Solo in alcuni settori della produzione si manifesta ancora
un lavoro con una relativa autonomia: coltivatori diretti, piccolo lavoro
artigianale, liberi professionisti, artisti… Mentre la maggior parte del mondo
economico è costituita da aziende di varie dimensioni, in cui vige la divisione
del lavoro: gli imprenditori e i lavoratori dipendenti. Anche il lavoro artigianale dell’indotto,
apparentemente indipendente, nella realtà è strettamente collegato alla
produzione delle grandi aziende.
I lavoratori autonomi godono ancora di una certa autonomia,
dico di una certa autonomia perché nel mondo attuale nessuno lavora per la sua
sussistenza, ma tutti lavorano in funzione del mercato, delle richieste degli acquirenti
e degli intermediari; tutti lavorano per guadagnare denaro per spenderlo
acquistando da altri beni per soddisfare bisogni primari e quelli acquisiti per
i nuovi comportamenti sociali condizionati dai nuovi mezzi di produzione e di
comunicazione.
I lavoratori dipendenti, hanno solo la possibilità, ove
possibile, di offrire il proprio lavoro ad un’azienda piuttosto che ad un’altra
secondo la propria propensione o le proprie capacità.
Il lavoro in ogni settore economico non è valutato in
considerazione del valore insito in esso, come espressione della persona umana
o come elevazione culturale e sociale dell’individuo, ma, nella crudezza del
mondo produttivo, è considerato come forza produttrice e quindi è valutato per
la sua efficienza, la sua produttività. Avrebbe detto Marx che il lavoro è una
merce buttata sul mercato e venduta al
miglior acquirente, che ne valuta l’efficienza a secondo delle sue necessità
produttive e di guadagno.
Non è in discussione, in questo momento, la giustizia o
l’ingiustizia dei singoli individui attori dell’economia, i quali pure hanno
una grave responsabilità nella gestione
del la valorizzazione del lavoro, ma la complessa realtà in cui opera
un’impresa nella cosiddetta globalizzazione economica.
Soprattutto oggi che gli automatismi produttivi e
l’introduzione dell’informatica stanno cambiando il mondo del lavoro e la
stessa società si rende necessario
riprogettare la politica del lavoro in modo tale da distribuire a tutti i
cittadini gli effetti delle nuove tecnologie. Solo con una distribuzione
inclusiva della ricchezza si continuerà a rafforzare il mercato e a sostenere
la produzione, altrimenti nella società si diffonderà sempre di più la miseria,
e la ricchezza dei più abbienti anche se sempre più pingue raggiungerà la
stagnazione e la putrefazione.
Solo un giusto equilibrio, anche se instabile, una giustizia
distributiva, può rendere attiva, viva, la società, e soprattutto potrà
garantire una politica democratica.