Nel maggio
del 1917 erano trascorsi due anni dall’entrata in guerra dell’Italia, alleata
con i Francesi, gli Inglesi e i Russi contro l’Austria e la Germania.
Ruvo era
lontana ottocento chilometri dal fronte, per molti contadini e piccoli
agricoltori i territori del fronte di guerra erano misteriosi, per loro che
vivevano sulle dolci alture della Murgia, sentire parlare di fiumi, valli,
monti era come sognare un mondo di fiabe.
Erano
lontani dai rombi dei cannoni, né assistevano ai massacri, che coinvolsero le
inermi popolazioni del Nord-Est italiano.
Anche Ruvo,
pur essendo lontana, sosteneva il peso della guerra. I giovani erano partiti,
arruolati nell’esercito; pur attenuando le faticose condizioni in cui versavano
sul fronte, per attenuare le sofferenze dei genitori, descrivevano, quando
riuscivano a scrivere, perché molti erano analfabeti, quegli impervi luoghi.
I contadini,
al tramonto uscivano per andare in piazza a cercare il lavoro dell’indomani. I
piccoli proprietari, erano incerti se assumerli, perché i prodotti venivano
requisiti dallo Stato, che in questa emergenza nazionale doveva garantire a
tutti il cibo necessario per la sopravvivenza.
Molti piccoli
proprietari erano senza animali, fondamentali per il trasposto e le arature dei
campi, perché cavalli, muli, asini erano stati requisiti dall’esercito per le
salmerie dei soldati.
Tuttavia,
anche se con salari ridotti, i braccianti decidevano di prestare la loro opera,
sui campi avrebbero recuperato, oltre quel misero salario, un po’ di erba
commestibile, che con un po’ di pane o con un po’ di legumi avrebbero sostenuto
in qualche modo la propria famiglia.
Della guerra
nessuno osava parlare, ma tutti avevano le orecchie attente, appena qualcuno
accennava a qualche notizia che trapelava dal fronte.
Non
leggevano i giornali, né ascoltavano la radio ma le poche notizie che
pervenivano correvano di bocca in bocca.
I piccoli
gruppetti si aggregavano tra loro quando pervenivano dal fronte le tristi
notizie di morte di alcuni giovani e di gravi amputazioni di altri. Al breve
vocio, seguiva un grave silenzio. Tanti aveva al fronte un figlio, un fratello,
un parente, un amico; gli sguardi si incrociavano e poi si abbassavano, nessuno
osava commentare gli eventi.
Molti
incominciavano a ribellarsi, quando pervennero alcune notizie delle decimazioni
sul fronte; ora si esasperavano gli animi, erano stati strappati loro i propri
figli per la Patria, invece…
Saverio e i
tre figli si erano recati a coltivare i propri campi. Dopo un lunga e dura
giornata di lavoro, tornano a casa dove la moglie prepara come al solito la
tavola, cercando di nascondere un grande dolore, non vuole turbare il pranzo
del marito e del figli. Ma Saverio che aveva accolto alcune notizie, le chiese
“è arrivata la cartolina?” Maria, così si chiamava la moglie, scoppia in
lacrime e accenna il sì.
Sul fronte si
aveva urgente bisogno di uomini e il comando militare decise di anticipare
l’arruolamento delle nuove leve, coinvolgendo anche i giovani ancora
diciasettenni, Giulio, il più grande dei tre figli maschi di Saverio era tra
questi.
Il giorno
stabilito Saverio accompagna il figlio Giulio alla stazione, lascia a casa gli
altri due figli e alcuni parenti per sostenere la moglie straziata per i
pericoli a cui andava incontro suo figlio. Nel tragitto incontrano altri
coetanei di Giulio che percorrono la stessa strada. Ad un tratto incontrano uno
zio che andava col il carro a lavoro, questi scorgendoli si ferma, li fa salire
sul carro e li porta fino alla stazione.
