Ad una certa età ci capita di volgerci indietro per rivedere
gli eventi trascorsi nella nostra giovinezza e vogliamo raccontarli non solo
per il ricordo del passato, ma per sottolineare l’evoluzione della società, per
poter apprezzare il percorso fatto e le prospettive future. Emergono
soprattutto gli eventi più tristi perché si vorrebbe che non tornino mai più, perché
le sofferenze patite non si ripetano per le future generazioni.
Zio Ciccillo ogni volta che si parlava di guerra mostrava un
gran desiderio di raccontare le sue tristi vicende della guerra vissuta.
A diciotto anni, Francesco Campanale (detto Ciccillo) come
tanti giovani della sua età (classe 1912), ha la cartolina di precetto per il
servizio di leva. Adempie i suoi obblighi militari, ritorna nella sua famiglia
e come tanti giovani sogna e programma il suo futuro: il lavoro, la famiglia…
Il 28 ottobre 1940 iniziano le operazioni militari per
l’occupazione della Grecia. L’esercito italiano, non riesce a sostenere la
reazione greca, e deve arrestarsi ai confini della Grecia e in alcuni punti deve
anche arretrare. L’esercito ha bisogno di un contingente più numeroso e
adeguatamente equipaggiato di armamenti e approvvigionamento. Mussolini,
volendo competere con Hitler, non intende manifestare la sua debolezza
militare, e nel aprile del 41 dichiara la mobilitazione generale.



Sui fronti russo e nel nord Africa infuria la guerra degli
Alleati contro L’Italia e la Germania. Dall’Africa gli anglo–americani passano
in Sicilia travolgendo l’esercito italiano. L’ 8 settembre 1943 Badoglio firma
l’armistizio.
L’Italia non è più in guerra, ma tra tedeschi e italiani si
apre una gravissima ostilità. I tedeschi che vogliono difendere le conquiste
fatte, vedono nei soldati italiani dei vili traditori.
In Italia le vicende si evolveranno diversamente, ma nelle
isole e nei Balcani la condizione dei soldati si rivelò difficilissima. Senza
ordini precisi erano sbandati: alcuni trovarono rifugio presso alcune famiglie
greche, altri si arruolarono nei gruppi di resistenza, altri furono fatti
prigionieri dai vecchi alleati tedeschi. I quali prospettarono loro l’alternativa:
o entrare nelle loro file, o essere fatti prigionieri di guerra. Pochi scelsero
di collaborare con i tedeschi, la maggior parte furono deportati nei campi di
prigionia tedeschi. Francesco fu condotto in Germania.
Qui gli italiani non furono considerati prigionieri di
guerre, per cui non potettero usufruire delle garanzie spettanti ai prigionieri
secondo gli accordi internazionali, ma furono dichiarati “internati” e in
seguito “lavoratori civili” in modo tale che i tedeschi non solo non offrissero
loro le garanzie spettanti ai prigionieri, ma potevano sfruttarli nei lavori
pesanti o di ricostruzione in seguito ai bombardamenti.
Le condizioni in questi campi (lager) erano terribili: non
c’erano servizi igienici, non avevano vestiti adatti alle temperature rigide
della Germania, il cibo era scarsissimo, tanto che, ricordava Francesco, quando
dalla cucina buttavano bucce di patate o residui di verdure i prigionieri si
affrettavano a raccoglierli, qualcuno mangiava anche dei topi. Molti morirono,
altri furono affetti da gravi malattie polmonari o intestinali.
Francesco riuscì a sopravvivere e a uscire da quell’inferno,
quando il ’45 la Germania fu sconfitta dagli alleati. Con altri attraversò le
Alpi, quindi accolto da un punto di raccolta in Italia, fu avviato a Ruvo di
Puglia con il treno.
La famiglia, che da tempo non aveva sue notizie, era in
stato di angoscia e trepidazione: il padre e gli altri fratelli chiedevano ai
militari che rientravano, se avessero notizie di Francesco. Finalmente si
accese in loro la speranza di rivederlo, un rivenditore di sali e tabacchi,
avendo sentito per radio il nome Francesco Campanale, corse ad annunciarlo ai
suoi.
Dopo alcuni giorni, sfinito, molto dimagrito, ma sano e
salvo giunse alla stazione ferroviaria dove l’attendevano il padre, i fratelli e
tanti compaesani che speravano di avere qualche notizie dei loro figli ancora
lontani.
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