Con il sistema elettorale in vigore (legge n. 270 del 21 dicembre
2005) queste domande emergono spontanee, perché non
c’è un diretto rapporto tra parlamentari e popolo, in quanto questi non sono
scelti dai cittadini ma dalle direzioni di partito con l’avvallo esplicito o
implicito del presidente o del segretario o non so come definire i dirigenti
(fuori del Parlamento) del M5S. Giustamente ci si chiede perché devono stare lì
per tanto tempo? Oppure, come qualcuno si è chiesto, chi può arrogarsi il
diritto di giudicare i parlamentari come presentabili o impresentabili? Non
esiste alcuna istituzione, tranne la Magistratura per alcuni reati, che possa
dare risposte a tale domande.
Anche quando un partito, per un criterio
interno, stabilisce che si può essere candidati per due o tre legislature non
mi sembra un criterio adeguato, perché possono esserci dei parlamentari che, oltre
ad aver stabilito dei rapporti efficaci con il popolo, si sono distinti per il
loro impegno politico, e hanno acquisito efficaci esperienze di politica
nazionale e internazionale, che sono utili ai fini della gestione della res
pubblica.
Ritengo che una risposta possa essere data
riprendendo in considerazione l’affermazione di Tucidide della Grecia classica:
anche nell’Atene democratica si poneva il problema di chi dovesse occupare un
ruolo pubblico. Ecco la risposta: in un popolo ci sono tanti interessi e tante
occupazioni, ognuno cittadino stabilisce tante relazioni per cui “si costituisce una scala di valori fondata sulla stima che
ciascuno sa suscitarsi intorno, e eccellendo in un determinato campo, può
conseguire un incarico pubblico, in virtù delle sue capacità”.
La valutazione di chi andrà in Parlamento
spetta al popolo che riconoscendo le capacità professionali e i rapporti
politici dei candidati sceglierà l’uno piuttosto che l’altro. Per rendere
conoscibili tali capacità, è opportuno che ci siano collegi elettorali legati
al territorio e poco estesi, sufficienti per poter stabilire dei rapporti
politici tra eletti ed elettori, basati sulla stima e sulla fiducia.
Certamente la scelta spesso può essere non
del tutto ponderata, per disinformazione, per ingannevole retorica elettorale,
alcune volte per subordinazione socio-economica.
Chi vuole vivere in un paese democratico
deve informarsi e interessarsi, anche quando vige una democrazia
rappresentativa. Gli effetti delle leggi ricadono sulla vita di ciascuno, e se
i cittadini non sono tutti esperti di politica, possono valutare l’incidenza
delle leggi sulla vita di ogni giorno e comportarsi di conseguenza.
Per quante legislature devono essere elette
le stesse persone? Fino a quanto resiste il rapporto di stima tra ciascun
rappresentante e i suoi elettori. Ritengo opportuno comunque che venga
stabilito un limite di età (75 anni come avviene per i vescovi?) oltre il quale
l’esperienza e la saggezza degli uomini
politici possa essere messa al servizio della comunità sotto altre forme, piuttosto
che con un impegno parlamentare o istituzionale (ciò potrebbe essere opportuno
anche in tanti enti istituzionali ed economici).