Passano gli anni, è scaduto il contratto di affitto
della casa in cui hanno trascorso i primi anni da sposi. Marco cerca una nuova
dimora, la trova alle porte della città, ancora oggi è l’ultima casa in pietra
di via S. Barbara, non è lontana dalla casa paterna di Nannina, un po’ più
lontana è da quella dei genitori di Marco, (la distanza nei piccoli centri non
è significativa, il centro della città non dista più di cinquecento metri dalla
periferia nelle varie direzioni).
Questa casa era situata in una specie di condominio
dell’epoca, si entrava in un androne dove a fianco della scala c’era
un’abitazione, salita la prima rampa della scala ce n’era un altra subito a
sinistra. Salito alcuni gradini c’era un pianerottolo sul quale si trovavano tre ingressi per altrettante abitazioni e in
fondo partivano due corridoi quello di destra più corto, quello di sinistra
molto più lungo che portavano ad altre abitazioni.
L’appartamento affittato da Marco, come gli altri dello
stesso condominio, era composto di due vani, che avevano la luce uno dalla
porta di vetro dell’ingresso, l’altro dal balcone che si affacciava su Via S.
Barbara. Il Vano ingresso era più piccolo perché era stato tagliato per
ricavare una piccola cucina con focolare e una scala in legno per accedere al
terrazzo su cui si depositava la legna, unica fonte di energia per preparare i
cibi e per il riscaldamento. Non c’era il bagno, per i bisogni si usavano i
vasi da notte (vasino e vaso, detto eufemisticamente monsignore), per la
pulizia personale si utilizzava un lavabo mobile con vari accessori, la
bacinella per lavarsi, il secchio raccoglitore, la brocca e accessori per la
barba con lo specchio. In un angolo della cucina c’era un “gettatoio” dove si
versava l’acqua sporca, e questo era un segno di modernità per le case, infatti
non tutte le abitazioni del paese avevano
l’allacciamento alla fognatura.
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