rompendosi sparse tanti olezzanti escrementi.
Il racconto ha una morale evidente, ma quando era presente il papà, questi concludeva: “un padre riesce a campare cento figli, ma cento figli non riescono a campare un padre!”

Il lavoro come ricchezzaUn padre, molto povero, aveva tre figli. Ormai vecchio e sentendosi vicino alla morte chiamò vicino a sé i figli e disse loro. Non ho tanto da darvi, ma nel mio piccolo campo c’è un tesoro, ecco lo consegno a voi. Dopo poco tempo il vecchietto morì. I figli si caricarono di zappe e picconi e scavarono in ogni parte del piccolo campo, ma non trovarono il tanto agognato tesoro. Risistemarono il terreno e giacché lo avevano profondamente coltivato pensarono di seminare il grano. Il grano si affermò e si sviluppò. A giugno i tre fratelli andarono al campo e videro una distesa di biondo grano e capirono l’insegnamento del padre: il vero tesoro che il padre aveva loro consegnato era il frutto del loro lavoro.

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