lunedì 9 luglio 2007

E toccò anche a Mario

Mario, sostenuto dall’economia dei propri genitori, si era laureato in filosofia, ma dopo alcuni anni non riusciva a trovare un lavoro continuo. Aveva trovato una precaria sistemazione nell’insegnamento di materie letterarie in corsi per lavoratori, si era nel frattempo abilitato per l’insegnamento di storia e scienze umane, offriva la sua collaborazione presso la propria parrocchia, presso il sindacato, in una associazione culturale e alcune volte nel partito; era un giovane impegnato e profondamente legato al proprio paese.
Per l’insegnamento, a cui aspirava, non intravedeva alcune prospettiva, perchè non si bandivano i concorsi ed erano tanti gli iscritti nelle graduatorie provinciali per tale insegnamento.
Molti suoi amici, emigravano nel Nord Italia dove c’era maggiore richiesta di insegnanti, con la speranza di ottenere in seguito il trasferimento nella propria terra. Si era creato questo circolo vizioso: ricerca di occupazione al nord, trasferimento dopo alcuni anni al Sud.
Mario, non voleva accettare tale realtà, non voleva allontanarsi dal proprio paese, gli sembrava un tradimento delle aspettative dei propri familiari, degli amici e di quanti avevano travato in lui un punto di riferimento e una solidale collaborazione. Tuttavia, non intravedendo alcuna prospettiva per un lavoro più regolare, accettò anche lui di presentare domanda presso il Provveditore agli Studi di Varese. Nell’ottobre fu convocato e cominciò anche per Mario l’esperienza dell’emigrazione.
I primi giorni fu attratto dal verde dei prati e dai colori autunnali dei numerosi viali e dei boschi che si estendevano nell’immediate periferie delle città, dopo calò la nebbia che durò per lunghi giorni e, mentre rimpiangeva il sole ottobrino della Puglia, dovette adattarsi a viaggiare, anche di notte, sulle vie offuscate dalla nebbia.
Ma non era questa nuova esperienza che lo crucciava, anzi lo incuriosiva e lo distoglieva da altri pensieri, quello che più gli costava era la solitudine. Si era stabilito a Origgio, un paesino del varesotto, dove era stato temporaneamente ospitato con grande cordialità da un suo cugino, con il quale nei momenti liberi, visitavano il territorio e i paesi circostanti. Gli mancavano quelle relazioni sociali che aveva nel proprio paese, si sentiva come sradicato ed era preoccupato di non poter più nutrire tutte le relazioni che era riuscito a stabilire intorno a sé. Cercò di sostenere con la corrispondenza alcune amicizie, intanto cominciò a frequentare la biblioteca e alcuni luoghi di aggregazione sociali: chiesa, bar, oratorio.


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