sabato 16 marzo 2013

Quanti in Parlamento?

Il numero dei parlamentari dipende da come si intende la democrazia e quali funzioni si affidano alle istituzioni.

Nell’Europa, tra il ‘600 e il ‘700, si è affermato il bicameralismo; tale istituzione era determinata dalle condizioni sociali dell’epoca e da come era gestita la sovranità. Il monarca deteneva tutti i poteri dello stato che spesso delegava ad un primo ministro e ad altri funzionari. Quando il terzo stato, in modo particolare la borghesia, diventa classe determinante per lo sviluppo del paese, impone al re o ai suoi ministri il controllo del loro operato, soprattutto delle spese e delle tasse, nasce il parlamento con due camere. La camera bassa esprime la volontà del popolo, la camera alta la volontà del sovrano: le leggi si consideravano approvate quando si raggiungeva un accordo tra le due camere.

Tale bicameralismo è stato confermato non solo nelle monarchie costituzionali contemporanee, ma anche quando gli stati si sono dati istituzioni repubblicane, per una rilettura e approvazione delle leggi prima della promulgazione.

La democrazia, anche quella rappresentativa, dovrebbe riassumere le volontà del popolo, per cui la Costituzione italiana, prevede l’elezione dei parlamentari da parte del popolo, al quale devono giustificare il loro operato tramite il passaggio elettorale. Tuttavia ritiene che il mandato chiesto al popolo non sia vincolante, perché i parlamentari devono pur giungere a sintetizzare le volontà popolari in una norma condivisa.

La prima sintesi si realizza tramite i partiti, coloro che rappresentano bisogni simili e di conseguenza possono assumere iniziative parlamentari affini, si riuniscono in gruppi partiti.

Nel tempo i partiti hanno assunto il ruolo di  creare e di orientare il consenso, riducendo l’intervento individuale dei parlamentari. Affermandosi il principio di centralismo democratico o della disciplina di partito si è pervenuto alla partitocrazia, degenerata in seguito nei partiti personali.

Quanti al Parlamento?

1.    Anzitutto, poiché non c’è più la monarchia e la base elettorale è uguale, in quanto espressa dagli stessi partiti politici presenti nelle due camere in modo proporzionale, il Senato è inutile e potrebbe essere abolito o ridotto con funzioni diverse da quelle della Camera dei deputati.

2.    Se il Parlamento è espressione di partiti personali, il numero dei parlamentari, il cui ruolo è ridotto a votare le decisioni del leader e nelle migliori delle ipotesi al ruolo di consulenti del capo, potrebbe essere drasticamente ridotto.

3.    Una decisione simile potrebbe essere adottata in uno stato di partitocrazia, in quanto le scelte politiche avvengono nelle direzioni dei partiti. Non cambia la rappresentanza democratica con il M5S, i cui rappresentanti, per ora, seguono le direttive di due personaggi (uno noto, l’altro non del tutto conosciuto), che sono fuori dal Parlamento.

4.    Se il Parlamento è veramente espressione del popolo, allora dovrebbe esserci un numero congruo per esprimere le varie esigenze del popolo sia come espressione dei bisogni generali, sia come espressione delle necessità territoriali. Essendo la popolazione italiana intorno ai 60.000.000 e considerando che ci sono delle istituzioni intermedie, Comuni e Regioni (le Provincie, in quanto enti amministrativi potrebbero essere eliminate), il numero attuale dei parlamentari alla Camera dei deputati, in funzione della effettiva rappresentanza popolare, non dovrebbe essere ridotto eccessivamente.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Carissimo professore, per quanto riguarda il problema della rappresentatività personalmente dubito si possa risolvere con una riforma costituzionale, credo invece sortirebbe maggiore effetto una riforma del corpo elettorale!!!
Non credo che il numero dei parlamentari sia Il problema da risolvere: se dobbiamo occuparci del potere legislativo, mi soffermerei piuttosto sulla perfezione del bicameralismo!
Tale scelta del Costituente rallenta spaventosamente la procedura di emanazione delle leggi senza essere garante di una effettiva pluralità, con la sola possibilità di attribuire al singolo rappresentante la responsabilità del proprio voto (questo, ovviamente, nell'idealistica concezione del Costituente).
La questione, tragicamente vera, della partitocrazia sarebbe risolvibile con una riforma elettorale che reintroduca il sistema delle preferenze.
Onestamente credo che nel nostro paese, più che in altri, il cambiamento di alcuni organi istituzionali sia avvertito con paura e diffidenza, anche se si invoca con insistenza!
Alla paura dovrebbe soccorrere la conoscenza e la consapevolezza che l'attuale assetto istituzionale è frutto di scelte, che sono state diversamente prese nel tempo: nessuno immagina l'Italia con molteplici corti di cassazione, eppure ne abbiamo avute 5;pochi possono immaginare che ci siano più di 3 gradi di giudizio, eppure è stato acceso argomento di dibattito e lo è tuttora!
Sostanzialmente siamo restii ad abbandonare il certo per l'incerto, ma dovremmo ricordare che ciò che diamo oggi per scontato è stato fino a ieri oggetto di discussione ed è, solitamente, il risultato di un compromesso che auspica di ottenere il risultato meno disastroso per un particolare gruppo sociale in un determinato momento storico!
Le scelte del Legislatore non sono "giuste" in assoluto, sono giustificate dal fatto che siano il risultato del bilanciamento di interessi contingenti!
Auspico una riduzione del numero dei parlamentari, ma ancor più una seria riforma strutturale: il problema è che rabbrividisco all'idea che quel capolavoro, prima letterario che giuridico, che è la nostra Costituzione finisca nelle mani di nostri attuali "rappresentanti".
Con affetto
Diletta