Tra i tanti miti, che formavano il
sostrato della cultura antica, il mito di Prometeo ed Epimeteo esprime la
grande reputazione che i greci avevano per il lavoro.
Prometeo ed Epimeteo erano stati
incaricati dagli dei di distribuire agli esseri viventi i mezzi per
sopravvivere.
“Ma Epimeteo
non si rivelò bravo fino in fondo: senza accorgersene aveva consumato tutte le
facoltà per gli esseri privi di ragione. Il genere umano era rimasto dunque
senza mezzi, e lui non sapeva cosa fare. In quel momento giunse Prometeo per
controllare la distribuzione, e vide gli altri esseri viventi forniti di tutto
il necessario, mentre l’uomo era nudo, scalzo, privo di giaciglio e di armi…
Allora Prometeo, non sapendo quale mezzo di salvezza procurare all’uomo, rubò a
Efesto e ad Atena la perizia tecnica, insieme al fuoco… e li donò all’uomo… Da
questo dono derivò all’uomo abbondanza di risorse per la vita…
Allorché l’uomo divenne partecipe della sorte divina, in primo luogo, per la parentela con gli dei, unico fra gli esseri viventi, cominciò a credere in loro, e innalzò altari e statue di dei. Poi subito, attraverso la tecnica, articolò la voce con parole, e inventò case, vestiti, calzari, giacigli e l’agricoltura.”
Allorché l’uomo divenne partecipe della sorte divina, in primo luogo, per la parentela con gli dei, unico fra gli esseri viventi, cominciò a credere in loro, e innalzò altari e statue di dei. Poi subito, attraverso la tecnica, articolò la voce con parole, e inventò case, vestiti, calzari, giacigli e l’agricoltura.”
In
questo mito appare con chiara evidenza che i greci ritenevano che la perizia
tecnica, ovvero la conoscenza che è capace di progettare e produrre i mezzi
della sussistenza e della difesa degli uomini, è una facoltà che distingue gli
uomini dagli altri esseri viventi e dà loro la possibilità di diventare simili
agli dei. Con la perizia tecnica essi in qualche modo ricreano la propria
natura, guadagnano una maggiore indipendenza e quindi la libertà. Gli umanisti
italiani del Quattrocento e del Cinquecento esalteranno tale facoltà affermando
che con questa l’uomo diventa “artefice del proprio destino”. Il lavoro
conseguente alla conoscenza è una prerogativa dell’uomo, privandolo di questa
si riduce la sua dignità.