I giovani pur
consapevoli dei pericoli a cui andavano incontro, mostravano coraggio
nascondendo con un sorriso il loro stato d’animo.
Puntualmente
vedono del fumo tra gli ulivi, era la locomotiva a vapore. Arrivata in
stazione, con grande stridio dei freni e fragore delle catene che tenevano
uniti i vagoni, i ragazzi salutano tutti i presenti, salgono sulle carrozze di
legno. Il treno sbuffa una nuvola di fumo nero, fischia e riprende la sua corsa
per raccogliere altre giovani vite dai paesi circostanti.
Raggiunto le
caserme, di destinazione i giovani ricevono le divise da soldati, vengono
addestrati ed equipaggiati di armi.
Il 2 ottobre
1917, l’esercito subisce la disfatta di Caporetto. L’8 novembre il generale
Cadorna viene sostituito dal generale Diaz.
I soldati,
appena diciottenni, vengono avviati al fronte. Diaz riesce a riorganizzare e a
risollevare l’esercito, rinvigorito dalle giovanissime leve; ferma gli austriaci e riprende le posizioni
perdute.
I ragazzi
del ’99 condividono con i commilitoni gli atti di eroismo e i sacrifici della
guerra di trincea, per lunghi periodi dovevano sostare nelle trincea ad
attendere le occasioni propizie per l’assalto, intanto dovevano vigilare e
ripararsi dagli attacchi del nemico.
Molte volte
i rifornimenti di armi e viveri tardavano, i sentieri delle alture del Grappa
non permettevano delle facili comunicazioni, le carovane degli asini lentamente
salivano per i sentieri del monte, quando non erano esposte al tiro della
artiglieria nemica. Pertanto i soldati, quando negli spostamenti trovavano verdure o
patate, spesso le raccoglievano e pulitele, sfregandole tra le mani, le
mangiavano crude.
Al fante
Giulio Campanale gli era stato affidato l’arduo compito di distribuire la posta
ai soldati in trincea, per cui spesso doveva attraversare spazi non protetti. Un
giorno uscito allo scoperto per passare da una trincea ad un’altra viene
raggiunto da una granata. Caduto a terra viene coperto da un cumulo di terra,
alcuni commilitoni riescono a raggiungerlo e a portarlo in salvo, recuperando
anche la posta che portava con sé.
Giulio,
ricordava che il giorno dell’Epifania del ’18, erano passati alcuni giorni
senza rancio, si nutrivano solo di duri galletti; quando finalmente arrivò la
compagnia con i viveri, distribuì del riso, che si era congelato e non potevano
versarlo nelle gavette, pertanto cercarono di ridurlo a pezzi e tutti, affamati
com’erano, si affrettarono a mangiarlo.
La notte la
trascorrevano nelle trincee a turno tra la veglia e il riposo, avvolti nei
pastrani, che non sempre erano sufficienti a riparali dal gelo notturno alla
quota a cui si trovavano.
Una notte dell’inverno
del 18, Giulio si svegliò con i piedi congelati, pertanto non potendo offrire
più la sua opera, fu accompagnato nelle retrovie all’ospedale. Recuperato la
mobilità degli arti, fu adibito a ruoli di soccorso e di retrovia.
Intanto
erano intervenuti nella guerra anche gli USA a fianco dell’Inghilterra, della
Francia e dell’Italia.
Diaz nel 3-4
novembre conseguì la vittoria di Vittorio Veneto, che segnò la fine della
belligeranza sul fronte italiano.
La guerra è
finita, Giulio e tanti commilitoni possono tornare a casa, ma solo il 24
febbraio 1921 avrà il concedo in cui si attesta la buona condotta e di aver
servito la patria con fedeltà e onore.
Giulio
ritorna alla propria famiglia felice di aver superato la prova della guerra, ma
segnato dalle atroci esperienze vissute sul fronte.
I contadini
continuavano a riunirsi in piazza a ricordare i morti sul fronte e a sperare un
lavoro per l’indomani.